Se i primi decenni del XXI secolo hanno fatto parlar di sè per fenomeni come la rivoluzione digitale e la globalizzazione, tanto per la loro portata innovativa quanto per le loro criticità, mentre nello scenario occidentale a livello socio-politico i problemi principali erano legati alla pretesa di veder garantito un modello funzionante di welfare state, gli ultimi due anni hanno fortemente smorzato l’aura di progresso e infallibilità del nuovo millennio:ci troviamo di fronte ad un’imprevedibilità estrema dei risvolti futuri della nostra società, sia per le conseguenze della pandemia da Covid-19 che per tensioni attualmente presenti sullo scenario mondiale a causa del conflitto in Ucraina. Alla luce di un momento storico tanto delicato, è interessante analizzare l’attivismo politico della nuova generazione paragonandolo a quello della gioventù contestatrice per eccellenza, ossia quella che a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, alle prese con problematiche non dissimili da quelle attuali per complessità.Come è cambiata la percezione dei giovani sulla propria capacità di intervento a livello politico e sociale per poter realizzare quel “futuro migliore” ricercato da ogni epoca?

L’impegno politico degli anni Settanta raccontato in prima persona

Crisi petrolifera e stagflazione, problematiche ambientali, terrorismo politico, guerra fredda, rivendicazioni sociali:il periodo tra gli anni ’70 e ’80 è stato uno dei momenti più critici della storia mondiale e del nostro Paese. Per non scivolare in una narrazione stereotipata, l’attitudine giovanile dell’epoca ci viene tratteggiata dalla testimonianza di chi in quegli anni frequentava il liceo scientifico di Roma “Archimede”. Lorena Fasolino, insegnante di italiano per persone di nazionalità straniera, racconta che i giovani erano «tutti assolutamente coinvolti, tutto era politica ed era assolutamente spontaneo che lo fosse.C’era sicuramente un sostegno dato dalla condizione generalizzata di questa sensibilità verso le cose e fatti anche molto distanti da noi e tutto questo contribuiva ad aiutarci, a documentarci e a informarci e quindi ad avere una coscienza politica», motivo per cui si può parlare di un «periodo particolarmente fertile» da questo punto di vista. Andando a guardare più da vicino le sfumature in cui si ramificava questa dimensione collettiva, riporta che «questa insofferenza ad essere incardinati e inquadrati dava come risultante quella di aderire ad organizzazioni politiche fuori dal Parlamento, ciascuna con una connotazione diversa», in cui si creavano «rapporti molto intensi, si condivideva di tutto, si faceva self help». Lorena spiega che l’approccio dell’epoca potrebbe essere definito “glocal”:essendo la sua generazione figlia del baby boom la suddivisione in tripli turni per permettere a tutti di frequentare le lezioni durante gli anni del liceo «ha fatto sì che ci fosse la necessità di riunirsi, di cercare di trovare una soluzione e un’alternativa a questo stato di cose.Tutto questo poi si traduceva in incontri, in collettivi, in assemblee e in decisioni di mobilitazione»; ma «combattevamo anche per il colpo di stato in Chile. L’idea portante era che si potesse fare meglio e che ci potesse essere una società più giusta e che questa giustizia non avesse confini». Approfondendo la propria esperienza personale, precisa che la sua giovinezza «è stata caratterizzata anche, e forse ancora di più dell’impegno politico, dall’impegno femminista». Tra le modalità espressive di questa partecipazione tanto affiatata, Lorena cita un «filone estremamente ironico, creativo, gioioso», incarnato da happening e giornali satirici, ma anche occupazioni come quella di un palazzo storico di Via del Governo Vecchio o delle scuole per riunirsi in «collettivi di studio e di approfondimento». Alla domanda su quale fosse la percezione dei ragazzi della loro possibilità di avere un ruolo proattivo rispetto agli eventi ad essi contemporanei, risponde:«credo sia stato un periodo prima della tempesta, cioè un periodo di apice dove in continuità con i grandi cambiamenti che ci avevano preceduto si considerava che tutto fosse possibile, forse anche con un quid di ingenuità.C’era questa ostinazione del pensare che manifestando, con dei sit-in, con dei blocchi, con la diffusione delle informazioni e delle testimonianze, chiaramente molto pacificamente, le cose si potessero cambiare coinvolgendo e sensibilizzando l’opinione pubblica»;emerge quindi il ritratto di «una dimensione molto fisica, molto partecipativa, molto collettiva e molto alternativa».Ma citando «i bulloni lanciati a Lama quando alla Sapienza venne a fare un comizio» nel 1977 e l’assassinio nel 1980 di Valerio Verbano, frequentante  anch’esso l’Archimede , «quando tutta una frangia ha cominciato a estremizzarsi, a quel punto è cominciata un’involuzione di una generazione, per cui per molti l’impegno politico è stato traslato in una ricerca di tipo artistico, e io tra questi».

In merito al confronto con l’odierno approccio delle nuovi generazioni alle criticità del proprio sistema politico e sociale, Lorena sostiene che «è molto difficile la dimensione del gruppo.C’è un fortissimo individualismo che si è incardinato nel DNA della nostra società degli ultimi trent’anni e anche una fortissima propensione al benessere materiale. L’impegno politico e sociale oggi avviene prevalentemente a livello confessionale, a livello di associazioni di volontariato e quindi te lo devi proprio andare a cercare, scrollandoti di dosso tutta una serie di abitudini e di valori in cui uno è immerso e che vengono considerati la normalità. D’altra parte c’è sicuramente una grande possibilità di accesso all’informazione, e anche a un’informazione critica, e c’è la possibilità di scardinare tutte le intermediazioni di una volta, e questa è una grandissima opportunità», che richiede però «un grossissimo impegno nel discernere le fonti e l’affidabilità».

La Generazione Z a confronto:sfigura o sorprende?

A dar voce ai membri della nuova generazione che questo impegno politico se lo vanno proprio a cercare è il ventunenne Riccardo P., studente di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso l’Università di Roma “La Sapienza” e membro di un collettivo all’interno della sua facoltà. Smontando lo stereotipo dei nativi digitali dediti solo agli intrattenimenti offerti dalla “cultura” capitalista chiarisce:«innanzitutto sulla narrazione da “i giovani non sono più interessati a niente” sono sempre stato abbastanza critico, perchè io credo che le generazioni cambiano e che il modo di approcciarsi alle cose cambia ma non mi sembra che questo sia un periodo in cui i giovani non hanno più una presa di parola o di posizione su tanti aspetti; penso sia diversa o comunque sicuramente contraddittoria rispetto a un passato più o meno vicino in cui nascevi e crescevi e stavi o da una parte o dall’altra quindi negli anni Settanta tutti erano iscritti a un partito, oggi non è così. Al massimo capovolgerei più la domanda:perchè oggi le strutture politiche non riescono ad essere egemoni tra i giovani? Non penso che i giovani oggi non si interroghino dei problemi, semplicemente non ritrovano nella società delle strutture e delle organizzazioni che portino un’alternativa che sia interessante». In merito alla sua esperienza personale, racconta che negli anni dell’adolescenza frequentava ambienti a livello sociale e scolastico che lo hanno portato un grado di attivismo in alcuni ambiti, citando «le palestre popolari piuttosto che i collettivi nelle scuole o nelle università , gli spazi sociali in cui si ha una narrazione altra del mondo o comunque in cui ci sta un’offerta dal basso». Tra i problemi che maggiormente intaccano il nostro sistema contemporaneo a livello politico, sociale ed economico richiedendo un intervento attivo e propositivo, Riccardo eprime la propria preoccupazione in merito al mondo del lavoro e della logistica, riferendosi in particolare al «nuovo sistema di produzione che crea sempre più ricchezza ma poi ne usufruiscono sempre meno persone», citando anche la questione giovanile, in particolare «lo scollamento tra le aspettative che i giovani hanno e la realtà dei fatti, almeno a livello macro». Riferimento interessante è quello alle problematiche di salute mentale correlate al senso di incertezza circa le opportunità di realizzare le proprie ambizioni all’interno del contesto lavorativo e alle pressioni sociali richiedenti un’attitudine sempre più performante :«negli ultimi anni si è visto un aumento dei problemi mentali soprattutto tra i giovani, in termini di aumento dell’ansia e della depressione; penso che anche la salute mentale sia un problema sociale e quindi forse sarebbe interessante chiedersi da dove venga. Io personalmente penso che sia causato da un sistema sociale ed economico che porta da una parte nel mondo del lavoro a una precarietà estrema e alla mancanza di certezze, nel mondo della scuola ad esempio tutto il discorso sulla meritocrazia», accennando a «quando si parlava degli invalsi e dell’autoassegnarsi un voto, del sentirsi continuamente sotto scrutinio» come « cose che hanno degli impatti pesanti sulle persone».Dall’altra parte, Riccardo racconta come «quest’anno in Italia hanno occupato decine di scuole, da Torino a Roma e quindi c’è anche una voglia di prendere parola su queste cose e di opporre una narrazione e delle alternative concrete», ad esempio «molte chiedevano presidi di psicologici permanenti », per cui «non direi che è una generazione che non fa niente».«Gli strumenti politici di cui uno si può fornire sono sicuramente l’autorganizzazione tra soggettività che vivono condizioni simili», quindi «la relazione con le persone e gli spazi che attraversa, la creazione di reti dal basso e la messa in discussione di queste contraddizioni» presenti nel sistema attuale. Approfondendo l’importanza del senso comunitario e della collaborazione cui dà origine, racconta come «durante la pandemia a Roma ci stava un problema di generi alimentari, cioè le persone non sapevano senza un lavoro come mangiare, e le realtà che hanno avuto un impatto importante per permettere a queste persone di sopravvivere due mesi chiuse in casa sono stati gli spazi sociali, le palestre popolari, le realtà di quartiere come il Quarticciolo o Garbatella che durante la pandemia insieme a ONLUS varie facevano le distribuzioni alimentari con le cassette del mercato e permettevano a decine e decine di famiglie di sopravvivere».

Testimonianze del genere mostrano come il fatto che il contesto attuale non promuova più con la naturalezza e l’entusiasmo di un tempo aggregazioni volte a condividere l’impegno politico non significa che esso non sia più ricercato nelle nuove generazioni. Accanto alle realtà collettive ancora presenti e auspicate da alcuni, improntate su uno stile più simile a quello del passato, lo stampo individualista della società odierna ha plasmato nuovi modi e canali per dare respiro alla coscienza politica dei singoli, in linea con i cambiamenti epocali sopra citati quali ad esempio la rivoluzione digitale. In una realtà che si è fatta tanto complessa e soprattutto sempre meno catturabile in una chiave di lettura onnicomprensiva, essendosi centuplicate le sue fonti di rappresentazione e riproduzione, il vero impegno che viene richiesto alle nuove generazioni è di tenere sempre vigile il proprio senso critico:non fermandosi all’interpretazione degli eventi più gettonata, non accontentandosi ad aggiornarsi con superficialità sui fatti di cronaca con l’unico obiettivo di non farsi cogliere impreparati in un dibattito tra conoscenti e avendo sempre la pazienza e la dedizione di dar vita ad una propria inquadratura sentita e ragionata dell’ambiente circostante.

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