La brutalità di essere uomo
“Come faccio a stuprare mia figlia senza che pianga?” “Le donne vanno stuprate, sono solo un contieni sborra” “Questo è il nome della mia ex fidanzata, sputtaniamola” “Cerco foto bambine nude”
Queste sono solo alcune delle vergognose e turpi frasi fuoriuscite da un gruppo Telegram, il cui nome, “Stupro tua sorella 2.0”, è già indicativo del materiale in esso contenuto. Ci troviamo di fronte a un network composto da 21 canali con un totale di 43mila iscritti e 30mila messaggi ogni giorno. Ci sono foto e video privati (e non) diffusi senza il consenso delle soggette interessate, materiali pedopornografici, numeri di telefono e profili social di ex fidanzate o semplicemente di ragazze “conosciute” attraverso piattaforme come Instangram o Facebook. “Ci sono padri di famiglia che espongono foto delle figlie dopo avergli sottratto il telefono, persone che esortano il gruppo a perseguitare ex ragazze e un rito di comunità che consiste nel masturbarsi su foto rubate e inviare prove dell’atto.”
Originariamente il termine Revenge Porn era usato per indicare la vendetta da parte dell’ex fidanzato che condivideva contenuti derivati dall’intimità, ora indica la condivisione pubblica di foto o video intimi senza il consenso dei protagonisti tramite Internet. In Italia, dal 19 luglio 2019, con la legge n.69, il Revenge Porn è un reato perseguibile penalmente ma nonostante ciò si continua a sentire di tanti casi, di tante vittime di questo terribile atto. Forse perché, come riguardo altri reati, in Italia non vi è la certezza della pena e ciò sembra legittimare determinati soggetti ad agire in non conformità della legge. Anche se, bisogna ricordare, la difficoltà tecnica di risalire ai nomi degli utenti in quanto spesso sono utilizzati server che fisicamente e giuridicamente si trovano in paesi non sottoposti alle normative comunitarie. Wikipedia recita “Questa pratica è talvolta anche descritta come una forma di violenza, abuso psicologico, o abuso sessuale.” Errore, questa pratica è sempre una violenza, è sempre un abuso psicologico. Questo è un atto che con un click devasta l’identità personale
Ciò che sconvolge, oltre il contenuto, sono i commenti che seguono queste foto e questi video. Commenti che sottolineano e marcano drammaticamente una mentalità machista, che vede la donna come un oggetto nato per il piacere maschile, una mentalità che valorizza ed esalta lo stupro e ogni tipo di violenza sessuale . Perché è di questo che si tratta, di violenza nei confronti di donne macchiate dal peccato capitale e originale di essere dotate di una vagina, caratteristica che le tramuta automaticamente in puttane.
E’ importante notare che gran parte delle foto pubblicate su questo gruppo non sono foto erotiche, ma di ragazze vestite o che indossano in costume, foto dei loro visi, insomma non sono necessariamente foto provocanti. La malattia dei componenti di questo gruppo sta proprio qui: ciò che li eccita non sono le forme, non è un seno più o meno esposto e nemmeno un sedere valorizzato. Ciò che li eccita è l’idea di poter disporre del corpo di una donna, di una ragazza, di una bambina senza che lei possa ribellarsi o opporre resistenza in qualche modo, l’idea di poterle dominare e ridurle schiave.
Dovrebbe sconvolgere, giusto? E invece no, scorrendo su Twitter i commenti a questa vicenda si leggono frasi come “E’ solo una chat” oppure “Se invii una foto nuda non puoi pensare che rimanga privata”; quest’ultima frase, in particolare, assomiglia a “Se ti metti quel vestito, te la sei andata a cercare”, come si è spesso detto a ragazze che sono state violentate.
Ovviamente non si generalizza, non tutti gli uomini sono bestie, non tutti gli uomini sono malati. Ma la grande maggioranza degli uomini sono nati e cresciuti in una società dove se vedi una bella ragazza per strada le fischi, dove se una donna ha tanti rapporti viene mal giudicata ma se lo fa un uomo allora si è guadagnato la sua virilità e il rispetto dagli amici, dove se il tuo vestito ondeggia e lascia troppa pelle scoperta e attiri attenzioni indesiderate la colpa è solo ed esclusivamente tua, una società dove anche se non agisci direttamente in questo modo, comunque tendi a giustificare chi lo fa dicendo che “le donne devono stare attente”, una società, quella del 2020 in cui ancora c’è chi ha il coraggio di affermare che “l’uomo non sa contenere i suoi istinti”(frase che fa tanto 1800).
Ciò che fa riflettere è che gli uomini stessi dovrebbero sentirsi indignati da questi comportamenti e anche da queste giustificazioni perché svalutano un genere intero rendendolo simile a degli animali, non dando giustizia a coloro che invece hanno rispetto delle donne, che le amano e le valorizzano.
Alla base di tutto ciò ci sono secoli in cui, per cultura o per comodità, la donna è sempre stata considerata inferiore, come se potesse aspirare ad essere solo madre e focolare della casa infatti la sua figura è stata irrimediabilmente legata e vincolata alla dimensione domestica. Sembra che però, anche nel 2020, siamo rimasti a un tipo di rapporto uomo/donna che non ha nulla da invidiare a “ Io Tarzan, tu Jane” a livello di socializzazione.
Noi donne dobbiamo essere sempre più attente, più veloci, dobbiamo sempre comportarci come fossimo in dovere di dimostrare qualcosa a qualcuno e non solo a se stesse. Le donne che occupano posizioni apicali, per esempio le manager aziendali, raccontano come , durante le riunioni, ci si stupisca che sia una donna a gestire un ruolo così importante, raccontano di quanto sia pesante dover reggere quegli sguardi diffidenti che sembrano insinuare tanti modi, quasi tutti sessuali, attraverso cui sono potute arrivare a ricoprire importanti ruolo gerarchici. E’ anche vero che gli stereotipi ci sono da entrambe le parti. La società vuole l’uomo forte, che mostri a tutti la sua virilità fino a esasperarla. L’uomo non deve piangere, l’uomo non deve mostrarsi debole, l’uomo non può rifiutarsi dal commentare una donna o verrebbe messa in dubbio la sua eterosessualità.
E’ importante vedere comunque le differenze di pensiero tra uomini e donne riguardo questo argomento, per cui ho sottoposto tre domande uguali a due studenti universitari, Giulia e Matteo (nomi di fantasia):
Da cosa pensi che derivi la mentalità machista che spinge a vedere la donna unicamente come oggetto del piacere maschile?
G: Nonostante siamo nel 2020 la nostra società, anche se in modo meno evidente rispetto al passato, presenta un assetto patriarcale e maschilista. Questa mentalità che tende a far vedere la donna come inferiore deriva da tante piccole cose: dai cartoni, in cui la donna molto spesso fa la mamma e l’uomo-papà ha invece una carriera, dalla divisione nei giochi tra quelli da femmine e quelli da maschi, oppure dal gioco che reputo sessista per eccellenza e a cui tutti abbiamo giocato, ovvero “il gioco della famiglia”, nel quale il ruolo della bambina è quello di fare la moglie, che rimane nella casetta di plastica, a cucinare aspettando il marito. Tutto ciò viene interiorizzato dalla cosiddetta “mente assorbente” dei bambini insegnando che ciascuno deve ricoprire un determinato ruolo nella società, una società in cui nella maggior parte delle volte la donna deve essere debole e deve aver bisogno del marito. Da qui a diventare oggetto di piacere, senza possibilità di ribellione, il passo è bravo e non sorprende che la maggior parte delle violenze avvengano all’interno di un matrimonio o di una relazione affermata.
M: Sicuramente da un portato culturale e sociale che non ha mai visto realizzarsi accanto ad un’uguaglianza formale tra uomo e donna, un’uguaglianza sostanziale cardine di una società democratica e egualitaria
Senza arrivare a esempi tanto drastici e turpi come quello del gruppo Telegram, nella quotidianità in cosa vedi l’espressione di questa mentalità?
G: Nella vita di tutti i giorni essere una donna è una sfida e non lo dico perché sono una donna. Le mancanze di rispetto e in generale le espressioni di questa mentalità si vedono sotto tanti aspetti. Non solo sul lavoro, anche se qua ci sarebbe parecchio da dire; lo si vede quando un uomo si permette di giudicare una donna in base agli abiti che porta e alle foto che pubblica, oppure quando va tutto bene se è un uomo a parlare di sesso, ma se lo fa una donna diventa uno scandalo, quando si giudica una donna in base alle esperienze che ha avuto o non ha avuto. Lo si sente nei discorsi, troppo spesso enunciati da altre donne, che si concludono con “ma se non vuoi avere figli come pensi di realizzarti?”
M: Lo vediamo nella vita di tutti i giorni. Basti pensare alla facilità con cui si insulta una donna per la dimensione fisica, o a quando una ragazza cammina per strada e riceve fischi, suoni di clacson da parte degli uomini che la vedono, dalla disparità sociale ed economica, anche e soprattutto a livello lavorativo, ma anche a livello domestico, dove a volte l’uomo per sentirsi tale ha bisogno di dimostrare la sua forza con violenze. Però spesso sono le ragazze proprio ad alimentare questa mentalità, in cose piccole, per carità, come il fatto di non pagare nei locali, di saltare la fila nei locali perché “le ragazze entrano prima”, o che si aspettano che il fidanzato/l’amico le offri la cena, il pranzo o quello che sia.
Come potrebbe essere, secondo te, superata?
G: Cambiare questo atteggiamento è difficilissimo perché è qualcosa di profondamente legato al nostro retaggio culturale. E’ difficilissimo ma non impossibile, io lo considero necessario. Si dovrebbe partire dall’infanzia e quindi da programmi scolastici e programmi di aggiornamento per gli insegnanti in modo da includere una vera e propria educazione alla parità di genere. Si dovrebbe far capire che non ci sono professione differenziate per uomini e donne, che tutti si dovrebbero realizzare nel modo più opportuno e non rinchiudersi nelle gabbie degli stereotipi.
M: Riformulando i valori sociali attraverso l’educazione che è il vero e proprio generatore d’uguaglianza e giustizia perché a scuola si formano le relazioni e i valori culturali attraverso cui filtriamo gli stimoli esterni e deve essere proprio la scuola l’argine contro la prevaricazione maschile. Bisogna credere che l’uomo, inteso come essere umano, possa migliorare. Penso che come tutti altri tipi di “odio” (come per esempio la xenofobia), questo rancore verso le donne sia dovuto a una sorta di paura. Bisognerebbe aprirsi di più, conoscere di più le donne o meglio imparare a conoscerle. Nella nostra società purtroppo c’è anche tanto il fatto che noi uomini siamo abituati a doverci comportare in un determinato modo, se si cambiasse quello, saremmo già a buon punto.
Io sono una donna e in quanto tale voglio avere il diritto di disporre del mio corpo liberamente, decidendo non solo come e quando ma anche con chi, voglio essere considerata indipendentemente dalla lunghezza della mia gonna o dalle foto che pubblico. Tante, tantissime donne ci hanno insegnato che possiamo essere non solo pari, ma anche superiori agli uomini, che possiamo fare quello che fanno loro e spesso farlo meglio, che non può essere un uomo a farci stare zitte, che non sarà una violenza, psicologica o fisica, a ridurci al silenzio. E l’appello agli uomini, quelli veri, è di non consolarci in privato, ma di prendere una posizione, di difenderci, anche se sappiamo farlo benissimo da sole.
Direttore responsabile: Claudio Palazzi