E’ vero, le strade non saranno eccezionali. E non molti parlano inglese. E i servizi sono un pò malmessi ancora. In fondo c’è stata “solo” una guerra devastatrice. Un conflitto che alla Bosnia-Erzegovina ha tolto più di tutti mi sento di dire in termini di vitalità e slancio. Ma qui ho scoperto quanto le barriere che ci separano a volte sono altissime, altre inesistenti. Confinante con la Croazia, ma davvero distante dal paese dalmata, la Bosnia-Erzegovina offre uno spettacolo umano-paesaggistico-culturale che non può lasciare indifferenti. Bisogna prepararsi a vedere da vicino i fori delle mitragliatrici a Sarajevo, una città crivellata ovunque. Appena si entra nella capitale ci si accorge che quello che c’è stato ha intriso tutto. Ha toccato anziani, famiglie, chiese, bambini, morti e vivi, case e negozi. Camminavo appena sceso dal furgone/camper (il mitico Popeye, fido compagno) e in silenzio osservavo quei buchi lasciati dalla guerra, quei buchi nelle vite delle persone. Ognuno a Sarajevo ha perso qualcuno. E i cimiteri sparsi all’interno della città ne sono una testimonianza toccante, che ti affonda nel cuore, anche se cerchi di trattenerti. Perchè quando giri l’angolo ed entri nel pratino di lapidi, vedere tutte le stesse date incise sul marmo fa pensare a quando in quei giorni, a poche centinaia di chilometri, qui in Italia uscivamo a fare acquisti o andavamo all’università. Sarajevo è un insieme di genti, di religioni, di etnie, di storie che meritano un’attenzione a parte. Trovi con una semplicità chiese ortodosse e moschee, luoghi cristiani e sinagoghe, veli e birra buona a pochi soldi. I ragazzi di quindici anni ne mostrano dieci di più, la guerra fa miracoli? No. La guerra ti uccide o ti fa crescere prima.

Nessuno in tutta la Bosnia-Erzegovina è stato mai scortese, mai maleducato, mai si sono approfittati di quei ragazzi che venivano dalla ricca Italia. Anzi, ci hanno ospitato nei bar, ci hanno regalato sempre qualcosa, fossero un pacchetto di sigarette o un sorriso. E lungo le strade era bello incontrare anziane signore immerse nel verde, che vendevano le loro bottiglie di distillati di prugne, pere, fichi su tavolacci di legno. L’essenza di quanto abbiamo perduto noi.