Si andava alla ricerca di corrispondenze nascoste: maghi e stregoni di ogni genere cercavano di spiegare il mondo ricorrendo a segnali, voci o rituali negromantici. Coloro che cercavano di spiegare i fenomeni naturali in veste di “scienziati” si arrestavano davanti all’impossibilità (dovuta ai pochi mezzi a disposizione) di dare spiegazioni dimostrabili: erano le cause occulte che dominavano il mondo.
Da una parte, l’eredità di Platone giganteggiava, il mondo aveva un’anima che giustificava il rapporto degli esseri umani con il cielo, in linea con il Cristianesimo che forniva una spiegazione antropocentrica dell’universo; dall’altra parte, l’impossibilità di dare un senso ai fenomeni naturali faceva galoppare la fantasia dei nostri antenati.
L’uomo era al sicuro entro convinzioni che facevano di lui il senso ultimo del cosmo.
In questo panorama di maghi, streghe e alchimia nasce in Polonia, 550 anni fa, Nikolaj Koprtnik, italianizzato Niccolò Copernico (Torun 1473- Frauenburg 1543): colui che è destinato a cambiare per sempre non solo una visione del mondo, ma anche il corso della storia.
La Rivoluzione Copernicana
Dopo una giovinezza trascorsa a studiare nelle migliori università d’Europa, Copernico inizia la sua attività di astronomo in modo del tutto peculiare rispetto ai suoi coetanei: anziché cercare di ipotizzare spiegazioni che posassero solo sulla creatività dell’intelletto, egli inizia ad analizzare i dati, fruibili già da tempo a tutti, e capisce che qualcosa non torna.
L’astronomo polacco legge il manoscritto che per eccellenza pretendeva di spiegare i movimenti del cosmo, l’Almagesto di Tolomeo, impara il greco per analizzare il testo in lingua originale, per immaginare che fosse proprio Tolomeo a parlargli: la terra è al centro del cosmo, intorno ad essa si muovono la luna, il sole e i pianeti, tutto il quadro si posa entro la cornice delle “stelle fisse”, ma l’apparente moto retrogrado di alcuni pianeti costringe Tolomeo a ipotizzare movimenti ulteriori e complicati. In questo quadro, Copernico si chiede: “le cose stanno veramente così?”.
Ad un tratto l’universo si disvela, un uomo capisce che l’idea geocentrica non è nient’altro che un’illusione: il Sole è fermo, è la Terra a girare.
La meraviglia che può portare una scoperta del genere, tuttavia, è direttamente proporzionale allo spavento: se la Terra non è al centro del cosmo, allora sono sbagliati i Testi Sacri, e chi è un semplice uomo per poter dire che la parola di Dio è scorretta? Se il Sole è immobile rispetto alla Terra, allora anche il senso comune si muove nell’illusione, quel senso comune millenario che aveva trovato la spiegazione più semplice per giustificare il giorno e la notte: la logica esistente va contro le idee di Copernico, e come si può chiamare un uomo che porta avanti tesi illogiche se non “pazzo”? Se la terra è decentrata, allora il disegno antropocentrico del cosmo, che da sempre aveva rassicurato gli uomini, non ha più senso di esistere: che scopo ha ora la vita?
Di fronte alle remore che Copernico immaginava potessero seguire alle sue scoperte, soprattutto in un’era dominata dalla Chiesa, il suo atteggiamento fu molto cauto: la fama di brillante astronomo gli consentì di tenere conferenze astronomiche, seguitissime da professori e studenti, nelle più famose università d’Italia, dove precedentemente aveva studiato, e di crearsi importanti contatti a livello ecclesiastico – e qui, lo zio adottivo di Copernico, il vescovo della Varmia, giocò un ruolo fondamentale, gli fece anche ottenere un canonicato. Non disse mai una parola di troppo, né una parola fuori luogo.
Nel frattempo, per tutta la sua vita, Copernico è intento a scrivere la sua opera magna, il De revolutionibus orbium coelestium (Le rivoluzioni delle sfere celesti), e, si dice, che gli diedero la prima copia del libro proprio sul letto di morte (1543).
La ricezione dell’eliocentrismo
Per quanto rivoluzionario sia il nuovo sistema che presuppone l’eliocentrismo, le remore, i timori e il carattere moderato di Copernico, giocarono un ruolo fondamentale: nel suo manoscritto in cui espone un sistema scientifico, cerca giustificazioni metafisiche e religiose che lo facciano andare in accordo con la tradizione che, in realtà, stava distruggendo.
Per essere in linea con la religione, Copernico scrive che per illuminare l’universo, Dio non avrebbe potuto fare scelta migliore se non quella di mettere il Sole al centro.
Malgrado l’astronomo si prodigasse a trovare accordi con la tradizione, l’eliocentrismo, per i suoi tempi, rappresentava una novità spiazzante. Proprio per questo, la ricezione così positiva del De revolutionibus orbium coelestium è dovuta soprattutto all’introduzione scritta dal suo amico e seguace Andreas Osiander, un teologo luterano, il quale specifica che il sistema eliocentrico non pretende di essere una descrizione della realtà fisica dell’universo (contrariamente a quello che credeva Copernico), ma di essere solamente un modello matematico: la grande ipotesi copernicana è ridotta ad un ammasso di astrattezze geometriche senza alcun fondamento.
Fu probabilmente proprio questo che consentì al nuovo sistema di prosperare e di sedimentarsi nelle università -dove venivano spiegate le due grandi visioni: quella tolemaica e quella copernicana, e si dava la possibilità agli studenti di farsi la propria idea-; ma, soprattutto, questo stratagemma di Osiander di ridurre il sistema copernicano ad un modello matematico, fece sì che l’opinione della Chiesa cattolica potesse essere tollerante rispetto alla grande novità che confutava i testi biblici.
La teoria copernicana, vivendo come “modello geometrico” non ebbe particolari problemi, tranne quando Galileo Galilei ne cercò di dimostrare la sua verità fisica e reale. La Terra, dice Galilei, nonostante quanto scritto nei testi sacri, “eppur si muove”.
L’universo e l’uomo
L’essere umano ha sempre avuto interesse per gli astri celesti, d’altronde, questi puntini luminosi che compaiono di notte sono sempre stati l’unica costante sotto gli occhi di tutti gli esseri umani fin dagli albori dei tempi.
Gli astri danno luce alle tenebre, e, con eleganza e noncuranza, sottraggono la notte alla paura: un essere umano trova conforto sotto il cielo stellato, e la solitudine della notte appare un po’ più tollerabile. I canti alla luna e alle stelle rendono omaggio a quelle sfere luminose che da sempre ci accompagnano.
“O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari. […]”
Giacomo Leopardi – Alla luna
Ma oltre ad alleviare dolori umani, gli astri hanno indotto anche timori: lì, fermi, immobili, imperscrutabili difronte all’uomo vulnerabile, misero, finito, solo.
Proprio per questo, la tendenza umana a cercare di dare una spiegazione alle cose, unita allo spavento dato dall’immensità del cielo, ha fatto si che la nascita dell’astronomia coincidesse con quella dell’astrologia: Giove era il padre degli dèi, Saturno era il titano padre di Giove, Venere la dea della bellezza, Marte il dio della guerra e dei commercianti.
La curiosità degli esseri umani davanti al cielo stellato esiste da sempre e, infatti, sono antichissimi i primi manoscritti di astronomi che cercano di guardare il mondo e il cosmo in maniera differente: non da semplici abitanti della terra, ma cercando di avere lo sguardo di Dio, abbandonando la loro esistenza e afferrando il cosmo nella sua interezza.
Copernico si inserisce tra le fila degli osservatori del cielo, smontando sicurezze e rivoluzionando il ruolo dell’essere umano nell’universo. È il primo e più importante passo rispetto alla decentralizzazione dell’uomo, e a mano a mano che il progresso avanza (tutt’oggi) l’essere umano ha sempre più contezza del suo ruolo marginale, finito, periferico, rispetto all’universo.
Dopo Copernico, Tycho Brahe vede che la cornice immutabile delle stelle fisse, in realtà, è in mutamento: forse quelle stelle sono altri Soli? E poi, Giordano Bruno si interroga, ma l’universo è finito? Siamo soli nell’universo? Ed oggi, con la teoria delle stringhe, ci si chiede addirittura se questo sia l’unico universo esistente.
L’avere contezza della nostra marginalità è, senza alcun dubbio, spaventoso, tuttavia, forse proprio questo deve essere il motore per consentire agli esseri umani di non sprecare la propria esistenza, che, come un battito di ciglia nell’economia dell’universo, scompare.
Roma ha ospitato la mostra “Copernico e la rivoluzione del mondo” per il 550° anniversario dell’uomo che rivoluzionò il mondo
Per commemorare la nascita dell’astronomo polacco di formazione italiana, la Curia Iulia nel Foro Romano ha ospitato dal 21 ottobre al 29 gennaio una mostra interamente dedicata a Copernico.
La mostra è frutto del sodalizio rinnovato tra Polonia e Italia, le due patrie dello scienziato -l’una di nascita, l’altra di formazione-: la sinergia del lavoro di squadra internazionale ha prodotto uno spettacolo unico.
Grazie alle proiezioni multimediali, la mostra non si limita ad essere un omaggio a Copernico, ma diventa anche un luogo di incontro tra le menti geniali che hanno contribuito a farci avere la conoscenza del mondo di oggi: da Pitagora ad Aristotele, da Aristarco di Samo a Tolomeo, da Galileo a Newton.
Lo spettatore si trova coinvolto in uno spazio atemporale nel quale potrà avere contezza della grandiosità del processo scientifico, della costruzione di conoscenze che delineano il mondo, della vastità del progresso di oggi a partire da un’era di ignoranza totale.
In questo quadro si capisce quanto il processo di conoscenza nel suo insieme sia frutto di un lavoro di squadra tra menti brillanti, e, al tempo stesso, si percepirà quanto rivoluzionario e importante sia il frammento di conoscenza posato da Copernico.