L’Italia, un gigante addormentato
Il nostro Paese fatica a risollevarsi dalla grande crisi del 2008. A differenza di molti altri Paesi europei, il PIL italiano resta ben al di sotto dei livelli pre-crisi, con un gap che supera il 3,5%. Un problema cronico che affonda le sue radici in due fattori principali: un’economia poco dinamica e un calo demografico preoccupante.
Un Paese che invecchia e si svuota
Dopo essere scesa sotto la soglia dei 60 milioni di abitanti dal 2020, L’Italia continua ad invecchiare a ritmi allarmanti. Il numero di abitanti è in costante diminuzione, con un saldo naturale negativo e un tasso di fertilità tra i più bassi d’Europa, una situazione che si aggrava progressivamente dal 2006, prospettando un complicato ricambio generazionale: con una media di 1,25 figli per donna, infatti, l’Italia ha uno dei tassi di fertilità più bassi dell’UE. A questi dati demografici si aggiunge il fenomeno dell’emigrazione di giovani laureati italiani, i quali, sempre più numerosi, di fronte alla crisi generalizzata, preferiscono cercare lidi più favorevoli per la propria crescita personale e economica al di fuori del paese natale, problema che non viene, tuttavia, compensato dall’immigrazione. Di conseguenza, la popolazione in età lavorativa (15-64 anni), che sostiene la maggior parte dell’attività economica, è in calo sia in termini relativi che assoluti, il che incide negativamente sulla crescita economica attuale e futura, all’interno di un paese che già stenta, dimostrando le proprie debolezze, a mobilitare la propria forza lavoro e modernizzare il tessuto produttivo.
Il mercato del lavoro italiano è meno dinamico e soffre di un alto tasso di disoccupazione giovanile a cui si aggiungono le falle del sistema educativo nazionale il quale sembrerebbe non essere sufficientemente in dialogo con le esigenze del mondo del lavoro. Tutto ciò si sovrappone al problema relativo al numero crescente di NEET, ossia giovani che non studiano, non lavorano e non effettuano una formazione, la cui percentuale in Italia (che si posiziona ai primi posti tra gli stati europei in questa triste classifica) ha raggiunto il 16,1% nel 2023. La situazione italiana risulta ancor più allarmante se messa a confronto con altre nazioni, pur rimanendo nel quadro europeo, le quali dimostrano una maggiore flessibilità burocratica e lungimiranza nell’orientare il sistema educativo ai bisogni professionali della società: a questo proposito è opportuno ispirarsi alle iniziative di alcuni paesi, quali Germania e Olanda, i quali eccellono nella preparazione scolastica delle più giovani generazioni, offrendo delle formazioni tecnico-professionali specializzate le quali garantiscono ai più giovani di inserirsi immediatamente nel mercato del lavoro, azionando un meccanismo virtuoso del settore professionale nel suo complesso.
Un sistema produttivo poco competitivo
Sul piano economico, l’Italia è caratterizzata da una forte presenza di piccole e medie imprese (PMI), molte delle quali a gestione familiare, che spesso faticano a competere a livello internazionale. Se da un lato, queste aziende portano in alto nel mondo il nome della tradizione, difendendo il pregio del prodotto “made in italy” (soprattutto nel settore manifatturiero del lusso e dell’agroalimentare) di fronte alla qualità, talvolta discutibile, di una produzione più seriale, caratteristica di industrie e multinazionali più ampie, dall’altro la presenza diffusa di queste imprese determina una generale difficoltà del sistema produttivo nazionale ad adattarsi ai cambiamenti tecnologici e ad investire in innovazione, causando la stagnazione della produttività. Al contrario, in paesi come la Germania e la Francia, la struttura industriale è dominata da grandi imprese altamente tecnologiche e integrate nei mercati globali, che beneficiano di economie di scala e di una maggiore capacità di investimento. A queste difficoltà si aggiungono quelle prodotte da un apparato burocratico pesante e inefficiente, il quale ostacola ulteriormente l’attività imprenditoriale: procedure amministrative lente e complesse, regolamenti sovrapposti e una mancanza di chiarezza normativa creano un ambiente difficile per le imprese, scoraggiando investimenti e limitando la competitività del Paese. Un sistema burocratico nel complesso più snello e accessibile favorirebbe l’avvio e la gestione di nuove attività imprenditoriali e renderebbe l’italia più attraente dal punto di vista economico agli occhi dei grandi investitori internazionali.
Avendo tracciato questo quadro generale delle ragioni della stagnazione economica nazionale, lasciamo ora la parola a Paolo, commerciante reatino da più di 30 anni.
S.C : Buongiorno Paolo, è un’opportunità importante quella ci offri oggi e ti ringraziamo per aver deciso di condividere con noi la tua esperienza nel settore commerciale. Sei un commerciante storico della provincia laziale, quando hai avviato la tua attività? ti ricordi come andavano allora gli affari?
Paolo : Buongiorno a voi e grazie per avermi offerto l’occasione di rappresentare la situazione di grave disagio che io, come altri numerosi commercianti a livello nazionale, stiamo vivendo ormai da anni. Ho aperto il mio negozio di scarpe nel 1983, e ricordo bene quell’atmosfera di entusiasmo. La gente aveva una capacità di spesa maggiore, e c’era una voglia diffusa di migliorare il proprio stile di vita. Il boom economico degli anni precedenti aveva creato una solida classe media che amava spendere, e i negozi in città erano sempre pieni. Le vendite andavano bene, c’era una stabilità che ci permetteva di pianificare il futuro con una certa sicurezza. Negli anni ’80, il commercio in Italia era in piena espansione, e per noi commercianti si prospettava un periodo di grande fiducia e ottimismo.
S.C : Potresti parlarci di come la crisi economica ha influenzato la tua attività commerciale?
Paolo : Con l’arrivo della crisi, e mi riferisco ai devastanti effetti della crisi economica del 2008, tutto è cambiato: la gente ha iniziato a spendere meno, a ridurre gli acquisti non essenziali, e questo si è tradotto immediatamente in un calo delle vendite. Il problema principale è che quella crisi non è stata solo un evento isolato. Ha segnato l’inizio di un periodo prolungato di incertezza economica, che ha colpito profondamente la fiducia dei consumatori. Anche negli anni successivi, quando l’economia ha cominciato a riprendersi, le persone sono rimaste più caute e hanno continuato a limitare le spese. Il potere d’acquisto è diminuito, e con esso la frequenza e l’entità degli acquisti.
S.C : quali sono le battaglie che affronti nel quotidiano per evitare di mettere un punto alla tua carriera storica di commerciante?
Paolo : La lista è lunga, purtroppo. Uno dei problemi principali è l’aumento dei costi di gestione. L’inflazione ha colpito duramente, e non solo per quanto riguarda i prezzi dei prodotti che vendo. Le bollette energetiche sono schizzate alle stelle, il caro affitti …chiaramente queste sono spese fisse alle quali non posso sottrarmi, a cui si aggiungono gli stipendi mensili dei miei dipendenti. E’ complicato continuare a sostenere una spesa costante così onerosa anche quando i margini di guadagno sono ridotti come al giorno d’oggi.
S.C : Hai accennato all’inflazione. In che modo sta influenzando il comportamento dei consumatori?
Paolo : L’inflazione ha portato i consumatori a essere molto più cauti. Molti dei miei clienti abituali ora vengono meno spesso, e quando lo fanno, acquistano solo l’essenziale. I beni di consumo durevoli o di lusso, che prima rappresentavano una parte significativa delle nostre vendite, ora sono quasi fermi. Inoltre, c’è un aumento della richiesta di sconti e promozioni, ma con i costi in crescita, è difficile concedere ribassi senza finire in perdita. Insomma, è un circolo vizioso che è difficile da spezzare.
S.C : Quali sono le strategie che hai adottato per continuare a mandare avanti il tuo negozio?
Paolo : Stiamo cercando di diversificare l’offerta, introducendo prodotti più economici e cercando di attrarre una clientela diversa. Ho anche iniziato a esplorare l’e-commerce in maniera più seria, ma non è facile. La concorrenza online è spietata e molti piccoli commercianti non hanno le risorse per competere con i grandi colossi del web. Inoltre, stiamo cercando di ridurre i costi dove possibile, ma come ho detto prima, non è facile, si rischia di inficiare la qualità del prodotto offerto al cliente.
S.C : guardando al futuro, ci sono iniziative che credi potrebbero aiutare le piccole imprese italiane a rimettersi in piedi? ti senti ottimista a riguardo?
Paolo : Superare questa crisi richiederà uno sforzo collettivo. Prima di tutto, c’è bisogno di politiche economiche più mirate a sostegno delle piccole imprese, che rappresentano il cuore pulsante dell’economia italiana. Bisogna facilitare l’accesso al credito, ridurre la pressione fiscale e soprattutto, trovare un modo per arginare l’inflazione. Ma soprattutto, e questa è una causa che mi sta particolarmente a cuore, credo che sia fondamentale una svolta culturale: bisogna che gli italiani abbandonino la retorica del tipo “l’erba del vicino è sempre più verde” puntando a valorizzare di più e in maniera più efficace i nostri prodotti nazionali, fiori all’occhiello del “made in italy” nel mondo intero.