Elezioni alle porte. E sempre più dubbi. Per chi votare? Difficile rispondere, ma esaminando gli obiettivi raggiunti dai partiti in lizza nelle ultime legislature è possibile farsi un’idea. Tali obiettivi devono ovviamente aver portato un beneficio soprattutto per quella porzione di società più bisognosa di riacquistare stabilità e certezze.

Ogni partito ha una sua storia e una peculiare analisi. Per esempio il Movimento 5 Stelle non ha mai governato il paese e quindi non è giudicabile sotto questo aspetto. Ma da qualche tempo amministra importanti comuni e, statistiche alla mano, è attualmente il primo partito d’Italia. Il ragionamento terrà quindi conto di questi presupposti.

Iniziando dall’ultima coalizione di centro destra che ha governato l’Italia è possibile notare che nella composizione poco è cambiato. La coalizione è la stessa. Le statistiche informano che i pesi e contrappesi dei tre partiti si sono spostati. Berlusconi nonostante risulti essere incandidabile per la legge Severino mira ancora a guidare la coalizione dall’esterno. Lega e Forza Italia hanno accorciato le distanze riguardo le quote per la conquista dei seggi. Spezzando una lancia a favore della coalizione di centrodestra, nei 5 anni di governo, Berlusconi dovette affrontare l’inizio di una delle peggiori crisi economiche globali. Ma la gestione di tale crisi è stata completamente inefficace, nonostante il governo avesse i numeri per agire quasi indisturbato: una forte maggioranza e un’inefficiente opposizione. È possibile ricordare come Berlusconi negasse che la crisi fosse arrivata in Italia. Una mossa politicamente sensata se lo scopo fosse stato quello di contenere il panico e cercare di far continuare a circolare investimenti e denaro. Ma nel contempo avrebbe dovuto adottare politiche di ripresa economica, incentivando investimenti e il credito verso le imprese. Non venne adottata neanche la diminuzione del cuneo fiscale e l’abbassamento delle tasse verso i consumatori finali. Anzi l’IVA si alzò e la disoccupazione aumentò esponenzialmente. L’attenzione posta nel promulgare leggi ‘ad personam’ per non perdere i processi a capo del Presidente del Consiglio favorirono l’aumento dell’evasione fiscale e lo svuotamento delle casse dell’erario. Per arginare al meglio la mancanza di liquidità vennero effettuati tagli rovinosi alla sanità (alcune importanti regioni erano in mano alla destra, vedi il Lazio), all’istruzione (vedi la deprecabile riforma Gelmini) e così via. Anche la credibilità all’estero venne meno con operazioni fallimentari (politiche errate nel conquistare una posizione di forza nell’UE) e accordi con leader discutibili (Gheddafi in Libia). Alla fine del mandato Berlusconi consegnò al governo di tecnici (Monti) un paese in ginocchio che sembrava dovesse dichiarare il default insieme alla Grecia.

Il governo di tecnici subentrato ha seguito le regole tedesche (fallimentari) di austerità per tentare di rimettere in piedi un’Italia distrutta. Le loro politiche di estremi sacrifici da parte degli italiani si sono rivelate un palliativo. Hanno riportato qualche risultato nel breve periodo (tra cui la riconquista di una credibilità oramai persa all’estero) e pochissimi giovamenti nel lungo periodo. Ma soprattutto hanno permesso un divario enorme tra il ceto medio-povero e quello benestante, rappresentato da pochi elementi. Aggravò quindi la peggiore delle conseguenze prodotta dal sistema capitalistico e globale.

A seguire il PD ha iniziato il suo lungo e tormentato periodo di governo cambiando ben 3 presidenti del consiglio. Il governo non ha mai avuto una maggioranza grazie alla discutibile (eufemismo) legge elettorale lasciata dal governo di centro destra che avendo annusato la propria sconfitta preferì lasciare al governo successivo una strada tutta in salita nell’effettuare qualsiasi riforma. Il PD ha riportando importanti risultati e altrettanto importanti sconfitte dovute per lo più all’esuberanza del premier Renzi che ha personalizzato la più importante riforma costituzionale degli ultimi 7 anni. Puntando tutto su questo stravolgimento, legato a sua volta indissolubilmente a una nuova legge elettorale, ha riportato una rovinosa sconfitta perdendo consensi e aumentando quelli degli avversari. Questa sconfitta ha offuscato tutti gli ottimi risultati raggiunti fino ad allora ed anche quelli raggiunti in seguito con il governo Gentiloni. Unioni civili, testamento biologico, diminuzione delle tasse per le imprese e per i dipendenti (80 euro), abbassamento del canone RAI riuscendo a recuperare molti evasori, premi alla natalità, abbassamento della disoccupazione, ripresa di molte industrie in crisi (vedi Fiat), riforma della Pubblica Amministrazione rendendo più semplice il licenziamento per giusta causa, innalzamento dal PIL e inizio di ripresa dalla crisi. La credibilità all’estero era tornata e di conseguenza l’investimento da parte di imprenditori esteri. La nuova legge costituzionale per alcuni non era scritta bene, ma è anche vero che le riforme importanti vanno effettuate lentamente e questa innovazione portava più benefici che danni (abolizione di gran parte del senato togliendo anche importanti poteri, eliminazione del CNEL, modifica dell’articolo 117 sul rapporto Stato – Regioni, attualmente, per alcuni versi, estremamente caotico, etc.). Ma la superbia di Renzi, la mania di protagonismo di D’alema e altri elementi della sinistra hanno creato scissioni spaccando il PD. Problemi di conflitto d’interesse per l’intervento della Boschi in faccende di banche che coinvolgevano anche il padre, hanno decretato la fine della sinistra.

Infine la terza forza politica: il Movimento 5 stelle. Come già detto non ha mai governato l’Italia ed al momento l’incognita è uno dei punti a loro favore. La critica però c’è e riguarda l’attuale amministrazione di alcuni comuni che il grillini sono riusciti ad aggiudicarsi. Roma è l’esempio più evidente. È la capitale, la città più importante d’Italia e anche la più difficile da governare. Ma il palese fallimento da parte della sindaca pentastellato, Virginia Raggi, non è giustificabile per diverse ragioni. La prima, sono le promesse fatte dal Movimento. In quasi due anni nessuna è andata a segno e anzi la situazione di degrado che la città sta vivendo è la peggiore degli ultimi 20 anni (forse con Alemanno si è toccato livelli simili ma il sindaco di centro destra poteva giovarsi della rendita lasciata dalle precedenti amministrazioni). La seconda, l’atteggiamento del Movimento sempre più simile ai vecchi partiti che loro stessi denigrano. Mentono sullo status quo della situazione romana per mantenere gli elettori del resto d’Italia; si circondano di persone discutibili che poi cacciano, ma che non riescono a selezionare bene a priori; iniziano alcuni lavori di manutenzione in tutta fretta a pochi giorni delle elezioni per ovvi motivi di campagna elettorale; la palese incompetenza dettata dall’inesperienza. Su quest’ultimo punto tra l’altro non c’è speranza di miglioramento perché lo stesso statuto del Movimento vieta di candidarsi per più di due mandati. Questo rende impossibile crearsi un solido curriculum nel difficile mestiere del politico. Insomma la forza dirompente della novità cogitata dal genio di Casaleggio qualche anno fa, ad oggi, non è riuscita a mantenere le aspettative. E non riuscendo a governare un comune (anche se il più grande e problematico d’Italia) sembra impossibile che riescano a guidare un intero paese.

Facendo quindi un bilancio delle tre brevissime analisi non rimane che votare chi ha fatto dei progressi. Anche se pochi. Ricordando che la democrazia è questo. Niente può essere fatto in poco tempo e niente con gran facilità, soprattutto se non si possiede una grande maggioranza al governo. E questa può essere data solo da un voto ragionato degli elettori. Non avere la maggioranza o averla per pochi numeri porta la forza al comando a servirsi dei tanto discussi “inciuci”. In democrazia si traducono con “compromessi” e sono le basi del pluralismo. Il populismo cerca di smentire questo principio, ma non esiste partito o movimento al governo che ne possa fare a meno. L’altra alternativa di voto è un salto nel buio. Sperando che le poche esperienze fatte dal Movimento 5 stelle siano d’insegnamento. Un’altra scelta elettorale è dare la possibilità a chi ha distrutto il paese in passato di rimediare. Ma è un estremo atto di fiducia. Infine esiste la possibilità del non voto. Ma è inutile farla passare per una protesta. Non si tratta di un referendum dove serve un quorum per essere convalidato. Alle politiche basta anche un voto per mandare una forza politica al governo e questo è il fine che rincorrono tutti i partiti (e Movimenti). Quindi la soluzione dell’astensione è la più discutibile e porta al diniego dei propri doveri e responsabilità. Quindi colui che opta per il “non voto” riesce a essere più inutile di coloro che egli stesso critica. Sarebbe bene ricordare che in democrazia è inevitabile e fisiologico votare “il male minore” perché l’alternativa non esiste o meglio si manifesta solo con “il male peggiore” cioè la dittatura.

 

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