Quello della separazione delle carriere dei magistrati è uno dei dibattiti più accesi dell’intera scena politica italiana da qualche decennio a questa parte.Molteplici sono le argomentazioni utilizzate dall’opinione pubblica per manifestare il proprio favore o la propria contrarietà. Esse sono, però, spesso riconducibili ad una semplice forma di coerenza con le posizioni politiche di cui ogni singolo soggetto è sostenitore.
E’ indubbio che quella della divisione delle carriere dei magistrati è una iniziativa portata avanti da anni dai gruppi politici dell’area della Destra italiana, iniziativa accompagnata da aspri dibattiti e polemiche, in particolare da parte dei magistrati medesimi.
Le motivazioni a sostegno di quello che la premier Giorgia Meloni definisce “provvedimento epocale” sono numerose, varie e complesse: si ritiene che la separazione tra magistratura requirente e magistratura giudicante assicuri una maggiore imparzialità del potere giudiziario. Del resto, un magistrato che ha svolto la funzione di pubblico ministero potrebbe avere delle difficoltà a essere completamente imparziale nel ruolo di giudice e viceversa, soprattutto in casi la cui competenza è della stessa procura in cui ha lavorato.
Altro argomento a favore di questa idea di riforma sarebbe il giusto equilibrio che andrebbe ad assicurare tra le parti processuali (accusa e difesa), oggi, obiettivamente, non garantito.
Altro aspetto da non trascurare sarebbe quello di rendere più conforme possibile il profilo organizzativo del potere giudiziario in Italia ai modelli internazionali: in molti paesi, infatti, come Stati Uniti e Regno Unito, la carriera e la funzione di giudice e procuratore sono nettamente separate e distinte.
Per quanto detto fino ad ora e per altro ancora, parte dell’opinione pubblica vede di buon occhio la proposta di riforma in questione.
Tuttavia, non è possibile trascurare la percentuale che, invece, è apertamente contraria a questa divisione.
Anche in questo caso, le argomentazioni sono molteplici.
Uno dei temi su cui si insiste maggiormente è la paura di indebolimento della magistratura, nel senso che la divisione tra quella inquirente e quella giudicante finirebbe per determinare un controllo del pubblico ministero da parte della politica, con conseguente diminuizione dell’efficienza nel combattere il crimine nonché compromissione dell’indipendenza e autonomia della magistratura.
Naturalmente, è presente anche una parte di popolazione che, a causa di una conoscenza limitata della questione, non ha un’idea definita al riguardo e, ad onor del vero, bisogna anche ricordare come dato non trascurabile che una buona fetta di opinione pubblica si dichiara indifferente al tema.
Ciò che resta ancora da chiarire è la portata effettiva del cambiamento auspicato dal Presidente del Consiglio. Infatti, molti tra gli addetti ai lavori (avvocati, ma non solo) restano scettici, convinti che per una effettiva separazione tra giudici e pubblici ministeri non sia sufficiente una modifica solo formale del sistema.
Sta di fatto che, per ora, la palla passa al Parlamento, che avrà il compito fondamentale di decidere se far passare o meno la proposta di riforma costituzionale, con tutte le conseguenze del caso.