Il referendum popolare abrogativo sulle concessioni per le trivellazioni a 12 miglia dalla costa per la ricerca di idrocarburi è oramai imminente. Il 17 aprile, infatti, dalle ore 7 alle ore 23 la popolazione è chiamata a pronunciarsi con un “sì” o un “no”, su uno dei temi che in questi giorni scalda l’opinione pubblica. Viene posta la questione se prolungare le concessioni che permettono le estrazioni, o se farle cessare.

L’estrazione avviene attraverso il metodo della trivellazione. Ci sono rischi per la salute ambientale e dei cittadini? Quali sono? Oltre al rischio di disastro ambientale, per un’eventuale fuoriuscita di greggio, che può avvenire in caso di malfunzionamento degli impianti o incidente, bisogna segnalare l’impatto sull’ecosistema marino attraverso l’accumulo di metalli pesanti e altre sostanze tossiche. Meno noto, forse, anche un altro possibile effetto: l’estrazione di materiale dal sottosuolo per un periodo di tempo molto prolungato potrebbe provocare anche l’abbassamento delle zone costiere. I danni dunque sarebbero considerevoli, se pensiamo, poi, che il Mediterraneo è un mare semichiuso.

Entrando più nello specifico del voto, sono nove i Consigli Regionali favorevoli riguardo il referendum abrogativo: Marche, Sardegna, Puglia,trivelle-mari-italiani Veneto, Calabria, Liguria, Campania, Molise e Basilicata (interessata in queste settimane dallo scandalo petrolio).

Il quesito referendario intende abrogare l’art. 6 comma 17, terzo periodo, del D.Lgs.n. 152 del 3 aprile 2006, Norme in materia ambientale, poi aggiornato nella Legge di stabilità (n. 208 28 dicembre 2015) dal comma 239 dell’art.1. La modifica riguarda la durata delle concessioni di ricerca e estrazione non più limitata a 30 anni, ma da protrarsi per l’intera vita utile del pozzo o giacimento, seppur nel rispetto delle norme di sicurezza e della salvaguardia ambientale.

Esprimersi attraverso il “sì” vorrebbe dire pronunciarsi favorevoli all’abrogazione del comma che rende illimitate le concessioni. Votare con il “no”, al contrario, vorrebbe dire approvare il fatto che le compagnie petrolifere possano vedersi rinnovare le concessioni di estrazione. Il referendum, riguarda circa 21 piattaforme, pertanto il danno economico non sarebbe così gravoso, dato che molte di esse hanno già superato il picco produttivo negli anni passati.

“Il futuro dell’energia passa dall’innovazione e dalle rinnovabili” sostiene Rossella Murioni, presidente di Legambiente, tra le associazioni promotrici del referendum. I sostenitori del “sì”, per cui si è espressa anche Greenpeace, infatti, non sono solo contrari allo sfruttamento del territorio costiero e marittimo, nè paventano soltanto i numerosi rischi per l’ambiente, ma si battono perchè in Italia si cominci a puntare maggiormente sull’energia pulita. Ancor oggi, infatti, le fonti di energia rinnovabile ricevono meno sussidi pubblici di quelle di energia fossile.

Quali sono le fonti rinnovabili su cui l’Italia può puntare? Sicuramente il fotovoltaico e l’eolico, principalmente, se consideriamo il nostro clima. Ma destinare fondi per le energie rinnovabili potrebbe rappresentare, per il Paese, anche la chance di creare nuovi posti di lavoro, abbassare i consumi di energia fossile e conseguentemente i livelli di inquinamento.

L’esempio della Costarica forse può essere soltanto un miraggio per ora, ma non è sacrilego pensare di poter contare maggiormente su fonti di energia pulita. C’è una buona notizia, però. L’Unione europea ha fissato per il 2020 l’obiettivo di ottenere almeno il 20% di energia da fonti rinnovabili (www.europa.eu). L’Italia ha ottenuto il 17% dell’energia da fonti alternative già nel 2015.

Dunque votare “sì” o votare “no”? Il quorum si raggiunge se a votare saranno il 50% più uno della popolazione italiana. La vittoria del sì, secondo dati forniti da Legambiente, causerebbe una perdita di poco più del 3% dei consumi di metano e di meno dell’1% di quelli petroliferi. Per soddisfare la progressiva perdita, all’Italia si renderebbe necessario l’aumento dell’importazione da altri Stati. C’è, infatti, tra le voci a favore del “no”, chi avanza la tesi dell’inutilità dello stop alle concessioni, quando molte piattaforme le avevano da poco prolungate e laddove altri paesi europei, o che si affacciano sul Mediterraneo, operano le stesse estrazioni con tutti i rischi ambientali che ne possono conseguire. D’altra parte, poi, il “no” resta negli interessi delle aziende produttrici, le quali esulano dal pagare royalties per quantità di prodotto ormai ridotte dal superamento dei picchi di produzione, e che potranno evitare i costi di smantellamento degli impianti, che richiederebbero comunque un certo numero di anni. Chi è favore del “sì” d’altronde ribadisce come l’Italia, in realtà, già importi la maggior parte del gas e del petrolio che utilizza, senza la necessità di quello estratto dalle trivelle a largo delle nostre coste. Inoltre, oltre ai rischi ambientali, chi si esprime per il “sì” rivendica la bellezza del nostro ecosistema, che l’eccessivo stravolgimento può solo sconvolgere con danni irreversibili.

La vittoria dell’una o dell’altra parte è affidata soltanto a noi italiani: l’importante è andare a votare.

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