Internet: tra violenza e fake news, sempre più difficile restare a galla

Il numero di utenti dei social network è in costante aumento e, secondo quanto riportato da “we are social”, si aggirerebbe intorno ai 3 miliardi e mezzo a livello globale; circa la metà della popolazione terrestre disporrebbe di un account.

L’avvento di queste piattaforme di condivisione digitale di sé, ha mutato anche il modo di approcciarsi alla rete in generale. Internet, nell’era pre-social, ha visto la diffusione di chat e forum all’interno delle quali gli utenti erano identificati da “nicknames” e discutevano in maniera più o meno anonima.

I social network hanno stravolto questo concetto facendo venir meno molti dei timori legati alla propria pricay digitale e convincendo i propri utenti, nella maggior parte dei casi, ad apparire con un nome ed un volto reale. Anzi, il punto centrale del social network è esattamente questo: abbattere la barriera che separa il “virtuale” dal “materiale” e puntare fortemente sul concetto che “virtuale È reale”, poiché l’utente con il quale si entra in contatto, dall’altro lato dello schermo, è un essere umano in carne ed ossa, possiamo osservarne la fisionomia, conoscerne dati anagrafici ed interessi.

Questa sovrapposizione, se è avvenuta da un punto di vista formale e identificativo, non sembra tuttavia essere avvenuta da un punto di vista dell’emotività e della percezione dell’altro da parte dei naviganti.

Il fatto di avere la mediazione di uno schermo e di non essere in grado di osservare in maniera diretta le reazioni che i propri commenti e i propri atteggiamenti causano sulla persona che li subisce, porta ad infierire e a rendersi protagonisti di atti disdicevoli che, probabilmente, non si commetterebbero mai dal vivo.

Gogna mediatica e diritto all’oblio

La sempre maggiore equiparazione del soggetto reale con il suo profilo virtuale porta con sé anche tutta una serie di conseguenze legate al fatto di non poter più separare un azione o un gesto da tutto ciò che si è precedentemente detto o fatto su internet. Può capitare ad esempio di essere al centro di una polemica, di uno scandalo o di un evento di cronaca ed ecco che il “popolo dei social” si fionda a cercare il profilo online del protagonista della vicenda. Così facendo comincia a spulciarne foto, a verificarne amicizie e legami; a leggerne i pensieri espressi e le opinioni riportate.

Diventa facilissimo, in questo modo, metter su una gogna mediatica per il soggetto in questione. Uno dei casi di cronaca più recenti è sicuramente quello del vigile urbano di Brescia ma, parlando di violenza sui social non si può non menzionare il famosissimo caso di Tiziana Cantone, uno dei tanti episodi di revenge porn, terminato drammaticamente con il suicidio della vittima.

In questi, e molti altri casi, viene da chiedersi se non sia necessario mettere in campo e, magari anche regolamentare, un sistema che consenta l’oblio digitale, dato che gli attuali sistemi in tal senso non sembrano funzionare troppo efficacemente.

Ad oggi, infatti, il rischio è che “internet non dimentichi” e che a distanza di anni vicende ed immagini che necessitavano di essere dimenticate o fatte sparire, anche per rispetto della privacy dei soggetti coinvolti, ritornino a galla riaprendo ferite e causando tragedie.

La violenza digitale tra i minori: cyberbullismo

A destare particolare preoccupazione è il dato Istat che evidenzia quanti siano i giovani ad aver subito violenze in ambito digitale. In particolare il 9,9% delle ragazze tra gli 11 e i 17 anni afferma di subire violenze digitali almeno una volta a settimana e solamente meno della metà sostiene di non averne mai subito.

La diffusione di questi comportamenti ha portato a coniare un termine apposito, quello di cyberbullismo appunto, dall’insieme delle parole cyber (relativo a tutto ciò che è cibernetico) e bullismo (termine con con cui si identificano quegli atteggiamenti denigratori e violenti che tendono a sminuire una persona, marginalizzarla o ridicolizzarla).

Trovandosi in una fascia di età molto sensibile per lo sviluppo della personalità, del proprio ego e del carattere, l’argomento desta particolare attenzione ed è diventato oggetto di una legge apposita.

Tuttavia, con buona pace dei legislatori, il fenomeno è tutt’altro che facilmente arginabile. In particolar modo per una generazione “nativa digitale” che ha una grande dimestichezza con il web e, soprattutto, perché a volte questi episodi avvengono tramite chat temporanee, messaggi a scomparsa o sui server dedicati a videogiochi online.

È importante riuscire a trovare delle forme educative e comunicative che riescano a superare la barriera creata dalla virtualità delle interazioni e consentano di percepire l’altro come un essere umano, al di là delle distanze e che ci insegnino a rispettarne le emozioni e le fragilità.

Fake news, chi le diffonde?

La violenza non è l’unica cosa da temere navigando in rete, è infatti sempre più comune imbattersi in notizie false, fabbricate ad arte per veicolare messaggi propagandistici oppure originariamente pensate come satiriche ma che, a furia di girare (e venendo meno la connessione con la fonte originale) finiscono per essere interpretate come notizie vere e proprie.

Stando a ciò che sostiene nella sua inchiesta il programma televisivo “Report” anche alcuni leader politici si servono di queste false notizie al fine di generare consenso.

Il fenomeno ha acquisito visibilità a livello mondiale anche per il sospetto che la diffusione di notizie false possa aver in qualche modo influenzato i risultati elettorali delle presidenziali americane del 2016.

Da queste inchieste giornalistiche emergerebbe il dato secondo il quale a diffondersi più facilmente e ad essere condivise in maniera massiccia siano le notizie che mirano a colpire la sensibilità della gente puntando sui problemi “di pancia” e quindi favoriscano l’ascesa di correnti politiche “populiste“.

Si basano infatti sul creare delle notizie che vanno ad alimentare preconcetti, pregiudizi e idee che, le persone stesse che finiscono per diffonderle, credono già vere e delle quali ricercano conferma negli articoli stessi.

Non è facile dimostrare neanche la veridicità di queste illazioni, ciò che è, invece, molto semplice è il meccanismo di diffusione che consiste nel condividere attraverso profili social, gestiti in maniera multipla da un bot, in maniera ossessiva delle notizie che possano influire fortemente sull’opinione degli elettori con lo scopo di creare un terreno fertile per far attecchire la propria propaganda politica.

La trasmissione di queste notizie si basa quindi sull’utenza dei social; oltre ai casi come quello citato in precedenza in cui vengono utilizzati dei bot con il fine specifico di farle circolare, per il resto, sono gli utenti a dar visibilità a queste notizie condividendole in maniera incauta sui propri profili ed alimentandone la diffusione.

Secondo l’Osservatorio sulle Nuove Forme di Consumo di Informazione e sulle Trasformazioni dell’Ecosistema Mediale gli italiani sono perfettamente a conoscenza dell’esistenza delle fake news ma, credono di avere gli anticorpi per poterle riconoscere e hanno grande fiducia in se stessi, tanto da credere che non siano loro a diffonderle ma, sempre qualcun altro.

A giudicare dalla mole di notizie false in cui quotidianamente ci imbattiamo, questa convinzione sembrerebbe essere infondata e sembrerebbe anche che attecchiscano rapidamente.

Come difendersi dalle false notizie?

Sebbene facebook ed altri social network stiano sperimentando vari software in grado di stabilire la veridicità di una notizia, il modo migliore per districarsi tra l’immensa mole di notizie che quotidianamente invadono il web resta quella del “fact-checking”. Dubitare, non credere a ciò che ci viene spacciato come vero solo perché appare veritiero o perché rispecchia ciò che noi vorremmo che fosse reale ed ovviamente, sempre verificare le fonti!

A tal proposito la stessa Agcom ha diffuso un breve spot pubblicitario con delle semplici accortezze da avere per non cadere vittima di titoli accattivanti o notizie inventate.

Come sempre il nostro miglior amico resta il “buonsenso”.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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