In tema di sostenibilità ambientale, una questione particolarmente urgente è rappresentata dall’utilizzo e dalla gestione delle risorse idriche. Numerose sono le iniziative che puntano al riciclo dell’acqua, così come molte sono le tecnologie e gli strumenti di depurazione che permettono un suo utilizzo e, soprattutto, riutilizzo. Si potrebbe pensare che tutto questo sia stato possibile solo in tempi recenti ma uno sguardo al passato prova il contrario.
Si è spesso ritenuto che i Maya, e in generale le civiltà native del continente americano, non possedessero un livello tecnologico comparabile a quello degli europei: ciò è senza dubbio vero per certi versi ma, per altri, le nuove scoperte archeologiche provano che essi hanno sviluppato capacità e tecniche decisamente innovative da cui è ancora possibile trarre ispirazione.
Lo Yucatán, dove i Maya si stanziarono attorno al 500 a.C., è una zona senza grandi bacini acquiferi, pertanto essi dovettero presto adattarsi alle condizioni di scarsità idrica in cui vivevano, ricorrendo a sistemi di riciclo e di purificazione delle acque. Come spiega la dottoressa Yolanda López-Maldonado in un articolo sul sito UNESCO, i Maya adottavano sistemi di filtraggio molto complessi, basati sull’impiego di cristalli di quarzo e zeolite; inoltre, nelle cisterne veniva favorita la crescita di piante specifiche, come le ninfee, che prevenivano la crescita di alghe nocive che avrebbero potuto contaminare le acque.
Un altro aspetto interessante è rappresentato dai sistemi di gestione delle riserve idriche che i Maya avevano. L’elevato valore attribuito all’acqua da questo popolo è testimoniato dal fatto che essa svolgeva precise funzioni non solo di approvvigionamento ma anche rituali: la particolare conformazione idrogeologica dello Yucatán, data, si pensa, dall’impatto meteoritico che provocò l’estinzione dei dinosauri, aveva fatto sì che, nella cultura maya, i cenotes, i particolari bacini idrici di origine carsica tipici della zona, assumessero carattere sacrale. Per questo motivo, espone ancora la dottoressa López-Maldonado, i Maya gestivano le riserve d’acqua in maniera collettiva, sotto la supervisione delle autorità civili e religiose, secondo tradizioni trasmesse di generazione in generazione. Queste pratiche sono andate perdute nel corso del tempo, a causa del declino della civiltà maya, accelerato decisivamente dall’arrivo degli spagnoli nel XVI secolo.
Uno dei sistemi di filtraggio più complessi sviluppati dai Maya si trova nel complesso di Tikal, in Guatemala. Si stima che fu costruito più di duemila anni fa e adotta tecniche ancora in uso al giorno d’oggi, come fanno notare gli archeologi impegnati negli scavi. In particolare, gli archeologi sono rimasti sopresi nel constatare che la cisterna di Corriental, una delle più grandi, presentava un tasso di contaminazione delle acque sensibilmente inferiore rispetto a quella di altre strutture di raccolta del complesso, che, al contrario, presentavano numerose contaminazioni da metalli pesanti o batteri. Un’analisi più approfondita ha rivelato l’esistenza di un antico filtro contenente cristalli di quarzo, ottenuto probabilmente da un giacimento nelle vicinanze scoperto dopo la costruzione della città e delle altre cisterne. Insomma, una meraviglia ingegneristica, che mostra le notevoli capacità dei Maya e la loro conoscenza delle procedure di purificazione delle acque.
Come si è detto, i Maya hanno impiegato sistemi per filtrare l’acqua che tutt’oggi ancora utilizziamo. Sui materiali da impiegare nella depurazione si svolgono costantemente ricerche mirate a trovare nuove soluzioni ancora più efficaci. Un esempio è dato dalla ricerca, condotta dall’ENEA, in collaborazione con l’Università di Pavia, che ha portato alla scoperta di un materiale innovativo, a base di silice, in grado di rimuovere le nanoparticelle di argento presenti nell’acqua. Queste vengono utilizzate per le loro proprietà disinfettanti in una vasta serie di produzioni: il lavaggio dei prodotti, tuttavia, può comportare la loro dispersione in acqua. Il nuovo materiale studiato nella ricerca, detto nanoimprinted, viene trattato in modo tale che sulla sua superficie si formino dei solchi dell’esatta misura delle nanoparticelle bersaglio, rendendolo, quindi, in grado di catturarne un numero molto elevato e garantendo di conseguenza un’acqua più pulita. Un suo impiego su larga scala permetterebbe un riutilizzo più ampio delle acque reflue, che in Italia si attesta attorno all’8%.
La scarsità d’acqua e il riciclo di quella impiegata sono una delle questioni più rilevanti che tengono banco nel dibattito sulla tutela ambientale. Gli esperimenti di gestione e tutela degli acquiferi, nonché le tecniche di depurazione impiegate dai Maya costituiscono una fonte di ispirazione per lo studio di nuove soluzioni di economia circolare che permetterebbero un utilizzo più efficiente e razionale dell’acqua a livello globale.