“Quanto segue è ispirato a una storia vera, la storia vera è ispirata a una storia falsa. La storia falsa non è molto ispirata!”. Favolacce: il film dei fratelli d’Innocenzo che va oltre ogni schema. Direttore responsabile: Claudio Palazzi
Favolacce, film capolavoro dei fratelli d’Innocenzo, ci propone un racconto che si discosta completamente dalle fiabe classiche a cui siamo abituati. È la messa in scena di una storia ambientata in una provincia dall’aria surreale e misteriosa che farà da palcoscenico ad eventi inaspettati e tragici.
È un’estate qualunque raccontata da un adulto qualunque attraverso un diario di una bambina qualunque. Narra una comunità composta da villette a schiera apparentemente borghesi, staccionate bianche e verde tutto intorno, lontana dal classico scenario della città metropolitana.
Il “c’era una volta” fa posto ad una realtà cruda e inquietante in cui i problemi si nascondono dietro quell’atmosfera color pastello, dove è più semplice chiudere una porta piuttosto che affrontare un problema.
Sono fiabe definite “nere” che mettono in luce una generazione di genitori disillusi e ignoranti e figli che cercano di scappare da un ambiente restio e poco stimolante. La vita apparentemente normale fatta di barbecue e feste in piscina, si trasformerà in un atroce violenza.
La regia
Fabio e Damiano D’Innocenzo, romani, classe ’88, esordiscono con la “Terra dell’innocenza” (2018) ambientato nella periferia romana di Ponte di Nona caratterizzata da violenza sistemica e dalla seduzione della criminalità. Come gli stessi autori tendono a precisare, Favolacce rappresenta per loro “il secondo primo film”, sottolineando la capacità di approcciarsi a nuove storie in modo “vergine”. I temi affrontati ruotano intorno alle complesse dinamiche familiari, all’ipocrisia e alla crudeltà di genitori imborghesiti ma fin troppo rozzi e la malinconia mista a spensieratezza dei bambini. Nel 2020 la pellicola approda al Festival di Berlino dove vince l’Orso d’argento come migliore sceneggiatura.
L’ambientazione e i temi affrontati
Quella di Favolacce non è Spinaceto così come non è nessun’ altra periferia a sud di Roma o un nuovo quartiere residenziale dallo stile americano. Gli stessi autori hanno affermato in più interviste che la loro idea era di svincolarsi da ogni riferimento geografico e sociale seguendo un archetipo universalista.
“Favolacce insegna che non è il luogo a determinare chi sono le persone, ma è il contrario: sono le persone che determinano il luogo”, così affermano Damiano e Fabio d’ Innocenzo.
Allo stesso tempo, emerge un retaggio di Roma, riconoscibile dall’ innegabile accento romano, o meglio traspare uno stile di vita che è tipico della provincia romana.
Differentemente dal precedente film, l’ambientazione di Favolacce non appare così caratterizzata e viene messa in secondo piano. Quello che prevale, invece, sono i temi legati alla famiglia, al rapporto squilibrato tra padri e figli, alla maternità non sentita, alla sessualità velata e all’incapacità di essere genitori. In questa favola non esiste né morale né giudizio, non si dà né ragione né torto. I protagonisti sono tutti parte dello stesso meccanismo, ovvero un circolo vizioso che si tramanda geneticamente, il cui unico modo per slegarsi è tagliarlo.
Ho scelto di intervistare un padre e una figlia, due generazioni diverse, entrambi nati e cresciuti a Roma e ho chiesto loro quanto le tematiche affrontate nel film possano essere presenti nella realtà e quale sia il loro punto di vista. M. è una ragazza romana nata e cresciuta in periferia, attualmente trapiantata a Roma sud; mentre G., è un padre di famiglia, gran lavoratore e vantandosene si definisce un “romano doc”.
Il film mette in evidenzia la difficoltà nel rapporto genitoriale. Secondo te quanto esempi come la famiglia Placido, o la famiglia Rossi sono presenti nella realtà di oggi?
M.: “Sicuramente il mondo raccontato da Favolacce è crudo ed estremizzato ma non si discosta del tutto dalla realtà. So che per i ragazzini non ci sono molti luoghi sicuri in cui giocare; spesso gli spazi verdi sono mal tenuti ed i parchi giochi fatiscenti. Sono ragazzi dimenticati che aspettano una risposta dal comune che non arriva. Sfortunatamente le persone adulte che vivono i quartieri popolari sono sempre troppo impegnate a cercare di sopravvivere, con la mente troppo occupata dai problemi quotidiani per dare ascolto ai propri figli, che spesso si sentono soli e costretti a crescere troppo in fretta”. Gli spazi sociali sono sempre stati una guida per me, una valvola di sfogo che “mettesse una pezza” a dei genitori troppo distratti per potermi ascoltare, troppo impegnati con il lavoro e con i loro problemi. Ecco, forse è questo che manca ai ragazzi di oggi, luoghi in cui poter trovare un rifugio”.
G: “è difficile fare il padre oggigiorno, soprattutto perché non riesci a controllare tutto. Vorresti ma non riesci a farlo. Quello che manca è la comunicazione, e forse, in molti genitori, anche la comprensione. Essere genitori non te lo spiega nessuno, non esistono libri e quindi, a volte, si può anche sbagliare”.
Quindi, voi vi riconoscete in alcuni aspetti del film o si allontana completamente dal vostro nucleo familiare?
G: “Le famiglie raccontate sono molto lontane dal mio nucleo familiare però in alcuni aspetti mi rivedo. Riconosco quella voglia di andarsene, di fuggire lontano tipica degli anni dell’adolescenza; da adulto, ma soprattutto da padre, ho sempre fatto del mio meglio ma l’egoismo e le preoccupazioni sono sentimenti che provo di tanto in tanto.”
Roma appare e non appare nel film, secondo te quanto il luogo da cui provieni incide sul modo di essere?
M. risponde lapidaria: “non cambierei mai le mie radici. L’appartenenza ad un territorio mi ha regalato il senso di integrazione e la sensibilità verso il prossimo hanno plasmato il mio essere. La costante ricerca della rivalsa sociale e di quel bisogno di farsi sentire è, ad oggi, ciò che amo di più”.
Conclusioni
Si può definire Favolacce in tanti modi, crudo, violento, misterioso ma in fondo risulta essere una narrazione pop che collega immaginario e grottesco il cui obiettivo è quello di rappresentare una realtà mediocre che ha difficoltà a fare i conti con la verità.
È un pugno nello stomaco che provoca reazioni e sentimenti contrastanti.
È un film da cui imparare molto e ci insegna che dietro alla perfezione nulla è come sembra.