Da Ferragni a De Lellis: perché i loro successi non devono essere ignorati

L’influencer che batte Stephen King. Quando la scorsa settimana ho letto questo articolo su la Repubblica, mi è preso un colpo. Forse non è vero, mi sono detta. Eppure, sui social non si parlava d’altro: Facebook, Instagram, Twitter, era tutto un pullulare di titoli sulla giovane influencer romana.  Ma facciamo un passo indietro. Il 17 settembre esce in tutte le librerie il libro di Giulia De Lellis: Le corna stanno bene su tutto. Ma io stavo meglio senza! Negli stessi giorni, nelle sale cinematografiche italiane, viene proiettato come film evento il docu-film di Chiara Ferragni: Chiara Ferragni – Unposted.

Ma cosa hanno in comune queste due bellissime donne? Sicuramente le cifre da capogiro che sono in grado di muovere. Qualunque cosa sia toccata o sponsorizzata da loro diventa un successo: che siano trucchi, maschere o vestiti, tutto diventa sold-out in poco meno di ventiquattro ore.

Parola ai numeri

Giulia De Lellis è una delle influencer italiane più seguite del momento, ventitreenne di Pomezia, più o meno nota al grande pubblico per aver partecipato ad alcuni programmi tv Mediaset, ma amatissima dalle più giovani. Spopola sul web, diventa nel giro di pochi anni un’icona di moda e di stile. Ha un canale YouTube che colleziona milioni di visualizzazioni, su Instagram ha più di 4 milioni di follower. Ed è proprio attraverso questo canale che la De Lellis decide di annunciare il 26 luglio l’uscita del libro.

È bastato un video di lancio per scatenare i pre-order su Amazon. Il libro è andato a ruba ancora prima di uscire. I numeri sono da capogiro. Infatti, secondo i dati diffusi da Gfk (azienda leader nelle ricerche di mercato) si sono raggiunte le 53.674 copie vendute. Il libro della De Lellis è il libro più venduto al lancio in Italia negli ultimi due anni.

Lo stesso discorso vale per Chiara Ferragni, 32 anni, 17 milioni di follower, secondo la rivista Forbes la prima influencer al mondo nel campo della moda. In pochissimo tempo è divenuta un’icona di moda, di stile e di vita. Il lungometraggio, che arriva nelle sale cinematografiche italiane il 17, 18, e 19 settembre, dopo essere stato presentato anche al Festival del Cinema di Venezia, racconta la sua vita e mette in luce le tappe salienti che hanno portato la giovane donna al successo.

Attraverso interviste a giornalisti, scrittori, sociologi, docenti di Harvard si riflette su come l’avvento dei social network abbia trasformato radicalmente, oltre alle nostre vite personali, anche il mondo dei media e quello del business. Neanche a dirlo il film si è confermato un vero e proprio successo. Il lungometraggio entra infatti nella storia del cinema italiano come il film con più incassi e presenze. È stato visto da circa 160 mila persone facendo guadagnare ben 1.6 milioni di euro al box office.

Il dibattito intorno ai numeri

Il discorso è vasto e il dibattito è lungo. Perché non è vero che comincia oggi nell’era dei social, delle immagini condivise e subito postate di case, cibi e fogli di giornale o degli youtubers da milioni di visualizzazioni seguiti da ragazzini e ragazzine di ogni età (da CiccioGamer a Me contro Te, giusto per citarne un paio). Il problema dell’imbarbarimento culturale è sempre esistito. Nel dibattito intellettuale si è parlato a lungo di letteratura alta e letteratura altra.

Ci sono autori di serie a e autori di serie b, artisti elitari e altri definiti popolari. È il problema della qualità e di come l’alta qualità (che poi volendo essere relativisti come i sofisti ci sarebbe da dire: discussa da chi, definita da cosa?) spesso comporti una bassa ricezione. Ma siamo sicuri che il problema sia il film di Chiara Ferragni o il libro di Giulia De Lellis?

Lungi da me parlare di questi fenomeni accostandoli a concetti crociani, ma credo che in qualche modo si possa partire da questo per ampliare un po’ il confine del dibattito. È indiscusso che esista una qualità intrinseca di un prodotto letterario, artistico o culturale. È altrettanto indiscusso che Camilleri o Stephen King non possano concorrere o gareggiare nello stesso campionato di Giulia De Lellis, così come Chiara Ferragni non può gareggiare con Tarantino. Che partita sarebbe? Mi sembra abbastanza scontato il carro dei vincitori.

Eppure, siamo sicuri che sia davvero questo il punto? Non possiamo per una volta allontanarci dallo snobismo intellettuale e capire che questi prodotti commerciali o popolari esistono e non tolgono nulla ai lettori di Camilleri o agli appassionati del Maestro statunitense?

Alcuni falsi miti da sfatare

“È però le case editrici non possono dare spazio a una che ammette di non avere mai letto un libro in vita sua quando ci sono centinaia di aspiranti scrittori che studiano, leggono e si preparano moltissimo ogni giorno”. Certo. Vero. Discorso teoricamente sensato, ma concretamente errato. Le case editrici sono aziende. È bruttissimo sentirselo dire, sembra cadere tutto d’un tratto la torre d’avorio, l’aura mistico idilliaca della bellezza e dell’autenticità, dell’arte per l’arte sopra ogni cosa, ma così è.

Lo scorso anno partecipavo ad un corso di scrittura creativa e l’insegnante, parlando di vendibilità e di editoria, disse più o meno così: non dovete dimenticare che le case editrici sono come aziende di scarpe, vendono, certo vendono libri, ma si comportano come se vendessero scarpe. Le case editrici hanno una ragione sociale e un capitale sociale, i libri possiedono un codice a barre, ciò vuol dire che sono prodotti. E se un’azienda mende in vendita un prodotto lo fa seguendo alcuni criteri, uno dei quali è sicuramente: rientro o meno nelle spese?

Quindi non possiamo lamentarci se il nostro manoscritto non viene pubblicato e quello della De Lellis sì, il suo libro fa finire i conti dell’editore in attivo, il nostro chi lo sa. Certo poi esistono case editrici che investono e scommettono su giovani talenti, che pubblicano autori sconosciuti. Ma probabilmente non potrebbero mai pubblicarli (economicamente parlando), se non pubblicassero anche Giulia De Lellis.

“È, ma è tutto marketing, non c’è niente di vero in Chiara Ferragni”. Possibile. Anche qui però cerchiamo di andare oltre. Il matrimonio di Chiara Ferragni e Fedez, che si è svolto lo scorso anno a Noto, in Sicilia, avrebbe generato un Media Impacty Value di ben 36 milioni di dollari, esattamente il doppio di quello generato per il Royal Wedding. Allora non si amano? Allora hanno fatto le dirette in sala parto per la nascita del primogenito perché sono esibizionisti e finti? Chi può dirlo.

Ma anche qui sono scelte, anche qui i conti devono tornare. Non è un caso che il film della Ferragni sia stato presentato come film evento. Dove sta la differenza? Nel marketing appunto. Una programmazione normale prevede una programmazione dei lungometraggi nelle sale cinematografiche piuttosto lunga, poi varia in base ad una serie di questioni (grandezza del cinema, programmazione delle uscite, successo del film), ma tendenzialmente non viene tolto dalla programmazione prima di una settimana o due.

Dire film evento invece vuol dire che quella cosa sarà collocata in un tempo e in uno spazio ben preciso e determinato: ci sono soltanto tre giorni, solo una serie di biglietti limitati che possono essere acquistati, si genera inevitabilmente un’attenzione maggiore che determina quella caccia al biglietto che ha portato il film ad essere un incasso record ancor prima del rilascio.

“Non so chi siano queste due e neppure mi interessa saperlo”. Questi commenti sono meravigliosamente irrealistici. Prima di tutto è impossibile. Che tu sia un ingegnere o uno studente, un centralinista o un insegnante della Bocconi, non puoi non aver sentito parlare di Chiara Ferragni.

Puoi aver deciso consapevolmente di non interessarti alla sua vita, puoi non sapere il nome del figlio o dove va in vacanza, ma non ignori la sua presenza nel mondo. E se la ignori davvero, allora questo può rappresentare un problema. Mi spiego meglio. Che ci piaccia o no, che possa essere più o meno tollerata da noi, la presenza di questi prodotti commerciali e di questo esibizionismo è la cifra forse più peculiare del nostro ventunesimo secolo. E noi viviamo proprio qui.

L’hic et nunc non è un concetto ignorabile. E non lo è per un motivo molto semplice. Prima di essere insegnanti o letterati, ingegneri, medici o esperti di digital, noi siamo mamme, papà, fratelli, sorelle, zii, siamo persone che intessono rapporti sociali. E i rapporti sociali sono fatti di mezzi e strumenti, di parole e condivisioni. Se nostro fratello guarda Cicciogamer non possiamo far finta che lui e tutti gli youtubers non esistano. Se nostra nipote segue Giulia De Lellis e vuole andare al firma copie del suo libro, noi non possiamo dire questo libro non esiste. Il libro c’è, la libreria esiste e nostra nipote ci andrà.

E allora è opportuno forse capire di più, mostrare interesse anche verso ciò che normalmente non attira il nostro interesse, è opportuno uscire dalla comfort zone per esplorare di più, per cercare di comprendere quali sono i meccanismi che stanno nascendo e come questi ultimi si stanno consolidando sempre di più anno dopo anno. È importante che la sociologia parli e che gli antropologi diffondano i loro studi, è importante discuterne perché non è vero che se non ne parli, allora quella cosa non esiste. Questa è fantascienza.

Il mondo è fatto di verità e le verità sono anche fatte di numeri, di conti e di economia. E allora noi, che forse troppo spesso ci sentiamo investiti dall’alto di grandezza, abbiamo il dovere di scendere tra i comuni mortali. Perché è lì che c’è la vita ed è proprio lì che possiamo ancora fare qualcosa.

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