È una delle pagine più buie della sua storia recente e all’interno dei suoi confini è vietato parlarne. In Cina, non sentirai mai parlare delle Proteste di Piazza Tienanmen. È considerato un tabù. Sebbene su internet, giornali e documentari si possano trovare varie testimonianze, filmati e immagini riguardanti la protesta, molti documenti di questi e altri generi sono stati occultati dal Partito Comunista Cinese tramite l’utilizzoPiazzP di censura e disinformazione, permesse dal controllo pressoché totale dei mass media. Per aggirare la censura di Internet in Cina, si adotta lo stratagemma di riferirsi alla data delle proteste (e più precisamente dell’avvenuto massacro del 4 giugno) come “35 maggio”, espressione coniata dallo scrittore Yu Hua.

La protesta di piazza Tienanmen fu una serie di manifestazioni popolari di massa, che ebbero luogo principalmente in piazza Tienanmen a Pechino dal 15 aprile al 4 giugno 1989 e culminato nel cosiddetto massacro di piazza Tienanmen. Il Governo ha sempre parlato di 300 uccisioni, ma secondo le organizzazioni di diritti umani e i familiari dei cittadini scesi in piazza, furono molte di più, nell’ordine delle migliaia.

I cittadini, soprattutto studenti universitari, professori e riformisti contrari al regime, stavano manifestando contro il governo cinese: volevano più libertà politiche e di stampa, e riforme economiche che mettessero fine alla corruzione migliorando lo stile di vita dei cittadini. Sul piatto anche il tema dei diritti civili e umani.

Le proteste erano iniziate il 15 aprile, dopo la morte del segretario del partito comunista Hu Yaobang, popolare tra i riformisti, che chiedevano al Partito Popolare Cinese una presa di posizione ufficiale nei suoi confronti, comprese le valutazioni per seguire le sue linee di inclusione e pensiero. Non fu banale il fatto che le proteste, ebbero luogo nel 1989, anno del fenomeno riconosciuto come “Rivoluzioni del 1989”, che portarono al rovesciamento di molti Stati comunisti nell’Europa dell’est, fino alla dissoluzione dell’Unione Sovietica (avvenuto, ufficialmente, il 26 dicembre 1991).

Inizialmente, non ci furono scontri: gli studenti proclamarono uno sciopero e, d’accordo con gli altri manifestanti, decisero di occupare la piazza finché il governo non avesse ascoltato le richieste e accettato il confronto. La situazione, però, peggiorò il 13 maggio, quando i contestanti iniziarono lo sciopero della fame. Qualche giorno più tardi, il governo approvò la legge marziale e il 3 giugno diede il via libera all’esercito per intervenire. I carri armati arrivarono alle 4:30 di mattina. Alle 5:40, il massacro finì: nella piazza rimasero solo cadaveri e persone ferite.

Il 4 giugno saranno passati 34 anni, e no, la morte di quei cittadini che manifestavano per una Cina migliore, non ha cambiato le cose. La Repubblica Popolare Cinese rimane uno stato in cui i diritti civili e umani vengono violati e dove la lealtà al Partito, allo Stato, ha la meglio sulla deontologia professionale e sulla libertà di stampa.

L’esercizio giornalistico, nonostante l’articolo 35 della Costituzione cinese, è fortemente ridimensionato alla necessità di tutelare la sovranità nazionale e l’interesse pubblico. Il Reporters Sans Frontières, organizzazione francese non governativa e no-profit che promuove e difende la libertà di informazione e la libertà di stampa, afferma che: “La Repubblica popolare cinese è la più grande prigione al mondo per giornalisti e il suo regime conduce una campagna di repressione contro il giornalismo e il diritto all’informazione a livello globale”. E infatti, sono almeno 127 i giornalisti, professionisti e no, detenuti dal regime.

Anche la situazione dei diritti umani continua a subire numerose critiche da parte della maggior parte delle associazioni internazionali che si occupano di diritti umani. Sono numerose le testimonianze di abusi ben documentati in violazione delle norme internazionali. Per esempio, nell’aprile del 2022 è stato più volte segnalato il grave deterioramento della salute di Huang Qi, fondatore e direttore del sito web sui diritti umani 64 Tianwang, con sede nel Sichuan. Huang Qi, che stava scontando una pena detentiva di 12 anni per le sue denunce sulla situazione dei diritti umani, secondo quanto riferito non ha avuto accesso a cure mediche adeguate e gli è stato negato l’accesso a un conto bancario in cui amici e familiari avevano depositato denaro per lui, per l’acquisto di forniture mediche e di altro tipo. Fin dal 2020 gli è stato negato ogni contatto con la famiglia

Non è migliore la situazione per le comunità Lgbt dove il loro attivismo offline e online è stato fortemente limitato. A causa della censura dilagante, decine di account sui social media di gruppi Lgbt sono rimasti chiusi. Le autorità hanno anche censurato programmi televisivi e film rimuovendo ogni contenuto relativo alle tematiche.

Nel frattempo, Xi Jinping, lo scorso 10 marzo 2023, è stato rieletto per il terzo mandato consecutivo come Presidente della Repubblica Popolare Cinese. Xi aveva fatto cambiare la Costituzione cinese proprio per garantirsi la possibilità di mantenere l’incarico interrompendo la tradizione dei due mandati. 2.952 voti favorevoli contro 0 sfavorevoli. Come 0 sono i nomi dei candidati presenti nella lista data ai partecipanti alle elezioni. Xi Jinping è stato eletto senza avere oppositori. Niente di più lontano a quelle idee di riforma per cui morirono i manifestanti di Tienanmen. Niente di più lontano da quella democrazia che rappresenta l’unico modo per cambiare le cose, e che probabilmente, non arriverà mai.

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