“Primo giorno di scuola: incontri, abbracci, sorrisi. Un pullulare di allievi riempie l’androne d’ingresso dell’edificio: alcuni ragazzi riuniti a crocchi discutono, sorridono, raccontano; altri si chiamano ad alta voce, si raggiungono, si abbracciano; altri ancora, a coppie si appartano, come “colombi dal disio chiamati”.”

 

Il primo giorno di scuola, tra dubbi e gioie, è un evento che segna fortemente ogni anno milioni di giovani in tutto il Mondo. La scuola è, oltre ad un centro educativo e culturale, anche un ritrovo per amicizie durevoli che accompagnano ognuno di noi nel corso della vita.

 

Ci troviamo di fronte ad un’età importante, nella quale la crescita personale, mentale e fisica, è una costante. Francesca Luzzio nella sua raccolta “Liceali – L’insegnante va a scuola” interpreta il mondo della scuola attraverso gli occhi attenti di un’insegnante sui suoi allievi.

 

La raccolta, edita nel 2013 da Genesi Editrice nella collana “Le Scommesse”, si interroga su alcune esperienze che interferiscono con la vita e che cambiano fortemente un individuo. Si incontreranno durante la lettura personaggi che cercano di trovare la felicità per la propria vita in una società tragica che trascura il singolo per un’idea di collettività troppo ampia per permettere il benessere di tutti.

 

Incontreremo l’insegnante, madre e sposa, che si innamora perdutamente di un suo allievo; l’allieva in stato interessante; l’allievo in crisi perché non si capacita della sua propensione sessuale, la giovane che fotografa il suo corpo per sentirsi amata; gli allievi che pensano alla droga come unica soluzione.

 

L’autrice Francesca Luzzio si è dimostrata molto disponibile nel parlare di se, della sua attitudine poetica e prosastica e del suo “Liceali”. Buona lettura!

 

 

A.M.: Ciao Francesca, partiamo dagli inizi della tua carriera. Raccontaci qualcosa di “Cielo grigio”, una tua silloge edita nel 1994.

 

Francesca Luzzio: La silloge “Cielo grigio”è del 1994 e nasce da un’ampia selezione di poesie scritte in precedenza.  Avevo undici anni quando composi  la mia prima poesia che cominciava così: “Le prime luci si accendono in città/ le prime lacrime solcano il mio viso/ …”   e con il suo procedere anaforico insisteva sulla tristezza che allora caratterizzava i miei giorni, intrisi da tanti piccoli problemi, seri allora per me, ossessionanti talvolta. Di indole particolarmente sensibile ho sempre trovato nella scrittura il sistema migliore per comunicare e liberare emozioni, sentimenti, riflessioni nati dalle vicende della mia vita o dall’osservazione della realtà e del contesto sociale in cui vivo, pertanto la pagina bianca è sempre stata la mia migliore amica, quella alla quale comunicare gli strati più profondi del mio sentire.  Dopo  quella prima pubblicazione, che praticamente ha lasciato inedita la maggior parte della produzione adolescenziale, sono seguite con lunghi  intervalli temporali,  le raccolte “Ripercussioni esistenziali” e “Poesie come dialoghi”, caratterizzate in genere  da una costante perorazione della mia  umanità, spesso logorata e resa ottusa dalla banalità del quotidiano, e dalla ricerca di verità nella mia vita e nel contesto socio-politico ed economico in cui vivo ed opero. Insomma i temi proposti sostanzialmente non mutano, né in linea di massima la forma che, pur evolvendosi nel tempo, si è sempre adeguata ad una medietà  linguistico-espressiva, ad una logica strutturazione morfo-sintattica, che ritengo fondamentali affinché i lettori si accostino di nuovo alla poesia.  A tale riguardo  ho scritto  un  articolo, “Dove va oggi la poesia?” per il quale sono stata premiata da “Nuove lettere”, a  Napoli e che funge anche da prefazione ad una antologia che raccoglie i testi prodotti dagli allievi in occasione di un corso di  scrittura creativa,  tenuto  presso il Liceo scientifico S. Cannizzaro di Palermo, scuola nella quale ho insegnato per molti anni della mia carriera di docente. La conclusione a cui pervengo in un profilo saggistico sulla “Funzione del poeta nella letteratura del Novecento ed oltre” sostiene sostanzialmente la stessa tesi: l’urgere di modalità  espressive comprensibili ai più, in maniera tale che il lettore, conclusa la lettura di una poesia, non si chieda cosa significhi. La raccolta di racconti e poesie, “Liceali – L’insegnante va a scuola” si attiene anch’essa a questa medietà  linguistica.  Soprattutto nei racconti, il dialogo dei giovani è spesso costellato di termini tipici del loro slang; l’uso di tale gergo nasce da una esigenza di realismo e sicuramente non costituisce una remora alla comprensione immediata  sia perché è accompagnato da note esplicative, sia perché la  rende più immediata e fruibile ai giovani lettori a cui principalmente i racconti  sono rivolti. Considerato che parlare della mia prima silloge poetica mi ha praticamente indotto a esporre la mia poetica e parte del mio curriculum, aggiungo che sono inserita in parecchie antologie,  ho partecipato a concorsi ( Pr. Poesia: Alda Merini, Giardina, Marineo, Nuove lettere, etc..), ricevendo premi e riconoscimenti e che molti critici si sono interessati della mia produzione letteraria (Franca Alaimo, Giorgio Barberi Squarotti, Enza Conti, Gregorio Napoli, S. Gross-Pietro, etc…). Infine mi pare opportuno rilevare che sono socia dell’Accademia internazionale Il Convivio,  dell’Accademia siciliana di cultura umanistica, etc…, che sono componente del Consiglio direttivo dell’Ottagono letterario (Ascol-Palermo). Come critico letterario collaboro con alcune riviste: Le Muse,  Il Convivio, Il Bandolo, Vernice, Il Salotto degli autori, etc..;  ho partecipato  alla stesura degli studi “Poesia italiana del Novecento “ e “Narrativa italiana del Novecento”, pubblicati dalla rivista didattica “Allegoria”, diretta da R. Luperini (1995).

 

 

A.M.:  “Liceali – L’insegnante va a scuola” è una raccolta di esperienze non solo di liceali, come ben sottolinea il titolo, ma anche di genitori adulti. Come ti è venuta l’idea di intraprendere questo viaggio nella decadenza dei comportamenti etici e sociali?

 

Francesca Luzzio: La scuola non è avulsa dal contesto sociale, pertanto in essa si riversa appieno la decadenza etico-morale che caratterizza i nostri tempi. Io, in qualità di docente, ho vissuto nel contesto scolastico ed ho amato non solo insegnare, ma anche  imparare dagli allievi, nel senso che ho considerato l’ingresso nel loro mondo, nelle loro problematiche la “condicio sine qua non” per  instaurare  anche un valido rapporto culturale. Il sottotitolo del volume, “L’Insegnante va scuola” vuole mettere in evidenza  tale mia disponibilità interiore nel volere comprendere, capire i problemi personali, familiari dei ragazzi, i quali, se talvolta sembrano sordi all’apprendimento, è proprio perché sono coinvolti in situazioni che li estraniano dalla scuola che, nonostante tutto, costretti, frequentano. Orbene, proprio tale conoscenza ha fatto nascere in me la voglia di denunziare,  di documentare l’attuale disagio giovanile, affinché gli stessi adolescenti e  le principali componenti  socio-politiche coinvolti nell’educazione  prendano coscienza dell’urgere di un rinnovamento dei valori che devono costituire le linee-guida del vivere civile. Tali valori, quali il rispetto dei propri  simili, il ripudio di comportamenti che danno accesso al vizio, la presenza operativa dei genitori, etc…, non sono né antichi, né moderni, né legati a questa o quell’altra confessione religiosa, sono di fatto valori su cui si fonda la civiltà e perciò al di là del mutare dei tempi. La volontà di denuncia è più esplicita ed oggettiva nei racconti, invece la seconda sezione, dedicata alla poesia, vede maggiormente coinvolto il mio “io”: la mia partecipazione emotiva nel tentativo di comprendere la realtà giovanile, la consapevolezza malinconica di chi si sente impotente, considerato il poco tempo che ormai mi  restava da dedicare alla scuola.

 

 

A.M.: La maggior parte dei personaggi, siano essi giovani od adulti, interpretano una rovina sociale esasperata da uno stato che, come sostiene Sandro Gros-Pietro nella prefazione, non cerca soluzioni. Dopo quasi un anno dalla pubblicazione di Liceali, vedi la situazione più rosea oppure la società non si è ravveduta? in quest’ultimo caso, ci basterà la speranza per ribaltare la situazione?

 

Francesca Luzzio: La speranza non bisogna perderla mai, ma è ovvio che non basta per risolvere i problemi. È necessario che la speranza sia accompagnata dalla volontà di voler cambiare.  Progettualità, legislazione adeguata, messa in pratica degli strumenti idonei per realizzare ciò che si vuole conseguire,  sono  elementi fondamentali  perché la società acquisti progressivamente consapevolezza della “deriva” e faccia qualcosa per mutare questa realtà. Dopo quasi un anno dalla pubblicazione del volume, comunque  credo che non sia cambiato nulla, ma non manca una maggiore consapevolezza delle problematiche esistenti  e dell’urgenza della loro soluzione.

 

 

A.M.: Una delle parti interessanti della tua pubblicazione è la scelta di commistione tra prosa e poesia. Come nasce quest’idea e qual è il tuo rapporto con la poesia?

 

Francesca Luzzio: Io sono fondamentalmente una poetessa, ma non disdegno la prosa che consente di espandere nell’oggettività narrativa l’intento comunicativo che comunque perseguo attraverso la scrittura. In questo caso specifico, l’intento di denunziare il disagio giovanile e la volontà di essere aderente alla realtà delle cose, mi ha indotto a considerare la prosa e al suo interno lo stesso slang  giovanile, lo strumento più specificatamente idoneo a rendere quasi tangibile  la concretezza dei problemi. Insomma il libro, come sostiene Sandro Gros Pietro nella prefazione, è una sorta di “double face”, perché interfaccia il racconto in prosa con l’elaborazione metaforica e soggettiva della poesia, alla quale meglio affido il mio sentire, l’affetto sincero e doveroso con il quale cercavo di rapportarmi con gli allievi.

 

 

A.M.: Dunque in ogni racconto c’è una sorta di possibile redenzione. Penso a protagonisti in cerca di comprensione come Giulia Lo Cascio, Alice, Giovanni, Mario, Andrea, Luigi, Rita, Mohamed, Giulio, etc.

 

Francesca Luzzio: In genere chi denuncia crede in una possibilità di riscatto, di redenzione, altrimenti non avrebbe senso farlo. Tutti i protagonisti dei miei racconti sono vittime di disagio educazionale, sia che esso provenga direttamente dalla famiglia, sia che provenga dal più ampio contesto sociale, pertanto perché tale redenzione possa avvenire e  ne derivi un’etica adeguata e consequenziale, occorre di fatto che ci sia un ripensamento critico e morale intorno a ciò che bisogna considerare valore o disvalore. Ad esempio, Giulia, la protagonista del racconto “Mi vendo”, sebbene la madre a costo di sacrifici, cerca di procurarle ciò che le occorre, il desiderio di condurre una vita più agiata  inizialmente la induce a vendere l’immagine del suo bel corpo nudo o in pose sensuali, mandando via smartphone le  sue foto a presunti amici spasimanti, successivamente la fa  divenire vittima di un meccanismo che non riesce più a controllare ed è costretta a prostituirsi “sempre e dovunque”. Talvolta è presente l’azione salvifica del docente, come in “Viaggio d’istruzione a Berlino”, dove la giovane protagonista, Michela, costretta ai mille ruoli che il vivere sociale le impone, si sente “come un gabbiano senz’ali, un corpo che striscia e non sa stare in piedi”. Ma, in genere, l’intervento positivo di qualche professore, poco o nulla riesce a fare di fronte alla fagocitazione di valori  e principi che l’attuale società globalizzata di fatto vive. Tuttavia la denuncia e la speranza non possono e non devono venir meno, se noi adulti vogliamo aiutare i giovani a dirimersi dall’abisso in cui li stiamo facendo cadere.

 

 

A.M.:Leggendo i racconti e sapendo che ti occupi di insegnamento al liceo, penso venga istantaneo chiedersi: in quale percentuale, le storie che narri, corrispondono alla realtà?

 

Francesca Luzzio: Alcune  storie che narro non sono vere, sono  vicende realmente vissute da alcuni miei allievi, altre  verosimili, insomma sono vicende possibili nel contesto storico e socio-culturale in cui in atto viviamo ed operiamo.

 

 

A.M.: Tra i tuoi lettori, hai notato sostanziali preferenze di un racconto particolare?

 

Francesca Luzzio: Un racconto molto amato è “Italiano non Italiano”. Le ragioni sono da cercarsi nel rilievo che in esso viene dato ad alcune problematiche  che io mi limito ad elencare:  il problema dell’immigrazione; il razzismo che vige ancora in larghi strati sociali, pur non mancando una percentuale minima di persone votata al bene e al rispetto indiscriminato nei confronti del prossimo; l’insufficienza della legislazione italiana a proposito dei figli d’immigrati, nati in Italia; infine l’ironia rassegnata, ma anche per questo ancora più incisiva, con cui si conclude il racconto.

 

 

A.M.: Com’è il tuo rapporto con il mondo virtuale?

 

Francesca Luzzio: Il mio rapporto con il mondo virtuale è mediocre, nel senso che non ho un’adeguata competenza tecnica che mi consenta di sfruttare al massimo le sue potenzialità. Comunque ciò non mi ha impedito di essere su molti siti e blog, quali Literaty, La recherche, Letteratura e cultura, etc … e di collaborare con interviste on-line, quale Euterpe. Non solo, penso che il web offra una grande possibilità di conoscere e farsi conoscere.

 

 

A.M.: Salutaci con una citazione…

 

Francesca Luzzio: “Homo sum, humani  nihil a me alienum puto” (Terenzio, Il punitore di se stesso)

 

 

A.M.: Francesca, ti ringrazio per le tue parole, sono piene di speranza ma non solo, di attivismo per migliorare un Mondo ingiallito dalla corruzione. Solo con la cultura e con il rispetto della Natura possiamo educare ad una società più onesta.

 

 

Written by Alessia Mocci

Addetta Stampa

(alessia.mocci@hotmail.it)

 

 

Info

https://www.facebook.com/francesca.luzzio

http://www.ibs.it/code/9788874144051/luzzio-francesca/liceali-insegnante-scuola.html

 

 

Fonte

http://oubliettemagazine.com/2014/07/07/intervista-di-alessia-mocci-a-francesca-luzzio-ed-alla-sua-raccolta-liceali-linsegnante-va-a-scuola/

 

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