A volte, quando esco di casa, mi guardo intorno e resto a pensare. Penso a Roma, alla sua grandezza e alla storia che pervade ogni angolo della città, dal centro alla periferia. Ma a Roma, posso ancora parlare di “periferia”? Forse no. Ormai, il centro storico ospita una piccola percentuale di insediati, le periferie sono la vera città. Noi cittadini abbiamo perso la percezione dello spazio urbano a portata di pedone, non viviamo più in un luogo chiamato metropoli ma in una piccola parte di essa, inserita in uno spazio più grande. La periferia romana che combatte il degrado Direttore responsabile: Claudio Palazzi
I romani vorrebbero vedere la propria città bella e ricca, come fosse lo specchio della propria esistenza e della propria appartenenza. Ma l’identità individuale (e collettiva) corrisponde a una realtà più piccola: quella dei quartieri. Somigliano a tanti piccoli paesi, ognuno abitato da comunità diverse. È qui che nasce una sorta di spirito di campanilismo, soprattutto nei giovani, che favorisce l’identità locale marcando, a volte, le differenze con gli altri. Una sana competizione tra identità.

Tuttavia, le periferie vengono lette troppo spesso come un problema per Roma. Solo negli ultimi anni si è compreso che, al di là dei quartieri storici, anche le periferie sono una risorsa per la capitale. Sono luoghi di fenomeni culturali innovativi, di vita sociale e di esercizi di cittadinanza al cui interno prendono vita le strategie di sopravvivenza degli abitanti. La città dovrebbe ripartire da qui, dai luoghi al margine, per promuovere la qualità della vita urbana e soprattutto per trasferire il potere alla popolazione. È quello che il comune ha provato a fare nel mio quartiere, al Municipio XIII, con risultati a dir poco sconfortanti.

Il protagonista (o la vittima) della mia storia è l’Auditorium Albergotti, opera fantasma situata tra via della Pineta Sacchetti e via Boccea. Un cantiere infinito, partito nel 2003 e costato quasi 2 milioni di euro. Avrebbe dovuto essere un polo culturale aperto alla cittadinanza, dotato anche di parcheggio: il tutto è rimasto abbandonato, fino ad oggi. L’iter di edificazione ha appunto inizio nel 2003, ad ottobre, quando il municipio vince un bando provinciale. Dopo aver presentato il progetto, la gara d’appalto è stata indetta ed aggiudicata solo nel 2005.  Il primo finanziamento comunale è stato di 800mila euro, andati persi con il primo stop ai lavori tra il 2006 e il 2008. Nel 2009 sono stati recuperati i fondi per completare l’opera: erano state gettate le fondamenta e la cupola, ma mancavano ancora le rifiniture e l’arredamento interno. Il cantiere, tuttavia, si ferma nuovamente e rimane senza recinzione. Nel 2011 all’interno dell’edificio, ormai abbandonato, una ragazza viene stuprata da un branco di cinque aggressori e tenuta prigioniera per più di cinque ore. Un fatto gravissimo, che ha sconvolto il mio quartiere e ha portato (finalmente) alla creazione di una protezione intorno all’Auditorium. Dopo di che: ennesimo blocco. Presidenti di municipio di ogni partito e fazione politica non sono stati in grado, negli anni, di realizzare il sogno di una periferia. Sino al 2016, quando i lavori ripartono e la speranza di vedere inaugurato l’Auditorium si fa sempre più tangibile. Ma la realtà supera la fantasia.

Quella mattina, il 30 novembre 2016, ero di ritorno dall’università. Uscita dalla metro Cornelia la mia vista viene bloccata da un’enorme nube di fumo che, realizzo successivamente, ha completamente invaso via Boccea. Faccio fatica a respirare e a comprendere che cosa abbia preso fuoco, qualcosa di così grande da aver prodotto una tale esalazione. Nel dirigermi verso casa, passo davanti all’Auditorium e realizzo che la fonte del fattaccio è proprio la cupola di quest’ultimo. Dalla paura passo all’incredulità: anni di lavori e di stop, quando finalmente l’inaugurazione sembrava vicina il tutto era andato perso a causa di un incendio.

Inutile elencare le polemiche a seguito dell’incidente. Un rimpallo di responsabilità che alla fine sembra essere terminato con l’accusa a carico di alcuni operai che, allo scoppiare del rogo, non avrebbero chiamato in tempo i soccorsi.

La struttura non è andata persa del tutto. “Fortunatamente” il danno maggiore è stato proprio quello del tetto, mentre l’interno sembra esserne uscito indenne. Peccato che dal 2016 ad oggi, l’Auditorium è stato nuovamente abbandonato, rimasto come emblema di una città che non riesce ad imprimere una svolta di efficienza e prontezza nel ripristino di opere dimenticate.

AuditoriumCollettivi studenteschi, comitati cittadini e addirittura Fanpage non sono rimasti in silenzio. La mobilitazione dal basso è stata sempre forte e attiva. Hanno scosso la coscienza comune e inciso sulla cittadinanza, che comunque è stata sempre consapevole di questo grande problema. Non è necessario essere residenti per indignarsi di fronte a questo grande scheletro che non rende giustizia a un quartiere che da anni cerca di risollevarsi.

Dopo la quantificazione del danno da parte del Tribunale Civile di Roma, è stato avviato un percorso partecipato con i cittadini del Municipio XIII per decidere cosa fare di questa struttura. È stato scelto di lasciar decidere ai cittadini come immaginare il futuro dell’Auditorium in quanto, per trovare una soluzione al problema, è necessario prendere in considerazione il contesto: la pineta, il parcheggio abbandonato (utilizzato per la sosta di camper e furgoni) e il parco giochi preso di mira dai vandali. La scelta finale è stata quella di realizzare un centro polifunzionale per ospitare attività sportive, didattiche e culturali.

Potremmo avanzare qualche sospetto: casualmente i lavori hanno avuto inizio proprio a ridosso delle elezioni amministrative 2021. E questo potrebbe preoccupare, in quanto se i lavori dell’Auditorium dovessero essere legati alla corsa al campidoglio ci potrebbe essere il rischio di una realizzazione frettolosa dell’opera, all’insegna della ricerca di consensi. A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina.

Nonostante tutto, il cantiere ad oggi è un work in progress e la cupola “arrostita” è stata già rimossa. Chiedendo ai cittadini della zona cosa ne pensano della ripartenza dei lavori, il sentimento comune è quello della speranza, mista a una buona dose di rassegnazione. La speranza è legata alla voglia di vedere finalmente ultimata un’opera importante per il quartiere, una possibilità di riscatto e di orgoglio nel generale deserto culturale delle periferie. Ma la rassegnazione, dovuta ai quasi 20 anni di lavori, non è indifferente.

Processi di trasformazione urbana possono favorire la costruzione di una nuova socialità proprio a partire dal territorio, contribuendo a ricostruire il rapporto tra città e cittadini. Dimenticando le periferie, il rischio della nascita di “non luoghi” è più che plausibile. Insediamenti alienanti che possono divenire fucina di microcriminalità.

Ma i quartieri, queste “piccole città” all’interno della capitale, sono ancora vivi e vitali. La rigenerazione del territorio, fondata sul concetto di fruizione dello spazio pubblico come ambito per la promozione di eventi artistici e culturali, nel Municipio protagonista del mio reportage ha visto attiva un’associazione culturale, Urban Arts Project, che sostiene un movimento indipendente e autofinanziato: Pinacci Nostri . Un progetto che crede fortemente nel portare avanti una battaglia all’incuria e al degrado partendo dal basso, in maniera spontanea, anche tramite la realizzazione di murales (prodotti gratuitamente dagli artisti grazie a una colletta popolare tra cittadini e commercianti per l’acquisto delle vernici).

Percepire di avere un’identità territoriale e un passato importante da valorizzare non sono solo esigenze di piccoli movimenti indipendenti, ma un sentimento collettivo e comunitario legato alla ricerca di un rinnovato senso di appartenenza.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here