Nei mercati finanziari esistono numerosi indicatori che permettono di guidare le scelte di investimento degli operatori, comunicando in modo trasparente i risultati, economici e non, conseguiti dalle imprese su diversi fronti. Molte metriche sono di difficile comprensione, e di conseguenza l’investitore medio non ne tiene conto nel decidere se acquistare o meno le attività finanziarie di quell’emittente; inoltre non sempre vengono fatte solamente considerazioni di natura pecuniaria per stabilire se effettuare l’investimento oppure orientare il proprio denaro in altre direzioni. Sopratutto in situazioni non ordinarie gli investitori potrebbero prediligere la resilienza e la sostenibilità di lungo periodo piuttosto che un’immediata profittabilità, e ciò ci viene dimostrato dalla diffusione che il cosiddetto ESG score, o rating di sostenibilità, ha avuto negli ultimi anni.
Per misurare il rischio finanziario a cui è esposta un’impresa tradizionalmente si fa riferimento al rating creditizio, che ne rappresenta l’affidabilità economico-finanziaria, permettendo così di determinare un appropriato tasso di interesse per l’emissione di strumenti finanziari. Si tratta quindi di un giudizio sintetico che si basa su misurazioni economiche (probabilità di default, perdita attesa nel caso di insolvenza…), che da anni sembra però essere insufficiente per definire in modo esaustivo l’esposizione al rischio di un emittente.
Entra cosi in gioco il rating di sostenibilità, chiamato più nello specifico ESG score. Environmental, Social e Governance: sono questi i tre valori fondamentali che sono tenuti in considerazione per definire quanto un’impresa sia solida sotto il profilo della sostenibilità. Il primo pilastro considera come un’azienda si comporta nei confronti dell’ambiente nel quale è collocata e dell’ambiente in generale; il secondo esamina l’impatto e la relazione con il territorio e con gli stakeholders (portatori di interessi, quindi dipendenti, fornitori, clienti…) infine l’ultimo riguarda i temi di una gestione aziendale ispirata a buone pratiche e a principi etici, in particolare si fa riferimento alle retribuzioni, al rispetto dei diritti e alla trasparenza. Complessivamente il rating ESG valuta quindi l’impegno di un’azienda verso le questioni ambientali, sociali e di governance e quanto questa azienda sia esposta ai rischi connessi. I principali rischi identificati in relazione a tali ambiti sono il cambiamento climatico, il cambiamento socio-demografico, l’evoluzione tecnologica della società, la violazione dei diritti umani e dei lavoratori, e i comportamenti in violazione dell’integrità della condotta aziendale.
Definite le differenze salienti tra le due tipologie di rating, è opportuno focalizzarsi sull’impatto che queste hanno sull’investitore: in che misura guidano le sue scelte? Quale dei due è maggiormente tenuto in considerazione? Ovviamente non è facile dare una risposta univoca a questi interrogativi, anche perché ci sono molti studi in corso, tuttavia ciò che un’analisi di Banca d’Italia riporta è che durante il periodo più acuto della crisi pandemica, le imprese con un solido profilo ESG emettevano obbligazioni ad un tasso di interesse inferiore, ovvero riuscivano a finanziarsi a minor costo. Questa evidenza suggerisce una preferenza degli operatori per le imprese attente alle questioni ambientali, sociali e di governance, e dimostra quindi come le considerazioni alla base delle scelte di investimento non sempre siano solo di natura pecuniaria.
Oltre al fatto che un buon rating di sostenibilità, al pari di un buon rating creditizio, generalmente permette alle aziende di finanziarsi a minor costo, risulta anche interessate focalizzarsi sulle ragioni che determinano questa dinamica e sulla durabilità di ciò. Per quanto riguarda il primo aspetto, si può affermare che gli investitori prediligano un buon profilo ESG sia per motivi etici che per un effettivo desiderio di tutelarsi dal rischio ambientale, infatti da anni le problematiche legate all’ambiente sono in crescita, cosi come i disastri naturali, e quindi investire in un’azienda che è in grado di fronteggiare tali rischi sembrerebbe un buon modo per non vedere diminuire il valore delle proprie attività finanziarie. Con riferimento alla durabilità della dinamica positiva che si è delineata, l’analisi diventa più complessa. Partendo dal presupposto che soddisfare i criteri necessari per avere un buon ESG score è costoso per le imprese, si dovrebbe valutare se il guadagno in termini di minor costo di finanziamento e miglior reputazione (quest’ultima può portare anche a maggiore visibilità e notorietà e quindi ad un incremento delle entrate) è superiore rispetto alle spese che devono essere sostenute; se ciò è affermativo, allora la transizione verso una finanza sostenibile può essere plausibile e di conseguenza gli aspetti positivi determinati da un buon rating di sostenibilità possono permanere. In assenza di un ritorno economico però, si potrebbe arrivare ad un punto in cui non sarebbe più conveniente rivolgere tanto impegno verso i temi della sostenibilità e quindi si determinerebbe il venir meno della centralità del rating ESG.
Ciascuno degli aspetti precedentemente esposti andrebbe analizzato in modo molto più approfondito per comprendere a pieno il fenomeno, ma ciò che si vuole enfatizzare con il presente articolo è la dinamica dei mercati finanziari. Spesso si tende a pensare che questi ultimi siano guidati unicamente dalla logica della massimizzazione del profitto, ma analizzando ciò che è accaduto negli ultimi anni si può constatare che in realtà ci sono molte altre determinanti. Aspetti ancora più rilevanti sono la mutevolezza e l’adattabilità del mondo della finanza, e ciò è dimostrato dal fatto che, in un momento in cui i temi ambientali sono diventati di importanza fondamentale, è diventato altrettanto importante per le imprese avere un buon profilo di sostenibilità se si vuole raccogliere del credito a condizioni favorevoli. La rilevanza del rating di sostenibilità evidenzia che le preferenze degli operatori sono cambiate, che essi non sono più interessati solo alla profittabilità nel breve termine, ma sono attenti anche agli aspetti etici, alla tutela e conservazione dell’ambiente.
Una sfida che quesa nuova realtà finanziaria fa sorgere è quella di creare un connubio tra i modelli matematici che sono utilizzati per le variabili numeriche, e i modelli che sono stati introdotti per determinare il rating ESG, che cercano di quantificare degli effetti non numerici. Attualmente siamo all’inizio del percorso, ed esistono ancora molte discrepanze tra i punteggi che le varie società di rating assegnano, a testimonianza di quanto sia difficile tradurre in numeri ciò che non lo è, ma il crescente bisogno di avanzamenti in tal senso porterà a incanalare le forze degli esperti per giungere a risultati sempre più precisi e soddisfacenti.