Acquistare vestiti è qualcosa che tutti, che ci piaccia o no, siamo tenuti a fare: servono vestiti comodi per andare al supermercato, tute per allenarci in palestra, un abito elegante per un’occasione speciale. Per alcuni l’acquisto di nuovi vestiti è un’attività tediosa, persino stressante: negozi con un numero così vasto di opzioni che spesso sembra impossibile trovare qualcosa che incontri il nostro gusto o, al contrario, si trovano abiti che in quel momento sembrano essere indispensabili aggiunte al nostro guardaroba e che alla fine si finisce per indossare poco o per niente. È capitato a tutti, soprattutto in questo periodo dell’anno. “Ci sono i saldi, dobbiamo andare a fare shopping” è il mantra di Gennaio, recitato da televisione, cartelloni pubblicitari, post sui social media ed irrimediabilmente ripetuto da parenti, amici e colleghi, come un’eco assordante che non sembra acquietarsi finché non si mette piede nel centro commerciale più vicino. Nel caso in cui la frenesia dei negozi pieni di gente possa in qualche modo scoraggiare un nuovo favoloso acquisto non c’è da preoccuparsi: da una decina di anni ogni grande brand ha un proprio funzionale sito online per fare convenienti acquisti dal comfort del proprio divano, avendo accesso a tutto il range offerto dalla marca, da i vestiti agli accessori più disparati, spesso scontati ulteriormente rispetto a ciò che è disponibile in negozio. “Sul sito ci sono offerte imperdibili e se spendi più di tot € la spedizione è gratuita” è un’altra frase che sembra acquistare popolarità di anno in anno e grazie alla quale la scusa del “non ho avuto tempo di andare per negozi” o “ andare al centro commerciale durante i saldi mi manda ai matti”, che io stessa ho usato di anno in anno, non funzionano più bene come una volta. Dunque si finisce sempre per acquistare qualcosa, la spesa può essere grande, c’è chi aspetta proprio questo momento per rifarsi il guardaroba e sfoggiare in nuovi capi in un goffo tentativo di tenere fede al popolare proposito del nuovo anno “new year , new me” ( nuovo anno nuovo me) , ma può essere anche piccola: io stessa ho finito per comprare una maglietta in saldo ora ad un prezzo irrisorio che forse, in qualunque altro momento dell’anno ed al suo prezzo reale, non avrebbe neanche mai attirato la mia attenzione. Ma cos’è quindi la moda? Sembra una forza invisibile che sembra indurci a comprare nuovi abiti e che nel giro di pochi anni sembra trasformare i capi che già abbiamo dei relitti inavvicinabili, anche quando non si sono necessariamente usurati.
La moda non è un qualcosa che esiste solo sotto forma di abiti. La moda è nel cielo, nelle strade, la moda ha a che fare con le idee, il modo in cui viviamo, ciò che accade – così definiva il concetto Coco Chanel, indubbiamente una delle stiliste più influenti di sempre; vedeva nella propria attività commerciale non solo un’arte, ma una vera analisi antropologica presentata attraverso la trasformazione del tessuto. Questo approccio ha visto concordi tanti stilisti e direttori creativi, del presente e del passato, che sulle proprie passerelle, facendo sfilare le proprie creazioni, ponevano uno specchio di fronte ai propri spettatori per mostrare loro il vero aspetto dell’umanità. Ma la moda in senso modernonasce e si afferma negli anni 20 del 900’ per raggiungere il proprio apice negli anni 90: fu chiamata epoca dell’ opulenza perché una parte sempre crescente della popolazione mondiale non era solo in grado di acquistare singoli capi “di moda” ma era in grado di vivere e seguire la moda. In particolar modo in Italia, tra gli anni 70 ed il decennio successivo, il consolidarsi dei rapporti tra industria e stiliamo portò al trionfo di quel fenomeno conosciuto come “Made In Italy” che sancì la vittoria internazionale della moda italiana e dei suoi protagonisti come Giorgio Armani, Valentino, Gianni Versace e Gianfranco Ferrè.
Questa età dell’oro era destinata però a finire e ad oggi del prête à porter di una volta, con gli stilisti in diretto contatto con i fornitori di materie prime, è rimasto solo il ricordo. Già nel corso degli anni 90 la moda aveva iniziato a subire profondi mutamenti per adeguarsi alle richieste del mercato globale.
La figura dello stilista, molto spesso padrone della sua casa di moda, ha lasciato spazio a quella del direttore creativo che immagina le collezioni per i marchi sopravvissuti ai loro fondatori. Egli molto spesso non si preoccupa di disegnare il singolo capo d’abbigliamento per la collezione a venire, piuttosto stabilisce l’orizzonte creativo, individua il filo rosso che i suoi collaboratori devono seguire per creare qualsiasi prodotto venduto dal marchio. Il motivo per cui la moda sembra andare sempre più veloce è proprio perché i brand sono sempre alla ricerca di un nuovo trend da spingere sul mercato e di cui farsi pionieri. Oggi si parla addirittura di “microtrend”, una tendenza repentina che può esaurire il suo intero ciclo vitale nel giro di pochi mesi: un esempio lampante, e di cui io stessa sono caduta vittima purtroppo, è il trend dei “biker shorts”, i pantaloncini da ciclista indossati come capo da tutti i giorni. Avevano avuto un breve momento di gloria negli anni 90 quando furono popolarizzati dalla principessa Diana per finire poi nel dimenticatoio per una ventina d’anni. Intorno al 2017 la moda di strada è tornata ad orientarsi verso un approccio sportivo grazie al lancio di collezioni risultato dalla collaborazione tra celebrità e brand di sportwear come Fenty x Puma, tra la cantante Rihanna e la marca di scarpe, o la linea YEEZY, dal connubio tra il rapper Kanye West e Adidas. L’alternarsi dei microtrends porta alla produzioni di capi prodotti in massa studiati per essere indossati poco e il cui costo di produzione deve essere bassissimo: il fast fashion è un modello di produzione e consumo di moda che ha gravi impatti sull’ambiente, inclusi elevati consumi di risorse, inquinamento e rifiuti. La produzione veloce spesso implica l’uso intensivo di acqua, sostanze chimiche nocive e manodopera sottopagata; la rapida obsolescenza dei capi inoltre non fa che aggravare il problema dei rifiuti tessili. I materiali più inquinanti utilizzati sono in primo luogo il poliestere, la cui produzione richiede petrolio e che non è biodegradabile, il nylon, anche questo di origine plastica, e la viscosa, fibra seminaturale la cui produzione può causare problemi sanitari ed ambientali a causa del rilascio di carbondisolfuro.
L’unica cosa che possiamo fare come consumatori è acquistare coscienza di cosa compriamo: leggere le etichette e rendersi conto della tipologia di materiali impiegati così come in quale paese un capo sia stato prodotto (ovviamente una maglietta che costa 5€ prodotta in Vietnam, dove gli standard del lavoro sono notoriamente bassissimi, non potrà considerarsi una scelta sostenibile) è un primo passo per aiutare il nostro pianeta.
È importante anche riflettere su come spendiamo i nostri soldi, e di quanti abiti abbiamo veramente bisogno. Ora che mi sono informata di più sul tema e se 50€ euro da spendere per esempio, invece di acquistare quattro o cinque magliette da un brand fast fashion, preferisco invece
comprare solo una ma di una qualità nettamente superiore, realizzata magari in cotone biologico o altro materiale eco sostenibile . Ovviamente non è detto che un brand di lusso impieghi degli standard di produzione nettamente più alti degli altri quindi è sempre bene lasciarsi guidare dalla targhetta, ma in linea generale la stragrande maggioranza delle marche posizionate in una fascia medio alta ha fatto in modo di implementare nei propri processi produttivi tecnologie a basso impatto: un impegno di cui sono stati pionieri proprio i distretti conciari italiani che forniscono la maggioranza dei brand mondiali nell’ambito di accessori e abbigliamento in pelle. La speranza è che la sostenibilità diventi una componente primaria della cultura aziendale, non solo dietro la spinta di leggi italiane o europee, ma sopratutto come fattore di competitività e distinzione della concorrenza che sia in grado di attirare un sempre maggior numero di acquirenti.