GRECIA: UN’ECONOMIA A BASSO RENDIMENTO

Il 7 luglio 2019 si sono tenute le elezioni politiche in Grecia, dopo quattro anni in cui la sinistra di Syriza, il partito dell’ex primo ministro Alexis Tsipras, ha dovuto affrontare il periodo più complesso della storia recente del paese ellenico.

Tsipras diventa premier nel 2015 per la prima volta, succedendo ad Antonis Samaras, leader del partito di centro-destra Nea Demokratia. La vittoria di Syriza viene accompagnata da grande entusiasmo da parte dei cittadini greci, che non solo confermano nello stesso 2015 il mandato a Tsipras, ma appoggiano il controverso referendum di quello stesso anno sull’accettazione o meno dei vincoli europei. Tsipras riporta così un’importantissima vittoria, che gli permette di andare a trattare ai tavoli europei forte di un notevolissimo consenso popolare. Ciò però non è stato sufficiente: le pressioni della BCE e del Fondo Monetario Internazionale non gli hanno permesso di dar seguito agli esiti del referendum, obbligandolo a governare in un contesto socioeconomico estremamente complesso.

Queste ed altre cause, che approfondiremo in seguito, sono alla base del ritorno al governo, alle elezioni di qualche settimana fa, di Nea Demokratia, che hanno portato il leader Kyriakos Mitsotakis a diventare premier, forte della maggioranza assoluta all’interno del Parlamento.

UN PO’ DI STORIA

La storia greca è estremamente complessa, caratterizzata da forti tendenze estremiste sia in campo politico sia in campo sociale. Così come il Portogallo e la Spagna si colloca tra gli Stati che il politologo Samuel Huntington inserisce nella terza ondata di democratizzazione. In particolare, il procedimento di transizione democratica in Grecia è preso come esempio positivo da Robert Dahl che ritiene che gli stati che diventano democratici dopo un passaggio da una dittatura militare sono considerabili come più stabili. Dopo la Seconda Guerra Mondiale e la liberazione dall’occupazione delle forze dell’Asse, la Grecia ha instaurato una sorta di monarchia costituzionale, che però fin dall’inizio dava forti segni di instabilità. Sotto questo punto di vista risulta fondamentale la destituzione del primo ministro George Papandreu da parte del re Costantino II nel 1965, che ha portato ad un’escalation di violenza, culminata con l’istituzione di una dittatura militare nel 1967. Il cosidetto regime dei Colonnelli.

Tra il 1974 e il 1975 una concatenazione di eventi portò alla costituzione di una democrazia parlamentare: in primo luogo il fallimento del colpo di stato di Cipro e la conseguente invasione turca in Grecia indebolirono fortemente il regime, poi la rivolta studentesca dell’Università di Atene ed infine il ritorno in patria di Konstantinos Karamanlis, uomo politico che godeva di grande popolarità e considerato un democratico. Sarà proprio Karamanlis il primo premier della Grecia nuovamente democratica.

Da lì in avanti, così come per gli altri Stati della terza ondata, c’è stato un periodo caratterizzato da un discreto sviluppo economico ed un processo costante di consolidamento della democrazia, di cui fa pienamente parte l’ingresso nell’Unione Europea nel 1981 e l’adozione dell’euro nel 2001. La stessa organizzazione dei giochi olimpici nel 2004 ha permesso agli ellenici di aprirsi definitivamente al mondo ed investire su infrastrutture e welfare.

LA GRANDE CRISI

Secondo molti osservatori, tuttavia, la crescita greca di questi anni ha avuto un impatto molto poco rilevante sul piano reale. Dato, questo, osservabile da un indice di diseguaglianza elevatissimo anche prima della crisi del 2008. Infatti, ad arricchirsi, erano sempre gli stessi soggetti, in particolare la così detta classe degli armatori, estremamente potente nel paese ellenico. Nel 2008 la Grecia è stato uno dei paesi maggiormente colpiti dalla crisi finanziaria. Alcuni ritengono che ciò sia principalmente dovuto al fatto che i governi greci avessero falsificato i propri bilanci per poter rientrare nei parametri richiesti dal Trattato di Maastricht per poter accedere alla moneta unica, altri ritengono invece sia stato a causa delle eccessive speculazioni che ci sono state sul patrimonio statale.

Ciò che rimane però un dato di fatto è che la Grecia sia stata distrutta dalla crisi, per tutta una serie di cause: innanzi tutto l’incapacità del presidente Antonis Samaras di portare avanti delle riforme che permettessero di ristrutturare il debito sovrano greco, in secondo luogo probabilmente l’eccessiva rigidità dei partners europei, che non avendo alcun interesse a che la Grecia andasse in bancarotta, non hanno avuto pietà nell’imporre strettissime regole ai Greci, soprattutto tramite tagli al welfare e privatizzazioni sanguinose, come quelle dei porti, degli aeroporti e delle ferrovie. In questa situazione molto complessa, si è trovato a prendere il potere Alexis Tsipras, che ottenuto un ottimo consenso da parte dei cittadini, soprattutto alle seconde elezioni e al referendum del 2015, non è riuscito in ogni caso ad ottenere un congelamento del debito da parte di BCE ed FMI. Va detto dall’altro lato, però, che l’azione di Mario Draghi come Presidente della Banca Centrale Europea, è stata molto utile ai governi greci, che hanno ottenuto ossigeno tramite il quantitative easing.

CONCLUSIONI

Oggi la Grecia è considerata una nazione in crescita: secondo le stime dell’Unione Europea, il PIL ellenico crescerà del 2,2%, nettamente al di sopra della media europea dell’1,4%, confermando il trend positivo degli ultimi due anni. Nonostante ciò i cittadini greci, alle ultime elezioni, hanno deciso di premiare nuovamente coloro che da molti sono considerati i maggiori responsabili della crisi, e cioè gli esponenti del partito Nea Demokratia. Yanis Varoufakis, ex ministro dell’economia di Alexis Tsipras, ed eminente economista a livello europeo, considerato euroscettico, ritiene che ad oggi la crescita greca non sia una crescita reale, e che anzi stia arricchendo nuovamente, solamente la fascia più ricca della popolazione. Quest’affermazione è in parte suffragata dai dati, infatti in l’indice di diseguaglianza è elevatissimo, tra i più in Europa, laddove il 20% della popolazione più ricca guadagna quasi sette volte in più del 20% della popolazione più povera. Inoltre, seppur sensibilmente in discesa negli ultimi anni, il tasso di disoccupazione è ancora elevatissimo ad oltre il 17%, così come il debito pubblico, pari a circa il 170% del PIL. Infine il reddito pro capite è in media di soli 18 mila dollari annui, anche qui in fondo alla classifica degli stati europei.

L’uscita della Grecia dalla crisi economica sembra essere stato quanto di più complesso il Paese abbia mai dovuto affrontare e quello che ci si augura è che riescano a non ricadere negli stessi errori che li hanno condannati in passato, tuttavia, perché questo sia possibile, servirà che chi governa questo paese, abbia la lungimiranza di investire nuovamente sul welfare smantellato negli anni passati e soprattutto riesca a creare nuovi posti di lavoro tramite riforme strutturali. Il dato che fra tutti, infatti, spaventa di più è quello della disoccupazione giovanile, ancora quasi al 40%, che dà ancora l’idea di un paese con poche prospettive.

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