I predecessori del Coronavirus, la nuova minaccia all’umanità

Nelle ultime settimane cresce sempre più nel mondo la paura legata al nuovo coronavirus (2019-nCoV). Stando agli aggiornamenti del 29 gennaio della National Health Commission cinese, si parla di oltre 6.000 casi tra presunti e confermati, di cui 1100 casi gravi e 132 decessi accertati. I dati sono confermati anche dall’OMS e i morti sembrano essere aumentati velocemente a 170. Lo scenario che si prefigura è ancora più ampio, con la possibilità di circa 60mila potenziali persone infette a causa dei contatti avvenuti. Numeri allarmanti, che potrebbero far parlare di una vera epidemia incombente. A seguire si ripercorrono alcune delle principali pestilenze con impatti devastanti sulla nostra storia, provando poi a dare un presagio riguardo il nuovo parassita in questione.

La peste: dall’antichità ad oggi

Tra le malattie che maggiormente e ripetutamente hanno sconvolto zone ed epoche molte lontane fra loro, su tutte risalta la peste. Gli storici sospetti riguardo il flagello che colpì Atene intorno al 430 a.C. durante la guerra del Peloponneso sembrano essersi sciolti di recente. Nel 2005 l’analisi del DNA estratto da 3 denti, ritrovati nel sito archeologico ateniese del Ceramico, ha infatti individuato agenti patogeni tipici della febbre tifoidea. La cosa andrebbe a sostegno della tesi secondo cui varie malattie diffuse in contemporanea avrebbero causato migliaia di morti. I disordini sociali che ne seguirono, descritti dallo storico greco Tucidide, avrebbero poi peggiorato le condizioni di igiene e implementato così contagi e decessi.

La comparsa del batterio Yersinia pestis, dal nome del suo scopritore svizzero Alexandre Yersin, va quindi spostata sia geograficamente che cronologicamente. Secondo William Naphy e Andrew Spicer, autori di uno studio sulla peste, la prima pandemia è esplosa nel VI sec. d.C. nell’impero romano d’oriente sotto Giustiniano. La novità sintomatica era la presenza di pustole, apparse in seguito al rigonfiamento dei linfonodi. A ciò si accompagna febbre alta, vomito, infezioni polmonari e/o gastrointestinali. Il batterio è veicolato soprattutto dalla pulce del ratto, e si trasmette per contatto con animali e soggetti infetti o per via respiratoria.

Sempre in accordo coi due storici, l’infezione proveniva dal Nord Africa, molto probabilmente dall’Egitto o dall’Etiopia, ed è stata favorita dai grandi spostamenti delle truppe impegnate contro gli Ostrogoti. La stima, seppur approssimativa a causa di eventi concomitanti e testimonianze discordanti, è di oltre 50 mln di morti, con una perdita del 40-60% della popolazione di Costantinopoli. Il mondo orientale fu sconvolto per quasi due secoli da altre ondate di peste, anche in territorio musulmano.

La seconda pandemia è forse la più celebre. Partita dalla Cina, passando per il Medio Oriente e giungendo in Grecia e Nord Africa, la “peste nera” (dal colore scuro dei bubboni) giunse in Italia verso la metà del XIV sec. A causa del continuo ripresentarsi della malattia a intervalli di pochi anni nel corso dei secoli, prima Firenze perse i 4/5 dei suoi abitanti, poi Milano subì oltre 15 migliaia di perdite tra ‘500 e ‘600. Nell’arco di 4 secoli, molte fra le capitali e i grandi centri europei furono decimate.

I rimedi dell’epoca, documentati nel volume di Giorgio Cosmacini La medicina dei Papi, erano piuttosto rudimentali, intessuti di superstizioni e conoscenze basilari della medicina greca. Dall’uso di sanguisughe, al ferro rovente per bruciare le pustole; dalla fuga dalle città alle campagne, al lavarsi meglio e spesso; dall’applicazione di pietre fredde, alla disperata confessione presso il sacerdote, impotente quanto i medici di età medievale e moderna. Sia le popolazioni che le autorità erano del tutto impreparate a gestire i contagi uomo-animale e uomo-uomo, e i lazzaretti si ingrossavano sempre più fino a sembrare dei ghetti dal destino segnato.

La terza famosa pandemia di peste si è scatenata nella seconda metà del XIX sec. di nuovo dalla Cina, raggiungendo rapidamente India, Giappone, Europa e Sud America. Fortunatamente nel 1894 il medico Yersin isolò il batterio, e da allora iniziarono sperimentazioni per la messa a punto di un vaccino efficace. Scoprendo la veicolarità delle pulci dei ratti, inoltre, sono aumentate sempre più nel mondo le misure di prevenzione con il miglioramento dell’igiene e della sanità pubblici.

L’esportazione virale nel Nuovo Mondo: il vaiolo

Altro fenomeno, più localizzato ma non meno rilevante, riguarda lo sterminio dei nativi americani avvenuto nella prima metà del XVI sec. Infatti, uno degli aspetti di questa atrocità della storia moderna, legata al colonialismo e alle scoperte geografiche, è la morte degli indigeni a causa di malattie infettive. Oltre ovviamente a sterminio, sfruttamento, confinamento nelle riserve, sterilizzazione e guerre, gli abitanti autoctoni del nuovo continente dovettero affrontare patologie contro cui i loro sistemi immunitari erano disarmati. Esse vennero trasmesse dai colonizzatori inconsapevolmente, in quanto trasportavano con sé germi coi quali gli europei già da secoli combattevano.

Tra influenza -trasportata dagli animali da allevamento introdotti dagli europei- varicella e morbillo, a mietere più vittime fu però senza dubbio il vaiolo. Esso è diffuso dal virus Variola e causa eruzione cutanea (cosiddetto rash di diversi tipi), febbre, emorragie interne e deformazioni degli arti nei casi più acuti. Ѐ stato calcolato che morirono tra i 55 e i 100 milioni di nativi per le diverse cause. Tra essi, secondo gli studi della Cambridge University di fine millennio, il tasso di mortalità a causa del vaiolo era dell’80-90%. Il contagio era quasi immediato, diffondendosi per contatto o per via aerea entro un raggio di due metri.

In nord America si è inoltre verificato un aggravante due secoli dopo. Durante le guerre con i francesi per la conquista del Canada pare che il vaiolo sia stato utilizzato dagli inglesi come arma batteriologica. Diffondendo appositamente il contagio presso i nativi, per mezzo di alcune coperte intrise di germi provenienti da soggetti infetti, i britannici vinsero più facilmente la battaglia di Fort Pitt del 1763 contro le truppe native e francesi.

Fortunatamente il vaiolo, che mieteva vittime da millenni, è stato ufficialmente debellato lo scorso secolo grazie agli ingenti sforzi della WHO (World Health Organization).

Due varianti dell’influenza di ceppo A

Ancora un caso di malattia mediata per via enzootica è l’influenza A, causata dalle varianti del virus HnNn. Nel nome, la lettera n indica il numero di proteine di tipo H ed N presenti sulla membrana del virus, e la grande variabilità del numero è provocato da mutazioni che il virus può subire in diverse condizioni.

Il tipo più diffuso è stato certamente A/H1N1. La prima apparizione fu nel 1917: gli esiti furono disastrosi e difficili da isolare a causa dell’imperversante Grande Guerra. Il contagio fu denominato “influenza spagnola” perché solo in Spagna il fatto fu documentato, a causa dell’imparzialità durante i combattimenti, ma le origini sono ancora da accertare. Questi facilitarono il contagio fra le truppe e di conseguenza nei territori dove si combatteva: febbre alta, spossatezza e problemi gastroenterici colpirono gran parte della popolazione mondiale, uccidendone addirittura più di 40 mln.

Ricomparso nel 2009 in Messico, il virus ha provocato quasi subito centinaia di morti a causa della cosiddetta “influeza suina”. Le prime vittime ci furono in nord, centro e sud America, superando le diverse migliaia in tutto il mondo. Il tasso di mortalità in Europa è stato comunque più basso di quello della normale influenza, ma in Messico ad esempio sono state prese misure precauzionali: chiuse le scuole e gli uffici pubblici. Gli antivirali spesso hanno funzionato, ma i diversi vaccini messi in circolazione non garantivano totale immunità dal virus.

Tra il 2009 e il 2010 né l’Italia né gli USA bloccarono i voli in arrivo dal Messico, e la cosa impedì di ostacolare del tutto la fruizione del virus all’estero. La psicosi nata a seguito della diffusione della malattia portò addirittura la Coldiretti ad emettere un comunicato in cui si invitavano gli italiani a non smettere di acquistare carne di maiale, per evitare calo di consumi e perdita di posti di lavoro. 

Nel caso invece dell’influenza “aviaria” diffusa da diversi virus, su tutti H5N1, vista la strage di uccelli in diverse zona della Cina, nel 2005 l’OMS stabilì un piano in caso di esplosione pandemica. Esso stabiliva misure preventive in caso di contagio umano su scala mondiale.

La piaga ininterrotta dell’HIV

Più recente è la scoperta del virus portatore dell’AIDS. Secondo i dati UNAIDS aggiornati a fine 2018, in circa 40 anni dall’inizio dell’epidemia l’HIV ha infettato un numero di persone comprese nel range tra i 58 e i 98 mln, uccidendone circa 32 mln. Le condizioni igieniche, culturali ed economiche hanno incentivato la diffusione della malattia in Africa, dove essa ha fatto danni tremendi.

Tralasciando l’analisi specifica delle molteplici cause di contrazione del virus (sessuale, ereditaria, ematica), si può da un lato dire incoraggiante il fatto che pressappoco 40 mln sono le persone che convivono con esso. Infatti l’utilizzo di una terapia di farmaci antivirali combinati fra loro, seppur non riesca a curare definitivamente la malattia, può assicurare condizioni di vita accettabile per un tempo prolungato e spesso arrivare ad evitare che il malato sottoposto ad essa diffonda il contagio.

La sperimentazione e la ricerca continuano, sia per trovare una cura che un vaccino per ora solo teorico. Non dobbiamo però sottovalutare la prevenzione. Una migliore educazione sessuale, campagne contro l’assunzione di droghe e la consulenza medica possono aiutare a individuare in tempo eventuale contrazione del virus. L’errore più facile da commettere è considerare la malattia come un’entità lontana da noi o una possibilità remota, e piccole accortezze possono davvero evitarla.

Il nuovo virus: quale futuro possibile?

L’ultimo protagonista di questo percorso appartiene alla stessa famiglia dell’agente patogeno che ha causato la SARS all’inizio del nuovo millennio. Si tratta di virus con una membrana esterna che ricorda una corona, che si diffondono per via orale o per contatto e che colpiscono le vie respiratorie. Veicolato forse da una specie di serpente venduto al mercato, il nuovo coronavirus deve essersi poi diffuso ad altri animali selvatici commestibili per i cinesi, e in tal modo dagli ospiti agli umani. Esso causa febbre, spossatezza, e una grave polmonite, inizialmente misteriosa, che ha fatto una strage nell’ultimo mese.

L’esperienza del 2003 deve essere servita forse a rendere più tempestivi gli interventi delle autorità. Misure di sicurezza sono infatti state adottate a Wuhan: focolaio dell’influenza, l’enorme città di 11 mln di abitanti è situata nella centrale regione cinese dell’Hubei. I voli e i servizi dei mezzi pubblici sono stati soppressi la scorsa settimana. Una grande fetta del centro abitato e della periferia è stata messa in severa quarantena, per oltre 60mila persone costrette.

Il mondo intero ha sottoposto a rigidi controlli i voli con la Cina. La percentuale di mortalità individuata del 3% non va certamente ignorata, ma va detto che è per ora più bassa della Sars. Casi sono stati già individuati negli USA, in Germania, in Italia e negli Emirati Arabi, e nell’agitazione generale la portata mondiale di una pandemia pare possibile. A Roma già da giorni circolano su bus e tram molti più volti con mascherine.

Una buona notizia arriva però dall’Australia. Gli scienziati del Peter Doherty Institute for Infection and Immunity di Melbourne hanno ricreato in laboratorio il 2019-nCoV, mostrando come si stiano facendo già passi avanti per uno studio approfondito del virus in vista della creazione al più presto di un rimedio vaccinale.

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