Sono ormai passati 13 anni dall’uscita della ormai famosa e dibattuta serie britannica “Black Mirror”. Eppure, il genio di Charlie Brooker continua a confermarsi l’anticipatore di un futuro che non è per nulla un’illusione. L’autore in primis ha ammesso di aver spesso pensato a quanto surreali fossero alcune sue idee. Dopodiché, si è ritrovato egli stesso in una realtà ben oltre le sue fantasie artistiche, con dei risultati a dir poco incredibili. Quanto osservato negli episodi è spaventosamente possibile, e non solo metaforicamente. E nessuno di noi è escluso o deresponsabilizzato da questi scenari. La realtà è infatti sempre un passo avanti a noi, e forse non siamo nemmeno disposti di abbastanza strumenti per dominarla.

Tutto ciò rappresenta però una casualità solamente fino a un certo punto. Difatti,  mettere in scena delle situazioni estreme è la strategia e obiettivo stesso dell’opera.  Essa è una serie “antologica”, ossia consiste in una serie di episodi autonomi e auto-conclusivi, ma che sono accomunati dallo stesso messaggio finale. Infatti, pur essendo ambientata nel futuro, si incentra su tematiche alquanto attuali, soprattutto interfacciandosi alle nuove tecnologie e ai media, i quali ispirano il titolo stesso della serie. “Black Mirror” si riferisce infatti allo schermo nero delle televisioni, smartphone e computer. Questi elementi determinano il filo conduttore degli episodi, e i loro effetti collaterali vanno a comporre il messaggio comune dell’intera serie.

Brooker non vuole però limitarsi semplicemente a un messaggio di critica sociale, bensì presentare semplicemente la realtà a cui tutti siamo destinati, a causa delle nostre stesse azioni che hanno reso possibile lo sviluppo tecnologico. Inoltre, se si trattasse solamente di una critica, non si sarebbe curato di mostrare anche alcuni lati positivi della faccenda, riguardanti per esempio la medicina, l’istruzione o la cura per gli anziani.

Nell’episodio “San Junipero”, Brooker addirittura loda il progresso, mostrando come esso potrà potenzialmente creare delle sorta di paradisi artificiali, in cui contenere tutte le nostre coscienze, anime e memorie, in modo tale che esse possano vivere per sempre.

Sono celebri inoltre molti altri episodi dai più svariati argomenti, quali “Be right back”, in cui un androide sostituisce un marito defunto. Esso ci fa riflettere sull’impossibilità di arrenderci alla morte a causa del senso di onnipotenza che ci provoca la tecnologia. Oppure “The entire history of you”, in cui viene messa in scena l’ossessione nei confronti del passato e dei ricordi.  O ancora ricordiamo il primissimo episodio “The national anthem”, in cui il primo ministro inglese si ritrova costretto a svolgere una prestazione sessuale con un maiale per poter liberare un ostaggio. Quest’ultimo scenario sembra a dir poco surreale e raccapricciante. Ma in realtà è a dir poco possibile dal punto di vista metaforico, data l’era politica e televisiva in cui ci siamo ritrovati a vivere. Per la maggior parte, in realtà, non sarebbe sembrata una scena del tutto improbabile nemmeno nel suo senso letterale.

Ma il salto di qualità di questa produzione è senz’altro l’introduzione della “metanarrazione”, attraverso il film interattivo “Bandersnatch”. Il nome deriva dall’opera di Carroll “Attraverso lo specchio”, in cui viene descritto un mostro feroce.  Questo riferimento si nota anche in una scena in cui un personaggio viaggia letteralmente attraverso uno specchio. Il termine si riferisce anche all’omonimo videogioco sviluppato dalla Imagine Software e mai pubblicato a causa del fallimento dell’azienda.

Il protagonista è infatti, non a caso, un programmatore di giochi interattivi, e a sua volta lo spettatore ha il compito di decidere le sue sorti direttamente da casa. Ci viene donato quindi quel senso di appagamento che proviamo nel cercare l’ordine, un senso logico narrativo. Avviene il contrario per esempio nei film a finale aperto, o in tanti altri prodotti dell’arte contemporanea. Quest’ultima infatti si diverte a prendersi gioco delle nostre interpretazioni e ci fa sentire impotenti e senza controllo.

Con Bandersnatch decidiamo noi il susseguirsi degli eventi della storia, facendoci sentire dei liberi consumatori di dato e di fatto, e in maniera illimitata. Ovviamente tutto ciò è solo una illusione.

Presto la libertà di scelta si dimostra infatti per quello che in realtà è, ossia una gabbia. Proprio come accade nella vita, lo spettatore si ritrova spesso costretto a retrocedere, o addirittura a subire degli effetti e conclusioni identici nonostante la possibilità di tornare indietro nel tempo e optare per delle scelte diverse. L’architettura degli eventi è quindi già scritta, e in maniera spaventosamente immutabile.

Lo spettatore è curioso delle conseguenze che ogni scelta possibile può nascondere, e si sente irresponsabile proprio come nei videogame. E’ infatti distaccato dal protagonista e dalle sue sorti. Tutto ciò però gli si ritorce contro, proprio come fa la tecnologia ogni giorno nei nostri confronti senza che ce ne rendiamo nemmeno conto. Ci si sente invincibili e privilegiati nella posizione di semplici osservatori. Ma purtroppo il “vedere” diventa “potere”, e l’euforia di partenza diventa inappagamento. Una volta che lo schermo torna a diventare nero, il viaggio termina senza aver ricevuto alcuna risposta.

In conclusione, l’universo di Black Mirror è ovunque meno che lontano da noi, anzi, è già intorno a tutto ciò che conosciamo. Questa consapevolezza non è però automatica come si potrebbe pensare, infatti la serie è a dir poco di nicchia, ma non perché il contenuto degli episodi non risulti comprensibile. E’ ben diverso capire semplicemente cosa succede nelle varie scene e cosa esse significhino in maniera fine a se stessa, rispetto a chiedersi come il loro significato possa rapportarsi alla realtà non solo fantascientifica, ma anche a quella in cui viviamo tutti noi quotidianamente. Quella in cui forse ci facciamo tutti troppe poche domande e in cui definiamo surreali e impossibili degli scenari che sono invece incredibilmente (ma anche terribilmente) sempre più vicini a noi.

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