I giovani e il mondo del lavoro: gli atti del governo gialloverde e l’incertezza del futuro
Le domande che attualmente si pongono i giovani che si apprestano ad entrare nel mondo del lavoro sono numerose e quasi nessuna ha trovato una risposta certa e definitiva. Anzitutto, è l’incertezza nell’essere veramente tutelati o meno dagli atti compiuti dal governo di Lega e Movimento 5 Stelle che preoccupa maggiormente. Le parole chiave che sono state usate sia in campagna elettorale che successivamente, come superamento della Legge Fornero, quota 100, reddito di cittadinanza, non sono state spiegate così efficacemente e, per dirla tutta, sembra che in questo periodo vengano ogni giorno ridefinite senza un progetto solido. Insomma, la situazione è molto complessa e l’aria di rivoluzione che a tali atti politici era stata attribuita da Salvini e Di Maio presenta tutto un altro aspetto, non mancando in realtà dei precedenti tentati da altri governi di altro schieramento già in passato.
Quota 100 e Legge Fornero: le promesse di Salvini e il contrasto con Boeri.
È necessario tornare indietro di qualche anno per cercare di comprendere meglio il tema delle pensioni, argomento scottante che ha costituito uno dei principali cavalli di battaglia del governo, specialmente della Lega. A dicembre 2011, in un momento di profonda crisi per l’economia italiana, viene approvata la Legge Fornero, punto principale del decreto “Salva Italia” legato al programma di austerity adottato dal governo Monti per rassicurare i mercati internazionali e correggere i conti del Paese. La legge, definita dalla stessa Professoressa come non perfetta, ma comunque buona, si può riassumere in pochi punti: aumento dell’età pensionabile a 67 anni di età a partire dal 2019; estensione del sistema contributivo, per cui le pensioni vengono erogate sulla base dei contributi versati; allungamento dell’età pensionabile per le lavoratrici, per renderla nel tempo uguale a quella dei lavoratori. Inizialmente vista con favore, la Legge non tiene conto però di alcune categorie di lavoratori. Ad esempio gli “esodati”, ossia tutti coloro che avevano accettato di licenziarsi per avere un sussidio fino all’età della pensione. Queste persone però, si sono ritrovate senza nessun tipo di aiuto da parte dello Stato e in certi casi senza la pensione stessa. Dal 2011 ad oggi la questione è rimasta irrisolta e le principali forze politiche, tra cui la Lega di Matteo Salvini, si sono a lungo battute per l’abolizione di questa legge o per il suo parziale superamento: la Lega in particolare ha giocato su queste promesse per ottenere più voti possibili alle elezioni. Una volta al governo, nasce l’idea di un provvedimento che Salvini definisce “quota 100”. Il nome indica il sistema elaborato per modificare la Legge Fornero, per cui sarà possibile andare in pensione quando la somma degli anni d’età e di contributi versati dia come risultato 100 ( per es. 62 anni d’età e 38 di contributi, oppure 63 e 37, ecc.). Qui però sorge il vero problema, sottolineato anche dal presidente dell’Inps Boeri, spesso critico verso atti di Lega e 5 stelle: se si abolisse la Legge Fornero, il costo dell’operazione aumenterebbe rapidamente nel giro di pochi anni di miliardi di euro. E i giovani cui si dà l’idea di aver maggiore possibilità di lavorare, a seguito di numerosi pensionamenti, sarebbero i primi a risentirne, non riuscendo a percepire una pensione adeguata o ottenendola ad un’età eccessivamente avanzata.
Reddito di cittadinanza: Di Maio e il precedente del PD
Altro cavallo di battaglia, stavolta perseguito principalmente da Di Maio e il Movimento 5 Stelle, riguarda il cosiddetto reddito di cittadinanza. Anche questo atto politico nella realtà dei fatti presenta solamente una bozza di progetto, creando dunque incertezza specie per i giovani disoccupati e le famiglie in difficoltà.
Primo: teoricamente il reddito di cittadinanza, così impropriamente chiamato, non è destinato ad ogni cittadino di qualsiasi età e fascia sociale, ma soltanto ad alcune categorie di cittadini. Chi ne usufruisce deve possedere dei requisiti ben precisi: essere maggiorenne, avere una pensione al di sotto della soglia di povertà, risiedere in Italia da almeno 10 anni, essere disoccupato o avere un reddito di lavoro inferiore alla sogli di povertà, stabilità dall’Istat. Inoltre per coloro che hanno un reddito pari a zero l’importo viene dato per intero, mentre per altri fungerà da integrazione al reddito per raggiungere i 780 euro. La quota del reddito di cittadinanza cambia al numero di componenti del nucleo familiare. Ad esempio, in una famiglia con i genitori disoccupati e più figli a carico avrà diritto a un sussidio più cospicuo di una famiglia con genitori disoccupati e un solo figlio.
Secondo: il reddito, ricevuto con un assegno non può essere speso in contanti. Deve essere usata una sorta di social card (da usare con bancomat, tesserino sanitario) su cui viene caricato l’importo, che sarà spendibile per via elettronica. L’utilità di questo provvedimento sta nel poter controllare gli acquisti che si intendono effettuare e che possono riguardare solo beni di prima necessità, abbigliamento, ecc. Infine, è stato ipotizzato che un tutor segua chi ha diritto al reddito di cittadinanza, aiutandolo a reinserirsi al più presto nel mondo del lavoro allo scopo di evitare che chi abbia diritto al suddetto reddito decida di non lavorare o di lavorare in nero.
L’idea concepita da Di Maio ha però un precedente che forse non tutti sanno e che era già stata concepita in tutt’altro schieramento politico: il PD. Dal 2017, approvata dal governo Gentiloni, esiste una norma nominata Reddito d’Inclusione (REI) per contrastare la povertà e aiutare a reinserirsi nel mondo del lavoro. I meccanismi del REI e del reddito di cittadinanza sono simili, sia per le modalità di spesa dell’assegno ricevuto sia perché possono usufruirne solo cittadini con determinati requisiti economici, cambia soltanto la cifra dell’assegno previsto che nel caso del REI è minore.
Il dubbio che sorge spontaneo è se non sia questo un sistema per venire in realtà controllati in tutto e per tutto, senza rispettare un minimo di privacy e controllando gli acquisti che sono permessi così da controllare anche la libertà stessa dell’individuo. Inoltre, il fatto che un atto simile sia stato già tentato prima del Movimento 5 Stelle e sia stato più o meno ritentato ora, testimonia le difficoltà obiettive di perseguire un grande progetto di riforma del lavoro ed economica per i costi necessari a sostenerla. Non a caso la manovra e l’innalzamento della soglia del deficit non sono stati approvati dall’UE e c’è stato e c’è bisogno tutt’ora di limare il Def e cercare nuove soluzioni, nonostante le promesse fatte agli elettori.
Giovani in difficoltà: un periodo più duro che in passato
Una cosa è certa: c’è aria di sfiducia e le difficoltà per far riconoscere i propri meriti soprattutto nel mondo del lavoro aumentano. È drammatico che, per coloro i quali si apprestano ad entrare in contatto con questa realtà, aumenti la sensazione di non sentirsi adeguatamente tutelati, per non dire abbandonati a sé stessi e alle leggi del lavoro nero per esempio, molto dure e ingiuste. Di promesse ne sono state fatte tante, come sempre succede ed è successo durante le campagne elettorali, ma si assiste forse ad una sorta di regresso. Magari perché dopo rivolgimenti come il Sessantotto tutto è cambiato affinché nulla cambiasse e investire sui giovani e sul futuro della nazione non è stato poi fatto con grande convinzione. Basta riflettere sul fatto che di giovani ce ne sono sempre meno: a livello biologico perché il Paese è invecchiato e le nascite diminuite, certo, ma anche perché non si investe sulle future generazioni. E chi può scappa, emigra all’estero, dove sono riconosciuti e maggiormente protetti le proprie competenze e il proprio ruolo di lavoratore, visto che in Italia non vengono prospettate molte alternative. Sarebbero necessarie riforme efficaci e decise in campo economico, nel mondo del lavoro per la precisione, ma anche nell’istruzione e nella cultura. Perché per dare più certezze ai giovani è indispensabile partire dalla scuola e dall’università, garantire una formazione completa, investire appunto su di loro per poi trarre beneficio per lo Stato. Così facendo diverrebbe possibile osservare risultati che, specialmente sul lungo periodo, dimostrerebbero un miglioramento netto delle condizioni di vita e dell’economia tutta, in un sistema autopropulsivo in grado di sostenersi da sé. Per il momento si può solo sperare, ma forse è proprio la speranza e l’attaccamento al proprio Paese che dà a tanti giovani il coraggio per andare avanti nonostante tutto e continuare a cercare di migliorare questa situazione senza darsi per vinti. In attesa che il governo stesso e lo Stato facciano qualcosa di concreto e non li lascino soli, ovviamente. Ma in fondo non è poi così ovvio come si pensa, a quanto pare.