IL RITORNO

La facciata del palazzone di via di Torrevecchia era abbagliata dal sole delle due. Salì le scale di cui conosceva ogni gradino fino al terzo piano, la madre stava ancora sparecchiando la tavola preparata per tre come se lui ed il padre fossero presenti. Comparve improvvisamente sulla soglia e lei istintivamente si voltò, ebbe un sussulto e corse ad abbracciarlo. Un momento aspettato da mesi che doveva ridarle la felicità. Lui non disse nulla, un groppo gli serrava la gola.

Si sedette e sorrise di un sorriso stanco e dolce.

Quanta ansia e pena Le aveva causato con la sua vita balorda fin da ragazzino, quando saltava la scuola per andare a giocare a pallone. Poi vennero  i furti, le rapine, la droga e la galera.  Una vita da schifo per tutti e due.

Accarezzò quella ragnatela di rughe che i dispiaceri avevano disegnato sul bel viso ed i capelli ormai grigi. Anni di vita che non poteva più ridarLe. Si guardò intorno e girò per la casa, come a volersi imprimere nella mente ogni spazio, ogni penombra, ogni profumo. Infine, disse che doveva uscire: c’era uno che lo aspettava per strada, per parlargli di lavoro. Si trattava di un lavoro pulito.

Allora Lei si tranquillizzò ma, prima  volle che mangiasse un pezzo di crostata, con la marmellata di more, come piaceva a lui. Pietro ne masticò un pezzetto con fatica, poi si diresse verso la porta e Lei lo strinse, pregandolo di tornare presto e di stare attento a quei delinquenti che lo cercavano per una questione di soldi.

Rispose di stare tranquilla perché era tutto sistemato, poi uscì e chiuse la porta.

Scese lentamente le scale, ogni gradino diveniva un ricordo. Un fotogramma della sua vita: il campetto in cemento del San Filippo Neri con le infinite partite a pallone a sbucciarsi le ginocchia ad ogni caduta; i giri notturni a palla, in motorino intorno a Piazza San Clemente, coi peroncini in corpo che frullavano la testa e le pisciate dentro alla fontana; le canne all’alba tra le colonne di piazza Capecelatro e i primi baci a Monte Ciocci, tra sterpi e calcinacci.

Una voce rimbombò alle spalle, “A Piè te saluta Baffo” !  si voltò con un sussulto, ma non c’era nessuno, e riprese a scendere: vennero altri ricordi:  L’oratorio di Santa Maria col pidocchietto, i film di Bud Spencer e Terenc Hill, l’epopee dei western; i palazzoni dell’ex Bastogi, dopo lo spaccio o una rapina, ad infrattarsi, mentre le ronde dei ragazzini di vedetta gridavano:  “guardie”. Ma nessuno li poteva trovare, inghiottiti dai cunicoli che solo loro conoscevano.

Ancora risuonò una voce alle sue spalle, “ voleva sapè dei sordi che je devi ! io non gli devo gnente, la robba l’ho pagata”,  rispose  col cuore in gola, ma ancora una volta non vide nessuno sulle scale.

Ora i suoi ricordi andavano ai volti degli amici che erano morti con una siringa nel braccio.

“La moglie di un ladro non ride sempre, si sa !  ma finchè dura si va  avanti”.   disse ai carabinieri la moglie di Armando, incinta del terzo figlio, mentre arrestavano il marito; grande esperto nel riciclaggio di pezzi d’auto rubate.

E poi quando venne il suo turno, coi carabinieri che erano venuti ad arrestarlo e la madre muta, ad urlare in silenzio la sua disperazione, mentre gli preparava la borsa.  Solo per quello gli si era spezzato il cuore, per Lei. Non gli importava di finire dentro, quello era un destino, “il  battesimo del fuoco”. La cella, le sbarre,  due anni per rapina passano in fretta.

Era quasi giunto in fondo alle scale. Per ultimo rivide il cortile del carcere e quei tre intorno,  mentre  fumava.

“ A Piè te saluta Baffo , voleva sapè  dei sordi  che je devi” ?  “ io nun je devo gnente,  la robba  l’ho pagata” ! Li aveva guardati senza paura, “ te manda sto saluto così te lo ricordi”,   e arrivò una coltellata, proprio in mezzo allo stomaco e un’altra al petto e ancora nella schiena.  Quasi non sentì dolore, solo il freddo della terra quando si inginocchiò, poi piano si sdraiò come se avesse sonno. Lo sguardo volò alto, oltre pareti sbrecciate e sbarre arrugginite, più in alto incontro a quello spicchio rubato al cielo. Se quella era  la morte non faceva male, l’unico dolore non rivedere la madre. Allora chiuse gli occhi a cercarne il viso e le labbra si mossero in preghiera, l’ultimo desiderio della vita. Fu allora che in bocca, al sapore del sangue, si mescolò quello dolce delle more.

Era arrivato in fondo alle scale e senza voltarsi si diresse verso la figura che l’aspettava.

“Grazie per la pazienza, qui ho finito, se ne potemo annà” !

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