Con le tensioni attuali in Europa e una guerra alle porte, è inevitabile ricordare una situazione simile, ma diversa, che ha segnato il nostro continente non troppo tempo fa. La Bosnia-Erzegovina (BiH) rappresenta uno dei casi più complessi e delicati di transizione post-conflitto in Europa. Dopo la devastante guerra degli anni ’90 e gli Accordi di Dayton del 1995, il paese ha intrapreso un percorso tortuoso verso la stabilità politica e l’integrazione europea. Le sfide, tra cui i tentativi secessionisti di Milorad Dodik, leader della Republika Srpska (RS), e le difficoltà legate alla transizione costituzionale, costantemente influenzata dalle persistenti tensioni etniche e dai problemi di autonomia politica sono ancora presenti.
Quali sono le dinamiche di questi processi e le loro implicazioni per la BiH e il suo potenziale ingresso nell’Unione Europea (UE)? Cosa ci ha insegnato questa esperienza e cosa può ancora insegnarci per il futuro di un’Europa piú stabile e unita?

Gli Accordi di Dayton e lo “Stato senza Nazione”

Gli Accordi di Dayton, firmati nel 1995, hanno posto fine alla devastante guerra in Bosnia-Erzegovina, ma hanno anche creato una struttura statale estremamente complessa. La Bosnia-Erzegovina è stata suddivisa in due entità principali: la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, che comprende principalmente bosgnacchi e croati, e la Republika Srpska, a maggioranza serba. Inoltre, è stato istituito il distretto autonomo di Brčko, sotto la sovranità congiunta delle due entità principali.
Questa divisione ha istituzionalizzato le linee etniche, rendendo difficile la governabilità e la creazione di una coesione nazionale. La Bosnia-Erzegovina è spesso descritta come uno “Stato senza Nazione“, dove le identità etniche prevalgono sull’identità nazionale comune. La costituzione imposta dagli Accordi di Dayton ha creato numerosi livelli di governo e una distribuzione del potere che, nella sua storia, ha spesso portato a inefficienze e blocchi politici.

Dialettica tra Separazione Etnica e Ricostruzione Multietnica

La transizione della Bosnia-Erzegovina (BiH) può essere analizzata attraverso un continuo incontro/scontro tra due elementi contrastanti: uno statico (la separazione etnica e territoriale) e uno dinamico (la ricostruzione di una società multietnica). Il bilanciamento tra questi due elementi è cambiato nel corso del tempo, definendo tre fasi principali nel processo di transizione della BiH fino ad oggi.

Le Tre Fasi della Transizione

Nella prima fase, ha prevalso nettamente l’elemento statico. Questo ha permesso il cessate il fuoco e la separazione fisica della popolazione in territori etnicamente definiti. La priorità era garantire la pace e la sicurezza attraverso la divisione territoriale, riducendo al minimo i conflitti diretti tra le diverse comunità etniche.
La seconda fase, definita come la fase delle “correzioni istituzionali”, ha visto un tentativo di bilanciare l’elemento statico con quello dinamico. In questa fase, si è cercato di promuovere l’interazione tra i vari gruppi etnici, soprattutto attraverso l’esercizio del “diritto di ritorno” dei rifugiati e degli sfollati oppure con elementi di Stato di diritto, come il divieto di discriminazione, per controbilanciare quella che viene definita “democrazia etnica”. Un esempio significativo di questa fase è la decisione della Corte Costituzionale sui “popoli costitutivi” del 2000. Tuttavia, il problema emerso in questa fase, e che persiste ancora oggi, è che l’elemento dinamico non è riuscito a creare le condizioni per una costruzione sostenibile e autonoma di un apparato statale multietnico.
La terza fase si apre con le critiche al concetto di “protettorato internazionale” e, con l’assorbimento di queste critiche, il cambiamento di strategia da parte dell’Unione Europea nei confronti dell’intero processo di integrazione. Sebbene il futuro della BiH nell’UE sia dichiarato, non è comunque universalmente accettato. Un esempio importante di questa opposizione é la leadership politica nella Republika Srpska (RS), intenta a difendere l’attuale disegno dello stato federale “gemello” con ampi poteri per le entità uscito da Dayton. Questo atteggiamento rappresenta una sfida significativa per l’integrazione europea della BiH e per la costruzione di uno stato multietnico e sostenibile.

La Proposta di Jens Woelk

Nel suo libro “La transazione costituzionale della Bosnia ed Erzegovina. Dall’ordinamento imposto allo stato multinazionale sostenibile“, Jens Woelk analizza come la BiH possa evolvere verso uno stato più funzionale e sostenibile in termini di autonomia e sviluppo nel suo percorso di transizione.
Woelk suggerisce 3 interventi necessari alla BiH per superare lo stallo odierno e completare la transizione: in primo luogo si richiede un depotenziamento del principio etnico in capo alla struttura statale e governativa. In secondo luogo una valorizzazione di interessi sovra- e inter- nazionali, che siano etnicamente neutrali e laici, specialmente negli organi costituzionali e giuridici; cioé un sistema che nel profondo valorizzi gli interessi comuni e sovranazionali, piuttosto che quelli etnici. Infine, Woelk palerá di un inevitabile potenziamento e ampliamento delle competenze dello Stato centrale attraverso riforme costituzionali, come antidoto alla frammentazione e blocchi di tipo politico. Detto questo, la strada che porta all’implementazione di questi 3 interventi non sará in nessun caso semplice o ben definita, ma una ricerca continua di soluzioni “endogene e sostenibili” con necessaria assistenza da parte dell’UE (parametri di convivenza genrali e individuali, ma anche assistenza finanziaria). L’Unione con il suo cambio di strategia ha dimostrato di aver accolto le critiche di eterodirezionalitá e mancanza di principio democratico nella sua relazione con la BiH, adottando una strada non dissimile da quella suggerita da Woelk. Basterá a creare una Nazione?

Il lungo viaggio verso l’UE

Il percorso della BiH verso l’integrazione europea è stato lungo e complesso ed é intrecciato profondamente con le dinamiche presentate nel paragrafo precedente. L’UE ha svolto un ruolo cruciale, insieme all’intera comunitá internazionale, nel sostenere la stabilità e la democratizzazione del paese con diversi strumenti. La stessa “condizionalità” dell’UE ha avuto un impatto significativo, usata come leva sulla politica interna della BiH, ha spinto il paese a intraprendere riforme difficili ma “necessarie” con l’idea di poter farne parte in futuro. Questa e altri numerosi interventi, spesso anche diretti, comunque non sono bastati: la BiH deve ancora affrontare numerosi ostacoli per soddisfare i “criteri di adesione”. Le riforme richieste dall’UE, che includono per esempio la lotta alla corruzione, il rafforzamento dello stato di diritto e la protezione dei diritti delle minoranze; fanno da orizzonte al futuro della BiH. Tuttavia, le divisioni etniche e la resistenza politica interna hanno spesso rallentato questo processo che ancora oggi rimane inconcluso. Dal punto di vista della sua integrazione nel panorama europeo, con l’idea di entrare nella UE, manca quell’assunzione implicita che invece ancora domina in Europa, cioé la connessione tra Stato e comunitá costitutiva (Stato-Nazione), che va a definire delle difficoltá che sembrano insormontabili per la situazione Bosniaca, in cui vi é una forte relativizzazione della sovranitá statale fin dalle origini (e che ne ha permesso le origini).
Fintanto che non si crea uno Stato-Nazione autonomo e sostenibile per la Bosnia-Erzegovina le porte dell’UE saranno chiuse.

I Tentativi Secessionisti di Milorad Dodik: Retorica Nazionalista e Referendum

Milorad Dodik, leader della Republika Srpska, ha ripetutamente minacciato la secessione della RS dalla BiH, utilizzando una retorica nazionalista e strumenti come l’organizzazione di referendum, che sfidano l’autorità del governo centrale di Sarajevo e compromettono la creazione di uno stato, se non unitario, anche solo multinazionale.
Dodik ha utilizzato una retorica nazionalista per consolidare il suo potere e promuovere l’autonomia della RS. Un esempio significativo è il referendum del 25 settembre 2016, in cui la RS ha votato per mantenere il Giorno della RS come festa nazionale, nonostante una decisione contraria della Corte Costituzionale della BiH. Questo referendum, sebbene apparentemente su una questione simbolica, ha rappresentato un atto di sfida alle autorità centrali e ha rafforzato la posizione di Dodik come difensore degli interessi serbi.
Questo referendum fú il primo tentativo riuscito di tenere un plebiscito a livello della RS, dopo che precedenti tentativi su questioni di maggiore rilevanza politica erano stati abbandonati a causa della forte pressione internazionale. Questo evento ha dimostrato la capacità di Dodik di mobilitare il sostegno nazionale serbo e mostrato il suo ricatto, utilizzando il referendum come strumento per rafforzare l’autonomia della RS e sfidare l’autorità centrale.
Queste azioni hanno suscitato preoccupazione anche a livello internazionale. Invero, la comunità internazionale ha reagito in vari modi ai piani secessionisti di Dodik: mentre alcuni paesi, come la Russia, hanno mostrato un certo grado di sostegno alle posizioni di Dodik (per esempio, la chiusura dell’Ufficio dell’Alto Rappresentante, sostenuta dalla Russia, è stata vista come un tentativo di ridurre l’influenza internazionale sulla BiH e di facilitare i piani di Dodik), altri, come gli Stati Uniti e l’Unione Europea, hanno condannato le sue azioni e hanno chiesto il rispetto dell’integrità territoriale della BiH.

Ritorno alla domanda di partenza: Che lezioni può trarne L’UE?

La complessa esperienza della Bosnia-Erzegovina offre numerose lezioni per l’Unione Europea, specialmente in un contesto di crescenti tensioni e transizioni politiche in Europa. In primo luogo, la BiH dimostra l’importanza di un approccio equilibrato tra stabilità e inclusività. Gli Accordi di Dayton hanno garantito la pace, ma hanno anche istituzionalizzato le divisioni etniche, creando una struttura statale che ha reso difficile la governabilità e la coesione nazionale. L’UE deve quindi considerare attentamente come promuovere la stabilità senza sacrificare l’inclusività e una rappresentanza equa; essere maggiormente unita e incisiva nell’assumersi responsabilità nella creazione di fondamenta stabili per un futuro stato membro, adattando le sue politiche e meccanismi alla specifica situazione.
Inoltre, l’esperienza della BiH sottolinea la doppia lama del sostegno internazionale continuo. La transizione della BiH è stata sostenuta da un significativo intervento internazionale, ma la resistenza politica interna e le divisioni etniche rimangono problemi persistenti. L’UE deve quindi essere pronta a fornire un supporto a lungo termine, sia attraverso assistenza tecnica che finanziaria, per garantire che almeno le riforme possano essere implementate efficacemente, stando attenta peró a non inserirsi troppo direttamente nelle decisioni governative. È essenziale quind che l’UE limiti i suoi interventi a forti pressioni di condizionalità (magari inserendo la BiH nei candidati?), tenendo sempre a mente che nessun cambiamento sostenibile potrà essere imposto dall’esterno.
In ultimo, ma non meno importante, la questione dei tentativi secessionisti di Milorad Dodik ricorda all’UE, specialmente nell’attuale situazione di tensione con la Russia, come la retorica nazionalista e le azioni provocatorie che alimentano le tensioni etniche possano essere sfruttate per scopi politici e fanno leva tutte sul classico concetto di “divide et impera” che puó rappresentare solo che veleno per un’entitá come L’UE.

L’Unione Europea é pronta a difendere sé stessa?

L’Unione Europea dovrá essere pronta a condannare fermamente tutte le azioni o politiche che vanno contro i valori su cui essa stessa si basa, sostenendo l’integrità territoriale degli stati membri e dei paesi candidati, deve essere pronta a contrastare queste retoriche con l’effettivo aiuto nel creare garanzie delle libertà individuali e una struttura che promuova una maggiore integrazione tra culture, etnie e religioni, piuttosto che una loro segregazione e/o creazione di privilegi differenziati. Questa opera deve essere intrapresa continuamente sia all’interno dell’UE, sia nei rapporti con il vicinato dell’Unione. A queste lezioni non ci sono proroge da poter presentare: se L’UE vuole avere un futuro ed essere ancora in grado di provvedere ai suoi membri; continuare essere una soluzione appetibile per il suo vicinato, allora dovrá fare sue le lezioni Bosniache ed essere pronta a prendere misure concrete, costruire la sua unitá e esercitare pressioni ed aiuti continui su chi vorrebbe far parte della nostra comunitá e formare un vero soggetto-personalitá della politica internazionale.

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