Artemisia Gentileschi, Susanna e i vecchioni, 1610

Passione,rivalsa, vendetta. Palazzo Braschi incornicia il pathos delle tele di Artemisia Gentileschi tra le sue stanze affrescate. Uno spazio espositivo privilegiato, l’affaccio su Piazza Navona e una sapiente coreografia di luci e ombre offrono i presupposti per una inedita catabasi nel tempo remoto di una donna e la sua arte. Il Museo di Roma, con il patrocinio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ospiterà fino al 7 maggio 2017 cento opere che consentiranno un’immersione sensibile e destabilizzante nella vita di Artemisia e nelle opere di pittori di spicco dell’epoca.

Pensare ad una donna vissuta a cavallo tra XVI e XVII secolo nelle vesti di un’artista suggerirebbe piuttosto l’idea di un qualche ostinato gioco demoniaco, eppure Artemisia riesce a prendersi la rivalsa sul tribunale degli uomini, ottenendo la condanna del suo stupratore Agostino Tassi. La sua tenacia la indirizzerà verso le capitali del mondo culturale del tempo, viaggiando sempre alla ricerca di nuove committenze tra Firenze, Roma, Napoli, Venezia e Londra. Un talento sconvolgente lascia che le sue tele si carichino di rivendicazione e la esprimano fino alle estreme conseguenze, eppure mai con grossolana violenza, esaltando le eroine dei miti greci e biblici ma anche del remoto passato storico, come ne “La morte di Cleopatra”, nei loro atti crudi eppure non crudeli.

La poesia delle ombre caravaggesche che animano le sue Giuditte vendicatrici, Ester, Maddalene, sante, dame e suonatrici sembrano riequilibrare quelle tinte fosche e sanguinarie che offre su piatti d’argento lo spettacolo di teste mozzate con la grazia di una liutista. L’ideologia che si sovrappone e sovverte è strutturale nelle opere di Artemisia e questo carattere balza all’occhio del fruitore tanto più se si concede un rapido raffronto visivo con le tele esposte di Vouet, Baglione, De Ribera e molti altri pittori attivi in quegli anni presso le corti di Firenze e Napoli. Pur non tralasciando il ruolo giocato dal padre Orazio Gentileschi, anch’egli pittore, nella formazione di Artemisia, l’artista imprime nelle miscele dei suoi colori uno stile aggressivo e aggraziato che rielabora da un punto di vista drammatico e disinvolto i principali orientamenti artistici del ‘600. Lasciando agire fieramente i suoi personaggi femminili, senza abbandonarsi all’edulcorazione, la Gentileschi segna un’empasse tra il classicismo e il caravaggismo più esasperato.

Nel percorso espositivo di Palazzo Braschi è possibile anche mettere a fuoco il legame pittorico con le opere paterne e l’autonomia progressivamente più intrisa di successo della Gentileschi. L’idea di progettare una mostra su un personaggio così controverso e singolare, indubbiamente sbalorditivo per quanto riguarda l’intero arco delle vicende biografiche e artistiche, può trovare una più ampia dimensione critica se relazionata alle tele dei suoi colleghi, tutti uomini: la sfida non è di genere, solo all’Arte è lasciato il giudizio ultimo.

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