La Planète Sauvage (co-produzione franco-ceca, 1969-1973), del regista René Laloux e dello sceneggiatore Roland Topor: oltre la realtà, nella realtà

“Un senso di vuoto e riempimento tormentano lo stomaco. Immaginazione ed umore nero immergono la stanza che gira dentro ad un vortice di luci ed arti visive psichedeliche. Il panico, la scoperta del “sé” interiore e poi quel senso di libertà che riduce i mattoni sulla schiena. La perversione affiora la mente ed una viscerale sensazione si dilaga a tal punto da volerla negare. Umani (Oms) vestiti da bambole, addomesticati ed accuditi come giocattoli. Una specie superiore di color blu (Draag), con il dono dell’ubiquità, viaggia attraverso le pupille nell’intento di raggiungere il più insinuante istinto naturale. Un valzer li aspetta sul Pianeta Selvaggio.”

Violenza come dimostrazione di superiorità “istigata” dal mal agire, dall’incomprensione, dalla perdita e conquista di valori e da quel diritto naturale di soffocare il “diverso”. Perversione, legata all’incessante ricerca di un piacere negato della sua naturalezza. L’emergere della libertà come mezzo per sottrarsi a questo giuoco di potere perpetuo portatore di un ulteriore differenziazione tra il noi e il loro. Conoscenza del “se”, arte per la conoscenza dell’altro. Antispecismo come perdita di uno status privilegiato di intelligenza fino ad’ ora assegnato solo all’essere umano in quanto tale da una parte, solo agli uomini o solo ai “potenti bianchi” da un’altra. Rispetto, in ultima forma, dell’unione imprescindibile tra essere umano e natura, due caratteri per molto discussi e tenuti separati.
Il surrealismo, al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale, con il primo Manifesto, intende superare il clima culturale borghese, fascista e reazionario, stalinista e controrivoluzionario.

Laloux e Topor nascono e maturano in un clima culturale addormentato e rivoluzionario, progressista e conservatore. Vivono nel militarismo e nel pacifismo, nel moralismo dei finti intellettuali che trainano con sé falsi tabù (“genitori che illudono i propri figli per paura di non essere più amati” – Topor). La contraddizione politica, legata ad un filo rosso, conduce Laloux a vedere il futuro nelle sue forme più elementari. Il destino che riserva agli esseri umani è ricco di una nuova consapevolezza: “l’essere umano si libera delle sue più inconsce catene mentali sbendando gli occhi da quel realismo ottuso che fino ad’ ora governava il mondo nelle sue forme e nelle sue misure più astratte”. Topor, uomo poliedrico, narratore interno ed onnipresente della sua stessa vita ( Topor, “parla di sé, al di fuori di sé”), unisce il Panico, segno di intelligenza, ad una risata incutente e suggestiva (“humor noir”) in grado di rappresentare un “modo di essere” retto da una moltitudine di sensazioni frastornanti, terribili, inattese, ricche di fascino e stimolo. L’emancipazione femminile, tema ricorrente nel surrealismo, adattata all’ heavy metal con cori sensuali e malinconici, riflette l’evasione dalla realtà nella realtà. La morte, la più grande certezza del vivere e anche la più grande negazione, come un funambolo tenta l’equilibrio pur consapevole dei metri che lo separano dal cemento. Il funambolo nega a sé stesso la possibilità di morire, “non ora” pensa. Topor lotta contro questa grande contraddizione schiaffeggiando al pubblico un senso di morte continuo, non indagato e non discusso come se fosse “naturale ed innaturale” allo stesso tempo.

La Planète Sauvage, amato dalla critica europea e movente per un nuovo target di amanti del cinema d’animazione fantascientifica (prima bambini, poi adulti ed infine un pubblico generico), mostra una tendenza contemporanea sia storica, sia culturale, segnata da lotte di autodeterminazione per la particolarità nella generalità, da lotte antimilitariste con armi nascoste sotto il cuscino, da lotte pacifiste perpetrate da azioni e argomentazioni violente, da lotte ambientaliste su auto con motore a scoppio e gatti strozzati al guinzaglio. Lotte annodate da argute contraddizioni che vedono il mondo agire contro l’utile, nell’utile e per l’utile; contro il consumo, nel consumo e per il consumo. Tendenze risucchiate da una voglia di cambiamento rumoroso ed ostile che difficilmente troverà una via d’uscita se non nella messa in dubbio della conoscenza del “sé”, del noi e dell’altro e non del giusto per sé, per noi, per l’altro.

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