L’Egitto di al-Sisi non ammette oppositori, l’Italia resta a guardare

Patrick George Zaki è stato arrestato il 7 Febbraio 2020 non appena atterrato all’aeroporto de Il Cairo dalle autorità egiziane.

L’accusa, per il 27enne egiziano studente presso l’università di Bologna, è di “diffusione di notizie false, promozione del terrorismo e diffusione di dichiarazioni che disturbano la pace sociale”, il tutto probabilmente a causa dell’opposizione ideologica del ragazzo al regime di al-Sisi e dei suoi studi sul genere in Italia.

Il governo egiziano è completamente intollerante nei confronti di qualsiasi forma di opposizione politica, lo testimoniano le migliaia di arresti stimati da Amnesty International ai danni di attivisti, giornalisti e partecipanti alle manifestazioni di protesta. Inumane sono inoltre le condizioni di detenzione e frequenti le torture ed i maltrattamenti.

Sono passati 4 anni da un altro caso che ha sconvolto l’opinione pubblica internazionale: la morte di Giulio Regeni e anche in questo caso l’Italia sembra non voler intervenire per non rovinare gli accordi politici e commerciali con l’Egitto!

Egitto moderno: da Nasser ad al-Sisi

Presidenza Nasser (1956 – 1970)

L’Egitto “moderno” nasce dalla rivoluzione del 1952 condotta dal generale Nagib e dal colonnello Nasser, rivoluzione che pose fine alla monarchia (ritenuta ancora troppo filo-britannica) e diede vita ad uno stato repubblicano.

Presidente della repubblica dal 1956 fino alla sua morte avvenuta il 28 settembre 1970, Gamal Abd el-Nasser improntò la sua politica ispirandola ad un modello definito “socialismo pan-arabico”.

In particolar modo, in quegli anni la politica dell’Egitto si basò sull’opposizione ideologica e militare all’espansione dello stato di Israele ai danni della Palestina e degli altri stati arabi confinanti e al contrasto all’imperialismo Britannico e Statunitense sull’area del canale di Suez.

A causa della presa di distanza sia dal cosiddetto “blocco occidentale” che da quello “sovietico” la politica estera dell’Egitto viene identificata con l’espressione di “non allineamento”.

Presidenza al-Sadat (1970 – 1981)

Dal 1970 al 1981 la carica di presidente venne ricoperta da al-Sadat che proseguì la campagna militare contro Israele fino alla firma degli accordi di Camp David del 1978.

A settembre del 1981 al-Sadat inasprì la sua politica contro le organizzazioni mussulmane facendo arrestare migliaia di dissidenti. A causa di questo ad ottobre dello stesso anno fu assassinato da un’esponente di un’organizzazione jihadista ispirata dai “Fratelli Mussulmani”.

Mubarak (1981 – 2011)

Alla sua morte divenne presidente Hosni Mubarak; presidenza che venne rinnovata in 4 successivi mandati fino al 2011.

Durante la presidenza Mubarak, l’Egitto venne riaccolto nella “Lega Araba”, dalla quale era stata allontanata a causa del trattato di pace stipulato con Israele.

In politica interna non venne mai revocata la legge marziale imposta in seguito all’assassinio di al-Sadat e Mubarak se ne servì per rinsaldare la propria posizione di potere al fine di essere costantemente rieletto.

La situazione, già incandescente esplose nel 2011 quando piazza Tahrir divenne simbolo ed epicentro delle proteste anti-governative. Innestandosi sulla scia di quanto già in atto in Tunisia contro il governo di Ben Ali, le proteste in Egitto contro Mubarak si inserirono nel contesto della cosiddetta “primavera araba”, un’ondata di proteste e sommosse popolari che interessarono quasi tutti i paesi del Nord Africa e del cosiddetto medio-oriente.

Presidenza Morsi (2012 – 2013)

La rivolta di piazza Tahrir costrinse alle dimissioni il presidente e il potere venne detenuto per un anno dal Consiglio supremo delle forze armate, fino alle elezioni del 2012 che videro la vittoria del candidato del partito islamista “Partito Libertà e Giustizia” Mohamed Morsi.

La sua avventura come capo di Stato durò poco più di un anno, durante il quale non si placarono mai le proteste contro il governo e nel 2013 un colpo di stato militare guidato dal generale al-Sisi portò all’arresto di Morsi e all’elezione dello stesso al-Sisi come presidente.

La repressione del dissenso

Presidenza al-Sisi (2013 – ?)

Fin dall’inizio del suo mandato presidenziale, al-Sisi si è contraddistinto per la crudeltà e la ferocia nei confronti degli oppositori politici, indimenticabile la strage di Rabaa durante la quale vennero uccise oltre 800 persone (secondo i dati di Human Right Watch), principalmente persone appartenenti ai “Fratelli Mussulmani”, organizzatori di un tentativo insurrezionale.

Giulio Regeni

È in questo contesto politico che si verifica il 25 gennaio 2016 il rapimento di Giulio Regeni, studente italiano presso l’università di Cambrige, il cui corpo senza vita è stato ritrovato il successivo 3 febbraio. Quello che è emerso è che il ricercatore italiano presentava evidenti segni di tortura; torture che presumibilmente gli furono inferte durante la detenzione nel corso di interrogatori volti a estorcergli non si sa quali verità.

Ciò che si immagina è infatti, che siano stati i servizi di sicurezza egiziani a rapirlo e torturarlo poiché sospettavano che Regeni intrattenesse presunti rapporti con un sindacato locale che si muoveva in prima linea contro il regime di al-Sisi e che, per di più, ordisse un complotto a livello internazionale passando informazioni al governo britannico.

La repressione non risparmia nessuno

Con il passare degli anni la situazione non sembra mutata affatto, anzi, nel settembre 2019 il governo egiziano diede vita a quella che viene reputata la più grande manovra repressiva dall’inizio del mandato di al-Sisi, una manovra che portò all’arresto di oltre 2300 persone tra le quali risulterebbero esserci circa 111 minorenni.

Gli arresti coinvolsero in maniera indiscriminata gli organizzatori della manifestazioni di piazza, i partecipanti alle stesse, giornalisti, avvocati, esponenti politici, persone che avevano semplicemente espresso la propria opinione su un social network, insomma ogni forma di dissenso è stata censurata, perseguita e punita.

Nelle carceri egiziane, nei primi sei mesi del 2019 si contarono circa una trentina di morti tra i detenuti, in molti iniziano uno sciopero della fame. È difficile avere notizia delle loro condizioni perché il governo egiziano non lascia trapelare informazioni.

Patrick Zaki

L’arresto di Patrick Zaki è l’ennesimo atto di repressione del dissenso, o presunto tale, avvenuto con le modalità che prevedono una detenzione di 15 giorni prorogabile per altri 15 giorni senza che si svolga alcun processo e, di fatto, senza che sia attribuito al ragazzo un capo di imputazione concreto.

Il governo italiano, nei 4 anni trascorsi dalla morte di Giulio Regeni ha mostrato di interessarsene a fasi alterne, sospendendo i rapporti diplomatici con l’Egitto [link 10] salvo poi riprenderli poco dopo senza che si fosse concretamente giunti ad una svolta nelle indagini.

L’auspicio è che la vicenda di Patrick possa avere un epilogo rapido e indolore sebbene in questo caso, l’influenza dell’Italia sembrerebbe essere ancora minore, in virtù del fatto che il ragazzo non sia cittadino italiano.

I rapporti tra Italia ed Egitto

Export

Per comprendere al meglio la relazione commerciale ed economica che intercorre tra l’Italia e l’Egitto non possiamo che partire dai numeri: l’export italiano verso l’Egitto genera un flusso che si aggira intorno ai 3 miliardi di euro; dati rinvenibili sul sito della Farnesina dedicato alle operazioni commerciali, un introito al quale il governo italiano non sembra voler rinunciare, anzi, come si legge sul medesimo sito “L’Egitto, con una popolazione di circa 90 milioni di abitanti e con tassi di crescita decisamente sostenuti, rappresenta un importante mercato di sbocco per le esportazioni italiane.

L’Egitto rappresenta inoltre un Paese chiave per l’accesso all’area mediorientale ed africana, essendo uno dei più importanti membri dell’Area del libero scambio tra paesi africani (COMESA).”

Armi e attrezzature militari

Un business molto più redditizio riguarda invece il mercato delle armi con un flusso di affari che si aggira intorno ai 9 miliardi di dollari. Un dato che lascia quanto meno perplessi in virtù del fatto che l’Italia, costituzionalmente, rifiuta la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali ma poi, fattualmente, si arricchisce con la vendita di armi e apparecchiature militari. Ancora più inquietante appare lo scenario alla luce del fatto che queste armi, nel corso delle varie rappresaglie contro manifestazioni e proteste di piazza siano state usate dall’Egitto contro la popolazione civile.

Eni

Non mancano all’appello gli interessi energetici, in particolar modo, relativi alle attività estrattive, con Eni capo fila delle aziende italiane con investimenti in quell’area geografica.

Alla luce dei casi Regeni e Zaki e dei numeri inquietantemente alti di detenzioni arbitrarie, torture e palesi violazioni dei diritti umani risulta davvero difficile riferirsi all’Egitto con la dicitura di “paese sicuro”.

Se, data la mole di denaro che c’è in ballo, da un punto di vista economico, sembra quanto meno complicato che il governo italiano agisca interrompendo le relazioni commerciali con il governo di al-Sisi, sarebbe auspicabile quanto meno un’interruzione delle deportazioni verso quel paese degli egiziani irregolarmente sul territorio italiano, dal momento che non è garantita la loro incolumità nel paese di destinazione; condizione imprescindibile, legalmente, perché i rimpatri possano essere effettuati.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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