Sembra un revival della campagna elettorale del 1997, quella in cui l’ex Primo Ministro Tony Blair vinse le elezioni con il 43% dei voti, battendo dopo vent’anni il Partito Conservatore guidato al tempo da John Major, ex Cancelliere dello Scacchiere (una delle più importanti cariche istituzionali in materia finanziaria nel Governo inglese) di Margaret Thatcher, la famosa “iron Lady” (Signora di ferro) che per tutti gli anni ’80 fino al 1992 ha governato ininterrottamente nel Regno Unito con politiche neoliberiste incentrate sull’austerità, la repressione dei diritti sindacali e le privatizzazioni dei servizi nazionali.
Oggi dopo 27 anni la situazione sembra essere tornata a quella della fine degli anni ’90: abbiamo il segretario del Partito Laburista, Keir Starmer, che dal 2020 ha trasformato il partito da avanguardia politica del cambiamento sociale con grandi proposte progressiste in tema di economia, salute pubblica, istruzione e lavoro, ad un partito centrista, che strizza l’occhio ai conservatori moderati e promette poche riforme sociali, un capitalismo “green” e una forte politica internazionale filo-statunitense, ed utilizza la stessa canzone che usò Tony Blair per pubblicizzare il partito. Dall’altro lato, abbiamo il Primo Ministro uscente Rishi Sunak, grande fan della Thatcher tant’è che un anno fa la citò dal palco della convention Atreju di Fratelli d’Italia come esempio da seguire contro l’immigrazione (oltre che in politica interna ha continuato le politiche neoliberiste), anche lui ex Cancelliere dello Scacchiere ma per Boris Johnson, anche lui come Major nel ’97 impopolare nei sondaggi e rassegnato alla sconfitta. Insomma, le cose andranno davvero per il meglio come cantava il New Labour di Blair? Proviamo a fare un analisi di quello che sta succedendo.
Come siamo arrivati alle elezioni anticipate?
La crisi che sta affrontando il Regno Unito inizia nel 2022, subito dopo le dimissioni di Boris Johnson da PM a causa dello scandalo Partygate: il PM insieme ad alcuni suoi ministri (incluso Sunak) avrebbero organizzato delle feste a Downing Street durante la pandemia di COVID-19, violando le stesse regole emanate dal Governo Johnson sulle restrizioni sociali.
Il Governo passa a Liz Truss, altra thatcheriana convinta, che batte un record nazionale, in quanto il suo è il governo più corto della storia del Regno Unito. Dura un mese, dal 6 settembre al 25 ottobre 2022. Le cause? Appena eletta, Truss annunciò un taglio alle tasse e al welfare di 45 miliardi di sterline (tutto a sfavore delle classi popolari), portando nel caos i mercati finanziari e facendo svalutare la sterlina, con l’aggiunta di un malcontento popolare e di una crisi interna al Partito Conservatore.
E così arriviamo alla nomina di Rishi Sunak, il primo PM di origine indiana ed il primo nominato da Re Carlo III, con un patrimonio stimato di 700 milioni di sterline, una carriera nelle migliori università inglesi, un ex lavoro alla Goldman Sachs e patito della Thatcher. Insomma, tutti elementi che vanno a formare un leader impopolare nei sondaggi (attualmente i Conservatori sono al 20%), sommerso anche lui dagli scandali (due suoi ministri sono stati accusati di mobbing e sua moglie è stata accusata di non pagare le tasse), convinto interventista militare visto che la maggior parte delle sue politiche a livello internazionale sono state incentrate sul finanziare la guerra in Ucraina, costruire una flotta di sottomarini condivisa con gli Stati Uniti d’America, creare nuovi aerei da guerra insieme all’Italia ed al Giappone e ha visitato direttamente Benjamin Netanyahu per mostrare il suo supporto ad Israele. Ciliegina sulla torta, la deportazione dei migranti clandestini in Rwanda su una nave-prigione cargo. Se si nomina il fatto che negli ultimi anni la povertà assoluta in Inghilterra è cresciuta del 30% insieme ai casi di malnutrizione infantile, Sunak fa finta di niente… forse. Infatti non è un caso che proprio lo scorso mese, con largo anticipo e senza dare una motivazione, Sunak ha convocato le elezioni anticipate. E la situazione all’interno del partito non è migliore, visto che il congresso a Manchester del 2023 non è andato bene.
Insomma, la situazione nel Regno Unito non è delle migliori, con un’economia che continua ad indietreggiare dalla fine del COVID, i servizi sociali (soprattutto la sanità, che in questo momento è in sciopero) sempre più privatizzati e a portata di pochi, un malcontento sociale sempre più grande in particolar modo per le politiche razziste del governo. Ma quali sono le proposte dell’opposizione?
Qual è il programma del Partito Laburista?
Anche qui, come per i Conservatori, la storia del Labour inizia un bel po’ di anni fa. Dal 2015 al 2020 il leader del principale partito di sinistra è stato Jeremy Corbyn, socialista convinto ed esponente della hard left del partito, storico attivista nei movimenti sociali e nei sindacati, nonché critico del suo stesso partito durante i governi di Blair e Gordon Brown.
Grazie a Corbyn, il partito si sposta su posizioni più radicali facendo avvicinare i giovani alla politica (tant’è che si creerà Momentum, un movimento giovanile a sostegno del partito), portando il partito al 40% alle elezioni del 2017 ed in generale creando un nuovo immaginario politico che avrebbe influenzato in quegli anni buona parte dei nuovi partiti di sinistra radicale in Europa. Il manifesto corbyniano riassunto nella frase passata alla storia “For the Many, not the Few” (Per i molti, non per i pochi) era un concentrato di proposte incentrate sulla nazionalizzazione dei servizi pubblici, dall’energia al sistema sanitario nazionale, un salario minimo nazionale a 10 sterline l’ora, ad una transizione energica free-carbon, alla difesa dei diritti LGBT, alla tassazione progressiva dei grandi patrimoni e a forti posizioni contro la guerra ed il nucleare, ed un piano di costruzione nazionale di case popolari. Ma poi accaddero due eventi che spazzarono via la linea corbyniana: il primo alle elezioni del 2019, con la sconfitta netta dei laburisti che presero il 30% dei voti contro il 43% dei Conservatori, che portò alle dimissioni di Corbyn e alle elezioni di Keir Starmer come segretario, ed il secondo nel 2024, con l’espulsione di Corbyn dal partito per delle sue presunte prese di posizione antisemite. In realtà, il famoso antisemitismo di Corbyn era inesistente: più volte l’ex leader del Labour ha preso posizione a favore della Palestina e contro Israele, e questo è stato ritratto dai mass media inglesi come posizioni contro gli eberei.
E così inizia la parabola di Starmer, una parabola che esplicitamente si rifà alla “terza via” di Blair, in cui si cerca di riportare il Partito Laburista a posizioni più di centrosinistra, facendo quasi un mea culpa del periodo corbynista, e cercando di allargare l’elettorato verso le classi medie e i privati. Starmer infatti, a differenza di Corbyn, è un esponente della soft left, a livello internazionale sostiene Israele, la NATO e la guerra in Ucraina, è a favore del nucleare (cosa a cui Corbyn era assolutamente contrario), è contrario ad un aumento della spesa pubblica favorendo così una politica economica incentrata sul pareggio di bilancio, vuole una riforma della sicurezza nazionale sui confini ed è contrario alle deportazioni in Rwanda.
Il suo programma, rinominato “Change”, pone alla base minime riforme sociali: Starmer vorrebbe potenziare il sistema sanitario nazionale, in questo momento in tilt a causa di una lista di attese di 7 milioni di persone, promettendo una diminuzione dei numeri delle liste d’attesa appoggiandosi sui privati. Ha ripreso il progetto delle case popolari, annunciando di volerne costruire 300.000 all’anno… ma in realtà si tratta di aumentare l’offerta del settore privato, e poi c’è il famoso piano verde che si basa sulla costruzione della Great British Energy Company, azienda pubblica per le energie rinnovabili che avrebbe dovuto avere un budget di 28 miliardi di sterline e adesso è arrivato a 5 miliardi, senza contare che per la costruzione di alcuni impianti si dovrebbero espropriare molte abitazioni. Sulla tassazione la novità sarebbe un’imposta del 20% sull’IVA delle tasse scolastiche delle scuole private per finanziare il reclutamento di 6500 insegnanti nelle scuole pubbliche (anche se quest’ultime stanno chiudendo), ma allo stesso tempo non ha intenzione di tassare i redditi più alti, solo coloro che non sono domiciliati nel Regno Unito. Ed infine Starmer vorrebbe finanziare con il 2,5% del PIL la difesa del paese e finanziare un programma di sicurezza per bloccare i comportamenti “anti-sociali”.
Insomma, il Partito Laburista è diventato il partito “law and order” (Legge ed ordine) ma in salsa progressista? Se contiamo che dal 2020 Starmer ha praticamente monopolizzato le correnti del partito espellendo tutte le persone vicino a Corbyn, possiamo dire di avere davanti un partito conservatore di colore rosso.
Quale futuro per il Regno Unito?
Le elezioni che si svolgeranno il 4 luglio sembrano già decise: secondo i sondaggi il Labour molto probabilmente sarà la nuova guida del paese. In questo contesto le sfide da affrontare saranno molte, e a causa della non chiarezza dei finanziamenti ai progetti del programma potrebbe essere molto difficile per Starmer attuare le riforme che spera. Sempre che saranno abbastanza per risollevare il paese.
Il problema principale sarà come questa vittoria verrà venduta dai laburisti: abbiamo assistito più volte a proclami di leader di partito più o meno a sinistra che “al centro si vince”, cercando di avvicinare sempre di più i partiti progressisti a posizioni filo-conservatrici. Il guaio è che, dopo tanti anni di radicalizzazione della sinistra in Europa (specialmente in Francia con La France Insoumise di Jean-Luc Melenchon), si possa assistere ad un’emulazione dello starmerismo, con la possibilità che possa cambiare tutto… per non cambiare niente.
Mentre le destre più estreme marciano, l’alternativa non può essere avvicinarsi a loro ma saper pensare ad un mondo diverso.