Il concetto di  ‘costume ciociaro’  nella pittura setteottocentesca europea è una autentica pietra miliare: è stato il soggetto  più amato e più illustrato dagli artisti di ogni Paese nel corso di circa centocinquantanni; la sua  presenza è in quasi tutti i musei del globo: perfino i massimi pittori dell’epoca lo hanno illustrato! A raffronto di tale successo internazionale, lascia a dir poco perplessi  la costatazione che di tale fenomeno artistico non si conosca il nome: è un caso unico nella storia dell’arte, milioni di persone che visitano i musei del pianeta lo hanno infatti sotto gli occhi ogni giorno alle pareti delle pinacoteche e allo  stesso tempo apprendono dalle etichette affianco ad ogni opera, o nelle didascalie dei libri, che si chiama: costume  italiano, romano, abruzzese, calabrese, siciliano, napoletano, savoiardo, basco, zingaro,  e altre connotazioni: tuttavia il termine ciociaro, il solo idoneo e  pertinente, non è menzionato, è sconosciuto!

I rapporti tra Roma e il territorio ai suoi piedi, la Ciociaria, che all’epoca si chiamava diversamente, è stata una tangibilità  storica come nessun’altra, che si ripercorre e documenta  ed evidenzia sin dalle origini  e attraverso tutti i secoli, ininterrottamente fino ad oggi! Un plurisecolare groviglio e intersecarsi di rapporti e relazioni tra Roma e la sua ‘ombra’ la Ciociaria! Basti richiamare alla memoria  personaggi originari di questa terra che diedero un contributo fondamentale alla sua grandezza  quali Caio Ponzio, Aulo Hirzio, Cicerone, Caio Mario, L.Munazio Planco, M.Vipsanio Agrippa, Attilio Regolo, Giovenale, Aulo Plauzio, i Petreio, i Saturnini e tanti altri: oppure la residenza papale  in questa terra, ad Anagni, la città dei papi, per molti anni, oppure  papi ciociari quali  Innocenzo III, Alessandro IV, Gregorio IX, Bonifacio VIII, Innocenzo XIII, Leone XIII senza menzionare il fatto che questa terra è stata da sempre la fucina, anzi la sacrestia vera e propria della  Chiesa, a partire dai preti e monaci fino alle alte sfere dei nunzi e cardinali. Pur se arduo ad ammettere e a riconoscere, la Ciociaria in verità  è la madre di Roma, come è già stato osservato! I   libri ‘CIOCIARIA SCONOSCIUTA’  e  ‘ORGOGLIO CIOCIARO/Ciociaria Pride’  illuminano  su queste realtà.

L’orgoglio della romanitas induceva il popolo  alla supponenza e al vero e proprio  dileggio  avverso i non romani e in particolare  avverso i ciociari, la componente  più numerosa e attiva:  allora come  oggi sono sempre cafoni, rozzi, guitti cioè pagliacci, sporchi, ecc.: il termine stesso ‘ciociaro’ si identificava, e ancora oggi in certe bocche e contesti, con la medesima connotazione!  Nulla mutò a tale atteggiamento, nemmeno quando alla fine del 1800 una fioritura mai vista di pittori romani  produsse migliaia di quadri ed acquerelli in cui i  personaggi raffigurati erano solo ciociari e non il popolino così magistralmente descritto a suo tempo da Pinelli, padre e  figlio.

Tutto quanto più sopra ricordato e, in aggiunta, le opere della stragrande quantità  degli artisti europei negli anni precedenti, non ricordando opere letterarie e composizioni musicali e in particolare le ricerche  e le indagini folkloriche e storiche del Gregorovius, tali realizzazioni non hanno comportato quasi alcun mutamento alle concezioni originarie summenzionate: l’anonimato  è continuato e continua. Le istituzioni nazionali, anche quelle propriamente ciociare, gli studiosi delle relative discipline, la scuola, la città di Roma soprattutto,  continuano ad ignorare tale gloriosa pagina della Storia dell’Arte rappresentata dal costume ciociaro e, allo stesso tempo, la secolare interrelazione e simbiosi Roma-Ciociaria. Attualmente ancora, quando si incontrano le opere con questi soggetti, opere tra l’altro ricercate  ed appetite dai collezionisti, da sempre, esse vengono individuate con il termine figure romane o costume laziale o romanesco o della campagna romana  o popolana o regionale e analoghi. Il sempre vilipeso termine ‘ciociaro’ non esiste!

Sono anni che lo scrivente documenta e tiene viva la memoria delle secolari comuni vicende: è certo e notorio che i pur consolidati e noti periodici editi e stampati a Roma, mai si sono occupati di quanto fin qui ricordato! E’ arduo a dedurre che possa essere ancora determinante quanto di negativo, pur se  erroneamente,  scrisse Giuseppe Tomassetti sulla ciociarella del Serrone e del Piglio divenuta emblema della città di Roma o la emarginazione, o ignoranza, del fenomeno nella dottrina del folklore da parte di Paolo Toschi. Imbarazzante, inoltre, che gli studiosi che si occupano di arte dell’Ottocento non facciano che oscurare il termine quando si imbattono in tali soggetti, ricorrendo alle connotazioni più bizzarre: ancora più imbarazzante è che anche i galleristi e i commercianti che quotidianamente hanno tra le mani tali opere, ricorrano normalmente alle medesime erronee connotazioni, privilegiando però  il termine ‘figure romane’  che nel significato del Gregorovius, che per primo lo aveva adottato, ben altra accezione  possedeva. E’ quasi come se si avesse paura ad affrancare il ciociaro da tali vincoli e riserve!

Ancora più imbarazzante e quasi non scusabile che si ignori  perfino in che modo la stampa nazionale e quella straniera  illustrassero la presa di Porta Pia: la nobildonna con la corona in testa  -l’Italia unita-  che con una mano salutava il  bersagliere liberatore e con l’altra il ciociaro cittadino di Roma liberato! A conferma cioè di una consolidata e storicizzata realtà e pagina che si chiama addirittura: ‘ciociarizzazione’  di Roma e che anche nessuna resipiscenza ha risvegliato!

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