Da quel giorno aveva ammirato la preghiera di Hayat fatta di silenzioso rapporto con la natura e la vita. Aveva capito solo in quel giorno la presenza di Dio in ogni cosa, Dio che si rivela sotto occhi attenti e nel silenzio. Dio non vuole voci e preghiere, Dio si incontra nell’intimità del cuore, si palesa nell’anima dell’uomo e nella contemplazione di ogni cosa, sì!Direttore responsabile: Claudio Palazzi
“Fu al suono di un’arpa eolica” di Uccia Paone è stato pubblicato a luglio 2020 dalla casa editrice Rupe Mutevole nella collana “Letteratura di Confine”. La grafica di copertina è stata curata da Gianluca Serratore.

“Cocci e brillanti”, “Gocce di schiuma”, “Ricordi di una conchiglia” sono i titoli dei libri precedentemente pubblicati dalla nostra autrice che come ella stessa dichiara: “scrivendo dialoga con persone immaginate davanti a un panorama sempre mutevole”.

E non poteva che essere Rupe Mutevole la casa editrice adatta ad Uccia Paone, quel mutevole che come il colore su una rupe risveglia nell’essere umano fantasie arcaiche e, perciò, degne di essere raccontate.

L’editrice Cristina Del Torchio scrive nella sua nota: “Una storia ammaliante. I margini di ogni pagina saranno mistero, come fragranze magiche. L’autrice rimescola le regole e la narrazione diventa un gioco di verità silenziose. Sono mito e storia, fiaba e dramma, oscurità e bagliore. E sul palcoscenico di questa esistenza, nelle notti più buie e silenziose, si alza forte il verso di un uccello che interpreta, sempre uguale, l’annuncio di sventure. Gli elementi si dispongono sulla scacchiera della vita e ogni pedina recita bene i suoi passi. Una solitudine muta non dimentica inganni e le chiusure antiche non sanno illuminarsi, mentre occhi nascosti tramano imbrogli.”

A.M.: “Fu al suono di un’arpa eolica” è stato pubblicato qualche mese fa e più precisamente a luglio, le vorrei chiedere di far un ulteriore salto indietro nel tempo per raccontare ai nostri lettori la genesi di questo romanzo.

Uccia Paone: Il persistente ricordo del giardino della mia infanzia mi spinse un giorno a riviverlo scrivendone. Un ricordo dietro l’altro, pensiero dopo pensiero, mi accorsi che in una ventina di pagine avevo iniziato un racconto, nebbioso e vago, nel quale un personaggio singolare, un orientale dell’India, passeggiava pensoso. Pagina dopo pagina accadeva qualcosa sempre più distintamente ma mancava lo scenario nel quale inquadrare le vicende iniziali. Amo la storia e feci un volo tra secoli e luoghi per scegliere la scenografia adeguata, convincendomi infine a considerare quella dell’Impero Ottomano. Il racconto cominciò a consolidarsi in una trama romanzesca e dopo un centinaio di pagine mi sentivo coinvolta alle vicende narrate. MI appassionai e quando fui alle ultime pagine cominciai a smaniare per trovare un editore che credesse in me. Fui fortunata: spedii il classico file, gli piacque e ora eccomi qui!

A.M.: Il titolo rievoca uno strumento musicale abbastanza particolare ed inusuale, l’arpa eolica infatti è un tipo particolare di arpa le cui corde sono fatte vibrare dal vento, così che le melodie siano sempre casuali e diverse. Che cosa rappresenta per lei questo strumento?

Uccia Paone: La mia attrazione per l’arpa eolica nacque quando alla scuola media incontrai Omero, gli aedi e i citaredi e da alcune illustrazioni mi sedussero Apollo e altri dèi con la cetra tra le braccia. Conosco e ammiro l’arpa moderna che primeggia per eleganza nelle orchestre, ma nessuno strumento musicale supera l’arpa eolica col suo fascino misterioso. L’arpa eolica ha un suono confidenziale, romantico, toccante, che può dirsi anche canto. Per suonare l’arpa eolica rifugge dal pentagramma e dal rigore matematico di un rigo musicale: è lo strumento libero per eccellenza, che suona col vento di cui esprime la provvisorietà e gli improvvisi eccessi. D’impulso l’ho voluta nel titolo del mio libro, lei sola a raccontarci tutto, tra soffi, folate e raffiche.

A.M.: Nubicucula è descritto come “un paese sonnolento, dove non erano stati mai eretti monumenti, né statue, e nemmeno steli commemorative; sì, rispecchiava proprio il paese dell’«Io non mi impiccio». […] il paese era stato colpito da una stregoneria legata a strani uccelli che volavano invisibili sotto il suo cielo e nidificavano in dirupati anfratti di burroni bui e inaccessibili.” e, sin da subito, ho ricollegato il nome ad una nota commedia di Aristofane “Gli uccelli” nella quale due uomini e gli uccelli fondano una città denominata Nubicuculìa. In che modo il suo paese sonnolento è collegato alla città fondata nel cielo a metà strada tra gli uomini e gli dèi?

Uccia Paone: Oh! Io sono ladra di Aristofane, e rea confessa: gli ho letteralmente rubato il nome di Nubicucula, città che già nel nome si palesa sospesa tra terra e regno di nuvole e di dèi. Ma tanto Nubicucula è in Aristofane città ideale, quanto in me è paese materiale abitato da gente ignorante e tamarra. Entrata in casa di Aristofane, gli ho sottratto anche un uccello dal becco singolare, ma lo raffiguro nel romanzo come uccello preso dall’ornitologia conosciuta, il tarabuso, che imbruttisco chiamandolo turubuzzu e che ha del vero uccello la capacità mimetica e il verso lugubre e tanto alto da non trovarne di uguale tra gli uccelli reali.

A.M.: Ne “Fu al suono di un’arpa eolica” troviamo un personaggio particolare, don Chicco che “Consapevole della paura che coinvolgeva i cristiani del suo gregge, abbattuto dalla caduta di fede causa di quella paura, egli volle dir messa anche il giorno dopo, divulgando la voce, casa per casa, che la paura non era degna dei Cristiani, che aver fede in Dio rende il cristiano sicuro contro ogni violenza esercitata da Allah, che è il diavolo che insidia i cuori pompandoli di paura, e dunque tornassero alla messa senza alcun timore!”. Fede e paura sono spesso collegati, ad esempio nel Cattolicesimo si ha paura della morte e della pena che l’anima dovrà subire per ciò che si è fatto in vita, così da trasmettere paura per qualsiasi azione si compia, o perlomeno questo accadeva.

Uccia Paone: Non è semplice cercare quale sia la scaturigine che nella vita degli uomini lega spesso insieme paura e fede. Forse dovremmo cercarla nei primi assembramenti tribali dei diversi popoli del mondo, senza dimenticare qualche traccia dell’antropologia. Presi insieme, paura-fede sono un binomio dissociativo e squilibrante, tuttavia presente nei secoli e ancora ai giorni di don Chicco, prete e predicatore legato alla pedanteria dottrinale nella quale è stato formato. Il binomio sconcerta quando pensiamo alla morte, all’enigma dell’evento definitivo e spesso improvviso che la morte è, e che porta con sé la paura del “dopo”. Allora cerchiamo di esorcizzare la paura abbracciando la fede cui spinge don Chicco, dicendoci che Dio promette la salvezza del paradiso a chi vince quella paura entrando in chiesa con fede (e con la frequenza che la fede esige). Ma la paura atavica cova sempre silenziosa nel cuore degli uomini. Malgrado l’apertura di papa Francesco che invita a sostituire col sorriso la paura (della morte e del Covid 19), l’enigma della morte fa vacillare gli uomini; penso che quella spinta alla fede che anima il credo di don Chicco possa essere in quel caso una valvola di sicurezza che frena gli uomini da un’esplosione emotiva che potrebbe risolversi anche tragicamente.  Allora, in questo caso e solo in questo senso, nel binomio squilibrante di paura-fede l’esortazione di don Chicco, positiva, rende vittoriosa la fede, giungendo ad equilibrare il binomio.

A.M.:Nell’alba che sopraggiunse, come nel risveglio in un eden segretamente cercato, cominciarono a conoscersi, a cercarsi. Nel perdersi e conoscersi, Adele sentì che fino a quel giorno era vissuta come un essere a metà, come un frutto dimezzato: ora sapeva che senza Hayat sarebbe tornata a essere la metà di sempre, e sarebbe morta in una notte, nel tempo sufficiente a un fiore di gelsomino di perdere il profumo e avvizzire senza più vita.” Chi sono Adele ed Hayat?

Uccia Paone: Adele e Hayat sono i protagonisti del romanzo. Si amano di un amore che al lettore appare forse inconcepibile, sono un corpo e un’anima sola ed è Adele che ne avverte subito la magica realtà. Dei personaggi accenno solo con un particolare, essi emergono in quel che dicono e fanno. Lascio sempre immaginare ogni mio personaggio al lettore: deve essere solo suo, un unicum solo suo.

A.M.: L’immobilismo ottomano è contrapposto ai capovolgimenti dell’Europa. Perché è importante continuare a riportare in luce gli eventi del passato?

Uccia Paone: Historia magistra vitae”: non l’aveva già detto Cicerone? La storia dovrebbe quindi ammaestrare chi vive il presente e guarda al futuro. Ogni nazione ha la sua storia, detta e ridetta, ma spesso isolata in grandi libri pieni di date e nomi che vengono studiati in maniera asettica, senza soffermarsi sui “perché” che la Storia (quella con la s maiuscola) esigerebbe invece per essere compresa. La Storia si forma a piccoli passi attraverso i secoli, ma non per tutti è stato così. L’Impero Ottomano è ricordato per il suo immobilismo, l’Europa per la sua dinamicità. Il primo si è formato in sei sette secoli, dal 1300 circa, con la discendenza, spesso combattuta, di sultanati. Il sultano amministrava in tutto e per tutto con diritto di vita e di morte sui sudditi. Nei secoli il sultano governò di volta in volta appoggiando una comunità o l’altra, aiutato da ministri fantocci assolutamente soggetti alla sua volontà. A questa staticità politica corrispose un forte immobilismo sociale per cui tra queste comunità, fortemente gelose della propria individualità, non sorse mai quel confronto politico che invece colmava di esperienza l’Europa. Organismo di politica e di forte bellicosità, l’Impero non poteva competere con le potenze europee, avide per tradizione dei beni oltre i propri confini. L’Europa aveva vissuto millenni di confronti socio-culturali e di espansionismo: nei secoli dell’immobilità ottomana aveva respirato il Medio Evo con le sue accademie competitive anche oltre i propri confini, era passata da Martin Lutero, dalla Riforma e dalla Controriforma, dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione Francese e in tutto questo e in altro generando scienza, lettere, arte, filosofia, patriottismo e sangue di eroi. L’Italia contribuì e arricchì l’Europa con la sua arte e la sua cultura, ma anch’essa ebbe interesse ad abbattere l’Impero Ottomano; lo fece alleandosi con la Spagna, la Francia e anche con lo Stato Pontificio… L’Impero ottomano dovette accettare una umiliante agonia, perdendo un pezzo dopo l’altro: si sfaldò, si dissolse e perì per le ragioni, sempre uguali, scritte nei libri di storia.

Dell’Unità d’Italia ho detto nel romanzo.

A.M.: Causa pandemia le presentazioni letterarie non sono praticabili ma ho notato che in tanti hanno ben pensato di utilizzare i social network ed il video come alternativa.

Uccia Paone: Con i libri precedenti ho sempre avuto presentazioni fatte fisicamente. Con questo mio romanzo sono in grande difficoltà per la pandemia e per la mia totale ignoranza a qualsiasi livello di digitazione e social network.

A.M.: Salutiamoci con una citazione…

Uccia Paone: “… ci sono storie irreali che non sono false.” – Bruno Bettelheim

 

A.M.: A risposta dello psicoanalista austriaco che lei ha citato lascio la parola a Luigi Pirandello, lo scrittore di Girgenti, l’attuale Agrigento: “La realtà che ho io per voi è nella forma che voi mi date; ma è realtà per voi e non per me; la realtà che voi avete per me è nella forma che io vi do; ma è realtà per me e non per voi; e per me stesso io non ho altra realtà se non nella forma che riesco a darmi. E come? Ma costruendomi, appunto.”

Written by Alessia Mocci

Info

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Fonte

https://oubliettemagazine.com/2020/11/06/intervista-di-alessia-mocci-ad-uccia-paone-vi-presentiamo-fu-al-suono-di-unarpa-eolica/

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