L’articolo che segue è la terza ed ultima parte di una mini-rubrica suddivisa in tre puntate dove saranno analizzate le principali forze politiche italiane. Concludiamo oggi con il Centrosinistra.

Parte III – Il Centrosinistra: Trilogia alla scoperta delle forze politiche italiane
C’era una volta il Partito Democratico. Un partito di centrosinistra, leader nello scenario politico italiano. C’era, perché ad oggi appare relegato addirittura alla posizione di terza forza politica (dietro al Movimento 5 Stelle e alla coalizione di centrodestra). Come se ciò non bastasse, il PD risulta snaturato in molti dei suoi punti cardine e non pochi attualmente dubitano dell’appartenenza dei democratici alla sinistra. Come si spiega questa parabola discendete? E soprattutto, come arriverà il partito di Renzi alle elezioni del 4 marzo?

Quando il 12 novembre 2011 Berlusconi si dimetteva da capo del governo le motivazioni principali della scelta si riconducevano alla perdita della maggioranza nelle camere. Poco risalto venne dato invece alla crescita incontrollata di quel ‘mostro’ che oggi domina i mass media ed i dibattiti politico-economici: lo spread. Per tentare di risollevare il paese dalla crisi politica ma anche e soprattutto da quella economica, l’esecutivo fu affidato a Mario Monti. La manovra per risolvere l’emergenza fu il decreto, dal nome emblematico, ‘Salva Italia’. Un decreto-legge che, con l’obiettivo di ridurre il deficit pubblico e stimolare la crescita, da un lato tagliò i costi della spesa pubblica e dall’altro introdusse nuove tasse (la più criticata, l’imposta sulla prima casa, l’IMU). In poco più di un anno il governo tecnico introdusse altri provvedimenti, fra tutti la riforma del lavoro e lo spending review. Infine, il 21 dicembre 2012, dopo l’approvazione della Legge di Stabilità, Monti si dimise da capo del governo.

Dopo lo scioglimento delle camere, le elezioni del febbraio 2013 per la XVII legislatura italiana segnarono il ritorno del centrosinistra al potere. Come primo ministro venne nominato un esponente del PD, Enrico Letta. L’incarico fu quello di formare un governo di ‘larghe intese’. Napolitano infatti scelse di optare per la stabilità politica, vedendo nella convergenza delle forze politiche l’unica via possibile per ottenere maggioranze parlamentari e governabilità. Il governo Letta fu quindi segnato da una limitata libertà d’azione da parte del premier, sempre impegnato nella delicata posizione di mediatore fra forze contrastanti. Inoltre, il governo Letta ed il sistema delle larghe intese, crearono un fenomeno parallelo destabilizzante: il concetto alla base, cioè di smussamento delle differenze fra i partiti, portò al sorgere di una ‘area Schengen’ in parlamento. In meno di due anni ci furono 235 cambi di casacca, un trasformismo che ha portato molti ad unirsi al PD, partito deideologizzato visto come carro del vincitore al quale aggrapparsi.

Letta, dopo meno di un anno dalla sua investitura, perse la fiducia del suo stesso partito, che lo spinse alle dimissioni il 14 febbraio 2014. Un nuovo governo venne creato sotto la guida di Matteo Renzi, con l’obiettivo di avere finalmente più stabilità, indispensabile per portare a termine quelle riforme a lungo promesse. Ed effettivamente in 2 anni e 9 mesi le manovre effettuate furono numerose: Jobs Act, bonus di 80€, eliminazione dell’Imu, abolizione di Equitalia, spendig review. Poche però ebbero i risultati sperati, e molte costarono un alto sacrificio ai cittadini a fronte di benefici piccoli o difficilmente percepibili. Il referendum costituzionale del 2016 per la riforma Renzi-Boschi infine rappresentò il segno della sconfitta del PD e del suo premier. Così il 12 dicembre 2016 il dimissionario Renzi ha ceduto il testimone a Gentiloni, spesso definito come un semplice premier-traghettatore, ma che è stato probabilmente qualcosa di più. Lasciando da parte le manovre economiche e le scelte del ministro Minniti in tema di immigrazione, il grande merito di Gentiloni è stato quello di restituire un’immagine dignitosa alla classe politica. Al premier era stata lasciata una situazione confusa, incerta ed ingovernabile, che è stato capace di gestire con discrezione, centellinando i sì e tenendosi totalmente al riparo da scandali.

Ciò tuttavia non è bastato a riavvicinare ampie fasce di elettori al PD. Infatti, con la fine della XVII legislatura e dei 4 anni e mezzo di guida, il partito democratico ad oggi si avvicina alle elezioni come sfavorito, nei sondaggi dietro al Movimento e al centrodestra. Ma volgendoci ad esaminare l’operato del centrosinistra in questi anni, si possono individuare tre nuclei che spiegano la situazione critica che il partito sta attraversando. Primo fra tutti l’incoerenza, che inevitabilmente si identifica con la persona di Renzi: poco più di un anno fa si dimetteva dallo stesso ruolo per il quale oggi è tornato a lottare. Inoltre, è evidente una crisi di identità fra le fila del partito democratico. Nonostante l’ideologia tradizionalmente di centrosinistra, gli ultimi anni hanno visto il PD protagonista di manovre e dichiarazioni più vicine ad idee di centrodestra. Ciò ha determinato varie fratture interne, che hanno portato a scissioni importanti, fra tutte la creazione di Liberi e Uguali, guidata da Grasso e Bersani. Ultimo fattore da sottolineare, sono le cattive gestioni delle politiche, tanto a livello nazionale quanto a livello locale (come ad esempio nella regione Lazio).

Intanto manca meno di un mese alle elezioni. La confusione politica regna sovrana e si rispecchia nella campagna elettorale. Della sfiducia verso le forze tradizionali stanno beneficiando oggi i pentastellati, mentre a favorire la coalizione di centrodestra ci pensa la legge elettorale. L’Italia vive ancora un momento di crisi, tanto economica quanto sociopolitica. Le elezioni del 4 marzo creeranno un governo che non può permettersi di sbagliare. False promesse e progetti irrealizzabili andranno scansati e rifiutati fermamente. Bisognerà evitare di cadere nei tranelli dei ciarlatani e dei sofisti moderni, ricordando che il voto è un diritto ma anche un dovere e come tale va rispettato. A questo punto la palla passa nelle mani dei cittadini, che siano essi elettori o candidati, sperando che l’egoismo e gli interessi personali vengano abbandonati in nome del benessere collettivo.

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