L’intento qui è di provare l’impresa di ripercorrere e analizzare brevemente la storia della Lega Nord e osservarne la logica intrinseca. Per cercare di raggiungere questo scopo bisognerà allora che si tenga bene a mente quali siano le tensioni interne che ne hanno definito il magmatico profilo politico nel corso degli anni e che ne hanno condizionato il pensiero e l’azione. Queste anime leghiste – che sono quella regionalista, quella radicale e quella populista – sono infatti fondamentali laddove si voglia capire come e perché è stata strutturata nel tempo la logica inclusione/esclusione che è il perno dell’elaborazione ideologica del partito. La logica inclusione/esclusione nella storia politica della Lega Nord Direttore responsabile: Claudio Palazzi
Vediamole più da vicino: la prima e più antica è quella regionalista-indipendentista segnata dal riferimento costante al territorio (alla Padania); la seconda è quella radicale, emersa nella retorica del partito su questioni costituzionali, immigrazione, sicurezza, autoritarismo etc.; la terza, quella populista, lo (auto)investe del ruolo di rappresentante dei valori e pensieri del popolo. In tempi recenti poi un’inedita vocazione nazionalista ha messo a tacere il vecchio regionalismo, presentando all’elettorato un partito che si pretende nuovo e che per questo cambia nome, non più Lega Nord ma Lega… e basta.

Esordi e regionalismo 

La storia del partito inizia con gli anni ‘80, quando nel Nord Italia emersero alcuni partiti a carattere autonomista-regionalista in regioni quali Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia. Queste “leghe” – ossia i nuovi partiti regionalisti che sceglievano consapevolmente una definizione alternativa a quella di “partiti” – hanno elaborato la loro politica attraverso il conflitto con il potere centralizzato contro cui sbandieravano un’elaborata narrazione di tradizione e storia locale, frutto di un complesso lavorio attorno alle abitudini locali e al dialetto locale. 

Nel corso di una decade questo sentimento anti-statalista è andato accrescendosi dietro l’egida della maggiore autonomia regionale, del minor peso fiscale e intervento dello Stato nell’economia. A partire dal 1990-91 la battaglia politica fu portata avanti dalla Lega Nord in cui confluirono le varie altre leghe sotto la leadership carismatica di Umberto Bossi 

Gli scandali di Tangentopoli rappresentarono il tassello mancante al crescente successo del partito, il quale non perse l’occasione per infiammare la sua retorica populista. La “nazionalizzazione” del partito non ne ha peraltro intaccato affatto la radicalità, limitandosi ad aggiustare il tiro della polemica dai “terroni” ai maggiori partiti. Dagli esordi fino ad oggi, la Lega non ha infatti mai mutato la logica che ispira la sua retorica polemica schematizzata nello scontro amico-nemico tipico dei partiti radicali, nella forma del: “small vs. big business, establishment vs. the people, the centre vs. the peripherynortherners vs. southerners and finally us vs. them”. La storia della Lega ci racconta cioè un continuo conflitto che ora ha preso forma nella battaglia del Nord contro il Sud, poi del popolo contro le élite, alcune volte contro i partiti della propria coalizione, altre volte contro l’Europa e la globalizzazione, sempre contro gli immigrati e i fedeli di altre religioni. 

Le crisi scoppiate a livello mondiale nel XXI: gli attentati alle Torri gemelle del 2001, la crisi finanziaria del 2008, quella dell’immigrazione del 2015, sono stati tutti episodi che hanno alimentato il ricorso a questo tipo di dialettica che ha trovato in Italia un auditorio sempre più disposto ad ascoltarla e interiorizzarla. La lista nera dei nemici della Lega si è infinitamente ampliata col tempo – anche perché il partito si è dovuto reinventare di volta in volta per motivare la propria posizione all’interno del governo senza abbandonare la sua carica radicale – e comprende terroni, politici, eurocrati, islamici, omosessuali, e tutti quanti non corrispondano al modello prescritto su cui si gioca la dinamica inclusione-esclusione. La dimensione religiosa e quella valoriale rivestono un ruolo importantissimo nel delineare i criteri in base ai quali definire questo modello.  

La “vera” fede 

L’importanza della tradizione, della religione, della famiglia non è quindi messa da parte, ma anzi è pienamente riaffermata e rivalorizzata contro gli abbrutimenti avvenuti nei centri di potere, politico ed ecclesiastico, a Roma. La Lega in quest’ottica si è investita dell’oneroso compito di conservare l’essenza della fede come essa si è manifestata nella storia della Chiesa, nel solco della tradizione dei grandi papi come Leone XIII e Pio X.  La Lega rappresenta il vero cattolico, la vera fede. 

Se l’opinione diffusa è che il mondo politico e quello religioso hanno perso di vista il valore delle proprie azioni – l’uno preso a rincorrere interessi economici tessuti nella fitta rete politico-affaristica, l’altro dietro alle speculazioni dottrinarie decrepite e alla sete di potere – si spiega allora facilmente come mai la polemica della Lega sia stata facilmente letta da molti cattolici come la rivalsa dei valori autentici.  

La Lega “nazionale” 

Nel corso del tempo degli ultimi anni i rapporti con la Chiesa sono però radicalmente mutati in concomitanza con l’avvento di una nuova guida a capo del partito e una nuova ideologia a ispirazione della sua retorica ufficiale. Dopo gli scandali che hanno travolto Bossi, il cambio di leadership per un partito come la Lega era inevitabile – sia per il peso che la battaglia contro “Roma ladrona” ha avuto nella sua retorica sia per l’assoluta centralità del ruolo del leader nella vita del partito. Nel 2013 l’elezione di Matteo Salvini segretario del partito inaugura una nuova stagione, quella della “Lega di Salvini”. La novità sostanziale non sta nell’abbandono della lente attraverso cui viene interpretato il dibattito politico, ossia lo scontro tra un “noi” e un “loro”- non è un caso Salvini si presenta al Sud dal 2014 con “Noi con Salvini”-, ma nella sostanza di questa differenziazione: non più un Nord contro un Sud, e neppure più il Nord contro Roma, ma l’intera nazione italiana contro il nuovo vero centro di potere su cui si concentra tutta l’attenzione polemica: l’Europa inefficiente e corrotta. 

La logica inclusione-esclusione viene giocata sul piano nazionale attraverso l’auspicio di un ritorno a un antico ordine immaginario in cui ogni popolo è saldo nella sua identità nazionale concepita in senso biologico. La stessa idea è proposta anche nell’organizzazione interna della comunità nazionale secondo il principio della famiglia “tradizionale” fondata sulla distinzione tra donna e uomo, cioè di mamma e papà, anch’essa ricondotta a una significazione biologica. In effetti questi due aspetti della retorica salviniana sono due facce della stessa medaglia, dove l’obiettivo è “ri-naturalizzare” i ruoli diversi e complementari, oltre che implicitamente gerarchicamente ordinati, all’interno della società, ma anche tra essa e l’esterno.  

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