Lazzaro: nome evocativo, risuona nella mente e smuove i ricordi. Personaggio biblico che risorge dopo la morte, l’ultimo miracolo che precede la Passione e Resurrezione di Gesù Cristo. Il Lazzaro moderno che Alice Rohrwacher porta al cinema nel 2018 è il protagonista di una fiaba allegorica a cui fanno da sfondo un’atmosfera sospesa, una campagna incontaminata e una realtà urbana degradante. ‘Lazzaro felice’, antieroe contemporaneo Direttore responsabile: Claudio Palazzi
La pellicola assume i tratti di un lento viaggio del protagonista. Un esordio che pone lo spettatore di fronte a un mondo, quello della mezzadria e dello sfruttamento contadino, caratterizzato da un insolito realismo, quasi straniante. È un universo indefinibile che però trova una sua coerenza nella seconda parte del racconto, quando il progresso cancella la mezzadria e la comunità rurale sfruttata si trova traslata in un contesto urbano che sancisce la sua definitiva emarginazione. Tutti sono invecchiati, cambiati e hanno perso la loro identità, tranne Lazzaro.

Questo dualismo tematico, tra un prima e un dopo, va ben oltre la descrizione di due epoche e di due differenti condizioni di vita: la regista ripercorre delle dinamiche politiche e sociali che si propongono come universali, rivelando la doppia faccia del processo evolutivo che da un lato porta con sé un miglioramento e un ottimismo collettivo, ma dall’altro sottolinea il perpetuarsi di stratificazioni sociali che deludono le categorie più sofferenti.

Lazzaro in questo contesto sembra la personificazione del tenue ottimismo di Alice Rohrwacher. È buono, di una bontà anche ingenua, ed è incapace di concepire il male. Non si lascia snaturare dall’incontro con la realtà urbana deteriorata, rimane genuino e incontaminato. La fiducia che ripone negli altri viene ripagata con un cieco egoismo; tutti si servono di lui ma Lazzaro rimane felice, anche se schiavo del mondo e della crudeltà. Il film si traduce in una parabola contemporanea, il cui protagonista è emblema di un animo puro e gentile, immune alle contaminazioni.

Celebrazione della gentilezza

Parlare di bontà e gentilezza in un mondo brutale e maleducato come quello in cui viviamo non è il semplice corrispettivo di cortesia e affabilità, ma è un complesso di solidarietà, altruismo e umanità. Le vicende di Lazzaro rivelano la difficoltà che ha la società nell’accogliere le fragilità altrui e nel riconoscere la purezza della gentilezza, quasi vista con sospetto e incredulità.

Lo scorso 13 novembre si è celebrata la giornata mondiale della gentilezza, per promuovere atti di altruismo e accrescere lo spirito di comunità. Oggi più che mai la sospensione delle attività e della frenesia che la pandemia ci ha imposto ha messo in risalto l’esigenza di rivolgerci ai più deboli e di sopprimere la rabbia sociale che sta prendendo piede, riscoprendo il nostro lato umano e favorendo comportamenti di sostegno reciproco.

La crisi in cui ci troviamo catapultati ha tolto il terreno sotto i piedi alle certezze che credevamo immutabili. Ma ogni crisi segna una svolta che può anche rivelarsi positiva. Non basteranno i ristori e i vaccini a salvare il mondo, ma servirà restituire la giusta importanza alla gentilezza come tramite per il raggiungimento della giustizia sociale e dell’uguaglianza.

Cora Diamond, filosofa americana, nel saggio L’immaginazione e la vita morale, prendendo le distanze dalla tradizione kantiana e dal neopositivismo, sottolinea l’importanza dell’immaginazione come strumento proprio dell’essere umano. Permette l’identificazione con il dolore, la gioia, i sentimenti degli altri. Comprendiamo l’altro come qualcuno che come noi ha una vita da vivere.

Lazzaro porge l’altra guancia, si fida del prossimo e ne ricava solo egoismo e durezza. Con questo dualismo Alice Rohrwacher ci restituisce un’istantanea della realtà contemporanea e una riflessione profonda sulla necessità di guardare il mondo con occhi diversi per riuscire a cambiarlo davvero.

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