Cosa sta succedendo al confine tra Grecia e Turchia

Mentre il mondo soffre e cerca di reagire al diffondersi del COVID-19 al confine tra la Turchia e la Grecia si consuma un dramma umano altrettanto preoccupante. Da quando il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha deciso di aprire le frontiere verso l’Europa migliaia di migranti cercano di oltrepassare il confine per raggiungere la Grecia, la Bulgaria e la protezione internazionale. Dal canto suo l’Europa risponde con blocchi alle frontiere andando anche contro i suoi stessi princìpi, in un contesto in cui delle persone vengono utilizzate come una minaccia, una merce di scambio potenzialmente esplosiva, per il bilanciamento dello scacchiere medio-orientale.

Il contesto

Tra Turchia e UE nel 2016 era stato siglato un accordo in cui si prevedeva l’impegno da parte di Ankara per il respingimento e il contenimento dei migranti in Turchia mentre al contempo l’Europa garantiva alla controparte la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi, aiuti economici e la sua adesione all’UE. Ad oggi quell’accordo è rimasto perlopiù incompleto ma ha portato alle conseguenze che stanno accadendo oggi.

Innanzitutto, l’UE, con la stipula di quel patto si è dimostrata debole mettendosi in una posizione di parità con uno Stato che in realtà non dovrebbe essere messo in condizioni di dettare le regole del gioco ma piuttosto di accettarle, dal momento che ha fatto anche richiesta di essere annesso all’interno di essa.

E non solo, pagando effettivamente i 6 miliardi promessi per il contenimento dei migranti l’Europa ha dato al presidente Erdogan il potere di fare minacce utilizzando quest’ultimi come una bomba sociale da far esplodere senza spargimento di sangue qualora non venissero soddisfatte le sue richieste. Ed è proprio quello che è successo a fine febbraio con l’apertura delle frontiere turche al confine europeo, con migliaia di persone dirette verso la Grecia (130 mila secondo i dati forniti dal Governo Turco; per il Governo Greco erano 30 mila), e il conseguente venir meno di un accordo che già era debole di suo in quanto costruito su basi che andavano contro le convenzioni internazionali dei diritti umani e di asilo.

A tal proposito bisogna ricordare come molte organizzazioni di difesa dei diritti umani avevano contestato questo accordo in quanto la Turchia è da considerarsi “Paese terzo non sicuro” per i richiedenti asilo non europei.

Turchia

Da parte sua, la Turchia, sostiene di non aver rispettato il patto del 2016 a causa della mancata osservazione dell’UE dei punti riguardanti la liberalizzazione dei visti, il miglioramento dell’unione doganale e la promessa di aprire nuove negoziazioni. A cui va ad aggiungersi la condizione economica: Erdogan ha accusato l’Europa di non dare la giusta somma che serve per la gestione dei migranti.

Seppur i 6 miliardi promessi nel patto sono stati pagati secondo il Governo turco ne servirebbero molti altri, in quanto il costo sopportato dal 2016 dalle casse dello Stato si aggirerebbe intorno ad una cifra ben superiore, 40 miliardi, che hanno un peso politico oltre che economico.

Questi da un lato generano forti pressioni interne contro la politica dell’accoglienza che ha portato sul territorio oltre 4 milioni di rifugiati, e dall’altro determinano un generalizzato malcontento della popolazione nei confronti dei migranti accentuato anche dalla crisi economica che ha investito il Paese nel corso del 2018. Sul piano esterno, invece, la decisione di Erdogan di aprire le frontiere è strettamente correlata al conflitto siriano che imperversa dal 2011.

L’annuncio è arrivato in seguito all’uccisione di 36 soldati turchi nella provincia di Idlib, ultima roccaforte dei ribelli e in cui la Turchia ha una sua zona di influenza anti-curda, che nelle ultime settimane è stata teatro di scontri a causa dell’avanzata dell’esercito di Bashar al-Assad intenzionato a riconquistare il territorio siriano, e che ha costretto milioni di persone a fuggire verso la parte meridionale della Turchia.

Perciò l’apertura delle frontiere è stata anche una mossa strategica da parte di Erdogan il cui obiettivo era quello di trovare appoggio militare in Occidente per avere sostegno in Siria, e allo stesso tempo provare ad indebolire la Grecia con la quale si contende alcune zone economiche marittime. L’incontro con Ursula von der Leyen, tenutosi a Bruxelles l’8 marzo, per definire la situazione non ha avuto l’esito sperato: l’Europa non ha dato il suo sostegno per la creazione di una non fly zone su Idlib e la costituzione di un’area cuscinetto lungo il confine turco-siriano dove trasferire una parte dei profughi che si trovano in Turchia.

Grecia e UE

Alla mossa turca la Grecia ha risposto chiudendo le frontiere e sospendendo l’accettazione delle richieste d’asilo. Il premier Kyriakos Mitsotakis, definendo tutto ciò un “ricatto” di Erdogan, ha invocato a suo favore l’articolo 78.3 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea che consente di adottare “misure provvisorie” qualora uno Stato membro si trovi a dover “affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi”.

La decisione del Governo greco ha trovato l’appoggio delle istituzioni europee e la comparsa dei tre massimi rappresentati dell’Unione – Ursula von der Leyen, presidente della commissione Ue, David Sassoli e Charle Michel, presidenti rispettivamente del Parlamento e del Consiglio Europeo – che da Kastanies, frontiera greca presa d’assalto dai migranti, hanno mostrato unità e sostegno definendo la Grecia “scudo europeo” condividendone le preoccupazioni perché “questa frontiera non è solo greca, ma è frontiera europea”.

Oltre ai richiami per una strategia comune nella gestione della migrazione e una missione Frontex che negli ultimi giorni ha portato ulteriori unità armate al confine greco, l’UE si è data disponibile per attivare un piano di assistenza finanziaria da 700 milioni per il governo ellenico e la fornitura di materiale medico, tende e coperte, pur tuttavia non chiarendo una reale strategia con cui affrontare il problema.

Tensioni al confine tra Grecia e Turchia

I migranti che arrivano dalla Turchia principalmente utilizzano la via marittima per arrivare in Grecia e le zone più colpite diventano le isole del nord-est dell’Egeo che inevitabilmente si sovraffollano determinando forti tensioni che sfociano spesso in risse e aggressioni. La situazione è molto complicata, le isole sembrano diventate campi profughi: a Chios seimila migranti sono stipati in strutture che possono garantire appena 1300 posti letto. Nella vicina Lesbo, ci sono stati 21 mila arrivi a fronte di una capienza di 4.600.

A Samos i migranti superano di sei volte i posti disponibili. Lungo tutto il confine arrivano notizie di episodi di scontri tra polizia e migranti o di respingimenti e azioni violente da parte dei cittadini locali.

A Lesbo è andato in fiamme, in modo probabilmente doloso, il centro di accoglienza della ONG svizzera “One Happy Family” seguito da un altro incendio in un’altra installazione per migranti. Gruppi di abitanti, e i fascisti di Alba Dorata, controllano le frontiere con respingimenti faidate: catene e pietre per bloccare pullman carichi di migranti e gommoni bloccati da cittadini autoctoni schierati sulla banchina per impedire che le persone sbarchino. Non va di certo meglio nelle zone presidiate dalla polizia e dalla guardia costiera greche. Notizie confuse e drammatiche parlano di utilizzo di idranti e gas lacrimogeni che colpiscono anche i bambini; giornalisti sul territorio raccontano che i poliziotti greci hanno sparato e ucciso un migrante siriano (notizia smentita dalle autorità greche); in rete circola un video pubblicato dalla Guardia costiera turca in cui si vede la sua omonima greca eseguire manovre per far tornare indietro i migranti con l’utilizzo di bastoni e alcuni colpi sparati in acqua come avvertimento.

L’UNHCR, l’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, senza entrare nello specifico delle responsabilità, riconosce “l’esistenza di respingimenti ed un uso eccessivo della forza lungo i confini” invitando “alla calma e a mettere in atto tutti gli sforzi necessari per evitare qualsiasi tipo di violenza”. Dall’altra parte la Turchia approfitta del clima al confine per accusare la Grecia di utilizzare metodi nazisti e l’Occidente di restare in silenzio, mentre però schiera 1000 uomini al confine per evitare che i migranti respinti dalla Grecia possano tornare nel Paese, permette ai propri soldati di aiutare i migranti a sfondare il blocco di frontiera, e allo stesso tempo edifica una recinzione vicino a Kaaragac per non consentire ai giornalisti di avvicinarsi troppo al confine turco.

La prigione greca

Sembrerebbe però che le parole di accusa della Turchia alla Grecia sui metodi utilizzati nei confronti dei migranti trovino un riscontro nell’inchiesta recente del New York Times secondo il quale la Grecia avrebbe creato un sito segreto nei pressi della frontiera con la Turchia dove trattenere i migranti entrati irregolarmente, per poi respingerli illegalmente, senza che possano presentare richiesta di asilo. Il sito si troverebbe nella parte nord-orientale della Grecia e si tratterebbe di un black site, vale a dire una località in cui viene portato un progetto segreto in violazione dello stato di diritto. Individuato grazie alle testimonianze e a rivelazioni satellitari è stato confermato anche da un ex funzionario della polizia greca e classificato come struttura di detenzione ma che viene utilizzato in modo informale durante i periodi di elevati flussi migratori.

l’Europa che fa?

Oltre il pacchetto di aiuti già detto in precedenza e parole di unità l’Europa sembra non avere una strategia precisa per affrontare il problema. Anzi, un modo di intendere la questione c’è ma va contro ipocritamente i princìpi su cui si basa l’Unione: non c’è accordo tra i 27 Stati riguardo l’accoglienza e la suddivisione dei migranti mentre condivisione a sigillare i confini (così come anche detto da Ursula von der Leyen).

Qualche passo in avanti cerca di farlo Ylva Johansson, commissaria europea per gli Affari interni, per cercare di trovare una soluzione comune sul diritto di asilo definendo un progetto di “meccanismo obbligatorio di solidarietà” per il quale ognuno degli Stati membri dovrebbe farsi carico di una certa quota di migranti.

Non tutti però sono d’accordo, quindi si cerca di trovare una soluzione alternativa per quegli Stati che non vogliono aderire al progetto; come ad esempio versare una somma di denaro o fornire le attrezzature necessarie agli Stati che si fanno carico dell’accoglienza. Più concrete al momento sono le misure di aiuto fornite da sette Stati membri – tra cui Lussemburgo, Francia, Germania e Finlandia sono già pronti – per il ricollocamento di 1600 minori non accompagnati e 2000 mila euro a testa a tutti quei migranti arrivati in Grecia prima del 1 gennaio 2020 per tornare nel proprio Paese di origine.

Un progetto che, spiega Johansson, potrebbe coinvolgere circa 5mila persone, oltre a quelle già inserite nel programma di rimpatri volontari. Una misura che comunque non è una novità dato che l’OIM – organizzazione internazionale per le migrazioni – già prevede misure di sostegno simili però non con cifre simili; solitamente intorno ai 350 euro.

In ogni caso siamo sempre alle soluzioni tampone, che leniscono ma non curano. L’Europa democratica si sta dimostrando piccola, ambigua, impaurita di fronte all’autorità turca che impunemente tratta come merce dei disperati. Allo stesso tempo è come se fosse iniziato un processo di sgretolamento del muro di ipocrisia dell’Europa che mostra la faccia pulita ma che sotto chili trucco che si scioglie sotto il sole medio-orientale nasconde rughe e malformazioni di una vecchia reazionaria.

C’è bisogno di soluzioni e la più ovvia – e la più difficile – è quella di mettere fine alla guerra in Siria, tutto parte da lì e fino a quando non si dirà basta dovremo attenderci flussi di migranti che continueranno a scappare e non serviranno barriere, soldi o spostare la testa dall’altro lato, perché una catastrofe umana non si può semplicemente mettere sotto il tappeto e fare finta di niente.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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