Ore 11.40 di stamani. Mentre l’entrante governo Letta è in procinto di giurare e dunque accettare l’incarico, un uomo (Luigi Preiti, 49 anni) ha aperto il fuoco di fronte a Palazzo Chigi, con l’intento di colpire i politici, ma finendo per ferire due carabinieri e una passante. Mentre al Quirinale si festeggiava la conclusa ed estenuante procedura di formazione dell’esecutivo, in Piazza Colonna si consumava la tragedia, solo dopo trapelata dentro le mura del palazzo.
È difficile commentare i fatti di oggi. Difficile commisurare disperazione, rancore, paralisi e confusione. Le immagini d’altronde parlano chiaro. Di un attentatore che spara ad altezza d’uomo -con lo sconforto negli occhi- ferendo oltretutto due carabinieri che nulla avevano a fare con la sua (la nostra) rabbia. Delle forze dell’ordine che si avventano su di lui con una rapidità e prontezza di spirito che non può -una volta tanto- non farci voler loro un po’ più bene. Non riesce però neanche l’abbandonarsi completo alla logica dell’odio, del mostro nemico della democrazia, nonostante i colpi e l’angoscia, perché sentiamo il suo dolore come il nostro, in qualche modo (cosa ben lontana dal sentire in noi quel grilletto premuto). Tant’è che poi i medici parleranno di un uomo disperato, non folle: è infatti attorno a tale lucidità che la logica di questa giornata tragica circoscrive una parabola ben più lunga di un improvviso raptus.
Se infatti, pur adusi a raffiche di mitraglia giunte da paesi esotici comunque quei colpi di pistola ci lasciano inquieti di vecchi ed orribili ricordi, le parole di “gesto isolato” da più parte utilizzate come una autoconsolatoria preghiera non ci lasciano una vera e propria serenità ritrovata. Anzi, sarebbe un’ardua scelta quella tra una scientifica organizzazione di professionisti della violenza e la tetra processione di disperati pronti ad un estremo atto di odio e paura. Succederà di nuovo, e le parole del cardinal Bagnasco (che oggi parla di pesante monito) ne sono un’indicazione ben rappresentativa. Ciò che soprattutto va però sottolineato è come alcuni giornalisti abbiano riportato come fossero in procinto di allontanarsi da Piazza Colonna: i carabinieri la stavano delimitando. Se infatti stavolta è toccato loro, è probabilmente perché Preiti è in quel momento giunto a conclusione di non avere possibilità di attendere qualche rappresentante delle istituzioni. Inutile dire che lo stato di allarme dichiarato al Quirinale dopo gli eventi di Palazzo Chigi non possono porre fine al problema, ma anzi giungerebbero ad alimentarlo, ora che l’esempio è stato dato. Di mani da armare oggi ne girano -anche per loro responsabilità- sempre di più.
Il carabiniere in terapia intensiva paga oggi non esclusivamente le dichiarazioni al vetriolo contro il palazzo -come è piaciuto ritenere in pubblico da Alemanno e Alfano– quanto il fatto che abbiamo lentamente cominciato a ritenerle vere. E non ci si è andati poi così lontano, con le conseguenze inevitabili oggi puntualmente verificatesi. Sarebbe tuttavia sbagliato cadere in un fatalismo colpevole, quanto lo sarebbe fare un boccone delle paure comuni per riportare all’ordine il giusto rancore che riempie il paese, soffocandolo. L’immagine certificata di questa giornata rimane comunque nei suoi violenti contrasti, il giorno di un giuramento di sangue, espresso quando fuori scoppiava l’inferno. Difficile non pensare che le due cose siano collegate. L’angoscia si sta armando, e non c’è nulla di cui essere allegri: la volontà di potere può essere fermata, la disperazione mai.