Il 16 Ottobre 2020 è morto Samuel Paty, egli è uno spartiacque che invita tutta l’umanità a riflettere sui crimini che la hanno afflitta negli ultimi anni in Oriente quanto in Occidente. Questi attentati sanguinosi sono stati compiuti nel segno di una repressione della libertà di espressione e pensiero, un diritto inviolabile, come attesta la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Esso è molto faticoso da ottenere, eppure mentre in Oriente giornalisti continuano a morire per aver diffuso cose che “era meglio lasciare nell’ombra”, in Occidente si abusa di esso pubblicando notizie false, capaci anche di uccidere. Dov’è la giusta misura? Se la libertà è un diritto, le moderne società hanno veramente capito il valore di questo diritto? L’epoca presente è un grande cammino alla scoperta della libertà, il punto però in esso è riuscire a non inciampare. Libertà di pensiero: manifesta o repressa? Direttore responsabile: Claudio Palazzi
Uno spartiacque tra Oriente ed Occidente: Samuel Paty
Sia l’oriente che l’occidente sono state platee di numerosi attentati che hanno colpito la libertà di espressione, che è una delle più grandi espressioni dell’umanità. I due mondi sono completamente diversi e di conseguenza anche le loro risposte. Per esempio è possibile analizzare quanto accaduto al Professor Samuel Paty, decapitato in una piccola città parigina, Conflans Saint-Honorine, per aver mostrato delle caricature di Maometto in classe. Tale episodio si può considerare un vero e proprio spartiacque nella lunga lista degli attentai jihadisti compiuti in Francia nell’ultimo decennio. Mentre il paese sta cercando di far luce sugli attentati jihadisti che causarono massacri nel 2015 e nel 2016: assassini dei giornalisti e dei vignettisti di Charlie Hebdo, dei clienti del supermercato kasher e degli spettatori della sala concerti del Bataclan, l’identità dell’attentatore del professore fa pensare. Si parla di un ragazzo ceceno di 18 anni, nato a Mosca e arrivato a Parigi all’età di 6 anni, aveva usufruito dello status di rifugiato ed era incensurato. Tale attentato colpisce l’istituzione repubblicana per eccellenza: la scuola e causa una reazione del governo senza precedenti. Il professore era appassionato e dedito all’insegnamento, ma tale missione è sempre più difficile da portare avanti per il sentimento di abbandono diffuso nei giovani. Tanti lo potrebbero giudicare un “martire”, ma in modo inesatto, perché come afferma una sua collega: “gli insegnanti non sono soldati, non stanno combattendo contro nessuno. Al contrario creano beni comuni. Permettono il dialogo, consentono disaccordi”. Faccenda sconvolgente è che il ragazzo non frequentava la scuola dove insegnava il professore ed è venuto a sapere dell’accaduto tramite i social network. L’evento raccontato da un’allieva tredicenne al padre, che, servendosi di uno sceicco ben noto alla polizia, Abdelhakim Sefrioui, postava un video sui social definendo il professore un “delinquente”. In questo modo il ragazzo ceceno è venuto a conoscenza di Paty. Il portavoce del governo francese, Gabriel Attal, sosteneva che chi aveva partecipato al linciaggio pubblico dell’insegnante sui social era responsabile in qualche modo di quel che era successo. Coloro che compiono questi attacchi terroristici necessitano di condividere l’iconografia dell’orrore sui social, infatti il ragazzo prima di essere preso dalla polizia postava sui social l’immagine della testa di Paty. Anche oggi con l’emergenza Covid in atto, la Francia non abbandona la lotta contro il jihadismo, tanto che per diversi mesi ha chiuso i battenti la moschea di Pantin, nella periferia nord-est di Parigi, per aver pubblicato sulla pagina Facebook un video contro il professore prima dell’omicidio. Ciò ha scatenato una guerra tra politica e cultura. La politica afferma nella figura del Ministro della Pubblica Istruzione Blanquier che afferma che nelle università è diffuso “l’islamo-gauchismo”, una sorta di complicità intellettuale con il terrorismo che causa gravi danni. Mentre la cultura nella figura del rettore sostiene che:”l’università è , per definizione, un luogo di dibattito e di costruzione dello spirito critico”. E’ evidente che l’istruzione è sicuramente un baluardo, una diga, ma da sola non potrà mai sanare disuguaglianze sociali e discriminazioni.
Una scia rossa in Occidente: gli attentati
Le discriminazioni e le disuguaglianze sono dunque alla base di molte stragi avvenute nell’Occidente per reprimere la libertà di espressione molto note. Il 24 maggio 2014 a Bruxelles, alla vigilia delle elezioni europee e legislative belghe, 4 persone vengono uccise nel Museo ebraico per mano di un uomo armato di kalashnikov. L’accusato è Mehdi Nemmouche, un 32enne francese di origini algerine legato all’Isis. Il 7 gennaio 2015 a Parigi due uomini armati, i fratelli Kouachi, francesi di origine algerina, attaccano la redazione del settimanale satirico francese “Charlie Hebdo” uccidendo 12 persone e ferendone altrettante. Una poliziotta è uccisa appena fuori Parigi il giorno dopo da un altro uomo legato ai Kouachi, il francese di origine maliana Amèdy Coulibaly, che successivamente prende alcuni ostaggi all’interno di un supermercato kosher, 4 dei quali moriranno prima del blitz delle forze di sicurezza. Il bilancio finale delle vittime è 17 morti e 22 feriti. Il 14 febbraio 2015, a Copenhagen nel corso di tre diverse sparatorie 2 vittime e 5 feriti. In un centro culturale dove si teneva un dibattito su Islam e libertà di espressione, viene prima ucciso il regista Finn Norgaard, poi l’attentatore, un 22enne palestinese-giordano nato in Danimarca e simpatizzante dell’Isis, si dà alla fuga per uccidere nei pressi della Sinagoga grande nel centro della capitale danese, un giovane della comunità ebraica che festeggia una bar mitzvah. La Polizia danese lo uccide in uno scontro a fuoco all’alba nei pressi della stazione Norrebro. Il 13 novembre 2015 a Parigi 130 morti, tra cui l’italiana Valeria Solesin, in attentati multipli in contemporanea, presso la sala concerti Bataclan, in diversi bar e ristoranti nel X’ e XI’ arrondissement’ parigini e allo Stade de France. La serie di attacchi terroristici sono sferrati da una cellula belgo-francese dell’Isis. All’alba del 18 novembre, le forze speciali assaltano a Saint-Denis un appartamento occupato da alcuni dei terroristi coinvolti nell’organizzazione degli attentati e in procinto di organizzare un nuovo attacco alla Defense. Cinque persone vengono arrestate, altre due restano uccise tra cui Abdelhamid Abaaoud, il presunto organizzatore. Il 18 marzo 2017, nel corso di un’operazione della polizia belga a Bruxelles, viene arrestato l’unico sopravvissuto della cellula di Parigi, Salah Abdeslam, francese di origine tunisina ma cresciuto a Molenbeek, uno dei presunti coordinatori operativi degli attacchi di Parigi e di Bruxelles. Il 14 luglio 2016 a Nizza durante i festeggiamenti per la festa nazionale francese un camion si getta sulla folla lungo la Promenade des Anglais e provoca la morte di 86 persone, tra cui sei italiani, ferendone altre 434. L’autista, il tunisino residente in Francia Mohamed Lahouaiej Bouhalel, viene bloccato e ucciso dalla polizia. Il 16 luglio l’Isis rivendica l’attentato. Il 26 luglio 2016, a Rouen in Francia, presso la chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, due uomini fanno irruzione durante la messa del mattino e prendono 5 ostaggi, tra cui due suore. Il sacerdote Jacques Hamel, 84 anni, muore sgozzato. Gli aggressori, entrambi cittadini francesi, vengono poi uccisi dalla polizia. L’Isis ha rivendicata l’attacco. Il 19 dicembre 2016 a Berlino un tir va a schiantarsi volontariamente contro la folla in un mercatino di Natale nel quartiere di Charlottenburg vicino alla Chiesa del Ricordo, causando 12 morti tra cui anche l’italiana Fabrizia Di Lorenzo e 56 feriti. Nella serata del 20 dicembre arrivava la rivendicazione dell’Isis. Il 20 aprile 2017 a Parigi in tarda serata, sugli Champs-Elysèes, vicino all’Arco di Trionfo, un uomo armato di kalashnikov apre il fuoco contro gli agenti di polizia colpendone mortalmente uno e ferendone altri due. La sparatoria cade a pochi giorni dal primo turno delle elezioni presidenziali, mentre è in onda l’ultimo confronto fra i candidati in vista del voto della domenica successiva. L’autore dell’attacco terroristico, Karim Cheurfi, 39 anni, tenta di darsi alla fuga a piedi, ma viene ucciso dalle forze dell’ordine. L’Isis rivendica l’attacco poche ore dopo. Il poliziotto è la 239esima vittima di attentati terroristici in Francia dal 2015. Il 19 giugno 2017 a Londra poco dopo la mezzanotte un furgone piomba su un gruppo di fedeli musulmani a Finsbury Park a nord di Londra, vicino a una moschea dalla quale escono le persone radunate per le preghiere del Ramadan. Una vittima e almeno dieci feriti tutti di fede islamica. Nella zona, Seven Sisters Road, ci sono almeno quattro moschee. L’attentatore, Darren Osborne, viene arrestato. Originario del Galles, dove viveva con la moglie e quattro figli in un sobborgo di Cardiff, era animato da odio per i musulmani. Il 29 maggio 2018 a Liegi in Belgio, il belga Benjamin Herman, 31 anni di Rochefort, ha ucciso due poliziotte e uno studente, al grido di “Allahu Akbar”, risparmiando un’altra donna che aveva preso in ostaggio, perché di fede musulmana. L’attentatore è stato poi a sua volta ucciso dalla polizia. La sera prima il killer, uscito dal carcere di Marche-en-Famenne per un permesso di reinserimento, avrebbe ucciso anche un amico ex-detenuto a colpi di martello. A distanza di ventiquattr’ore l’Isis rivendicava la strage attraverso l’agenzia Amaq. Il 29 novembre 2019 a Lonra nel Regno Unito, l’incubo ha ancora una volta le sembianze del lupo solitario, entrato in azione con un coltello in mano e indosso un finto giubotto esplosivo a seminare paura e morte tra la folla di London Bridge, prima di essere freddato dalla polizia. Il bilancio è di due persone uccise e di otto feriti, come ha confermato Scotland Yard, attribuendo all’episodio tutti i connotati del “grave atto di terrorismo”. L’aggressore aveva 28 anni e si chiamava Usman Khan. Era stato rilasciato in libertà vigilata l’anno scorso, dopo aver scontato sei anni per reati di terrorismo. Khan era stato condannato nel 2012 e rilasciato a dicembre 2018 “su licenza”, il che significa che avrebbe dovuto soddisfare determinate condizioni o sarebbe tornato in carcere. Diversi media britannici hanno riferito che indossava un braccialetto elettronico alla caviglia. Prima dell’attacco Khan stava partecipando a un evento a Londra ospitato da Learning Together, un’organizzazione con sede a Cambridge che lavora nell’istruzione dei carcerati.
Da quanto detto consegue che l’uomo nell’oggi non ha ancora imparato a superare l’odio delle diversità o almeno non tutti gli uomini. Queste stragi occidentali sono un’esortazione, uno stimolo a coltivare l’idea di libertà in “nuce” in questa società affinché gli uomini ivi residenti riescano a condividerla anche con coloro che non hanno ancora imparato a conoscerla.
L’odio rosso in Oriente
L’Occidente però è solo una delle due vittime del terrorismo infatti anche l’Oriente ne è stato brutalmente colpito con una serie di attentati che hanno avuto forte rilevanza internazionale. Il 12 ottobre 2002 in Indonesia attacchi contro un bar-ristorante e una discoteca dell’isola di Bali, rinomata località turistica, provocano 202 vittime, soprattutto turisti. L’azione terroristica è rivendicata da un commando della Jemaah Islamiyah, organizzazione vicina a Al Qaida. Il 26-29 novembre 2008 in India fondamentalisti islamici assaltano alberghi di lusso, la principale stazione ferroviaria, un centro ebraico e altri siti nella metropoli di Mumbai, agguati in cui perdono complessivamente la vita 166 persone. L’11 luglio 2006, 189 persone erano state uccise e oltre 800 ferite in attacchi contro i treni e stazioni ferroviarie nella periferia della città indiana. Il 18 marzo 2015 in Tunisia è rivendicato dall’Isis, contro il Museo del Bardo a Tunisi, costato la vita a 22 persone, quattro delle quali di nazionalità italiana. Il 2 aprile 2015 in Kenya si protrae per un giorno l’assedio all’università di Garissa, nell’est: alla fine si contano 148 morti, di cui 142 studenti. Rivendicato dagli estremisti islamici somali al Shebab, legati ad Al Qaida, l’attacco è “il più” grave dai bombardamenti del 1998 contro le ambasciate americane. Il 10 ottobre 2015 in Turchia attacco kamikaze di fronte alla stazione ferroviaria di Ankara, dove giovani attivisti si erano radunati per una marcia sulla pace: 102 persone muoiono, oltre 500 restano ferite. La Procura di Ankara afferma che gli attentati, i peggiori nella storia della Turchia, sono stati ordinato dall’Isis in Siria.
Come si evince anche in Oriente la libertà è schiacciata dalla macchina del terrorismo, ma se c’è una cosa che accomuna i delitti occidentali e quelli orientali è che in nessuno dei due posti essa è stata soppressa perché ci sono ancora uomini, giornalisti disposti a combattere per essa. Individui che non hanno paura della morte.
Libertà contro Repressione: uno scontro tra Occidente e Oriente
Da quanto detto emerge un valore chiave, quello della libertà. Di una libertà che viene continuamente violata da odio ed atroci soprusi. Già nell’antica Grecia, nella poleis, la libertà di pensiero e di parola era considerata un diritto di tutti i cittadini, che dovevano esercitare liberamente. In tutto il mondo occidentale la libertà di espressione è sempre stata esercitata principalmente a mezzo stampa. Dunque un valore incentrato nella comunicazione, nella capacità di condividere con gli altri un sentire sollecitandoli a guardare con occhi nuovi il mondo. Proprio questa libertà tuttavia ha portato la società verso nuovi problemi: i social e con essi le Fake News. Essi trovano grande diffusione anche oggi e sono la massima espressione degenerata della libertà di pensiero e di parola in quanto sfruttano le possibilità offerte dai mezzi di comunicazione per distorcere la realtà mostrandone un’immagine sbiadita e scolorita. Ognuno sente liberamente il bisogno di confrontarsi con tale realtà che è propria del mondo occidentale. L’esempio più forte è il caso svelato dalla giornalista Cadwalladr che ha scoperchiato lo scandalo di Cambridge Analytica, per questo bannata a vita da Facebook. Ha spiegato come i social hanno influito sulla Brexit e come stanno facendo del male alle democrazie di tutto il mondo. Un altro esempio degno di nota è testimoniato da un articolo del 5 novembre 2020 del corrispondente di Repubblica Alberto d’Argenio in cui viene spiegato come i media pro-Cremlino abbiano messo in campo un arsenale di disinformazione per sostenere Donald Trump a discapito di Joe Biden.
In Oriente invece il problema è ben diverso: il regime totalitario e repressivo ha generato impossibilità di esercitare libertà di espressione e di parola oppure l’ha molto limitata. Attraverso questa azione molti uomini dunque sono stati alienati dalla loro possibilità di far sentire la propria voce. In questo senso molti esempi aprono alla riflessione; come il caso della giornalista Gauri Lankesh molto conosciuta in India e responsabile di un giornale, assassinata davanti casa, autrice di numerosi articoli improntati alla critica dell’estremismo indù. Dopo la sua morte il popolo è sceso in piazza con cartelloni con sopra scritto “hanno ucciso la voce del coraggio”. Questo è solo uno di tanti altri casi in cui è difficile o forse impossibile poter esprimere un’idea diversa da quella imposta. Un altro esempio è l’Egitto in cui Al-Sisi ha trasformato “il paese in una prigione a cielo aperto”. Come denuncia Najia Bounaim di Amnesty International, la repressione della libertà di espressione sotto la presidenza di Al-Sisi ha raggiunto picchi mai visti nella recente storia d’Egitto. Il Parlamento ha adottato una nuova legge che autorizza la censura di massa nei confronti di portali informativi indipendenti e delle pagine internet di gruppi per i diritti umani. Dall’aprile 2017 le agenzie di sicurezza hanno bloccato almeno 504 siti web senza autorizzazione né supervisione giudiziaria. Non ultimo il caso di Amal Fathy, arrestata l’11 maggio scorso e portata alla stazione di polizia di Maadi al Cairo, insieme al marito Mohamed Lotfy ex-ricercatore di Amnesty International. L’unica sua colpa sembra quella di aver pubblicato due giorni prima del suo arresto un video sulla sua pagina Facebook in cui ha condiviso la sua esperienza di molestie sessuali. Ad esempio in Siria il mestiere del giornalista è estremamente pericoloso. Le quattro forze politiche: il regime di Assad, il sedicente stato islamico, i gruppi islamici e il partito dell’unione democratica curdo condividono tutti un obiettivo comune, silenziare la libertà di stampa. I giornalisti professionisti vengono perseguitati con svariati metodi: l’omicidio, il sequestro, la deportazione, l’arresto, gli attacchi fisici e le minacce. Ad esempio è dell’ottobre scorso la notizia di almeno due cronisti rimasti uccisi e feriti nella città di Ras-Al-Ain, dove un raid dell’esercito ha colpito un convoglio sul quale viaggiavano giornalisti stranieri.
Dunque due realtà diverse, con problemi diversi l’Oriente e l’Occidente: il primo ancora incapace di riconoscere il valore della libertà, il secondo così radicato in esso da averne perso i reali obiettivi ed averla portata ad una degenerazione.
Conclusione
Ma a questo punto sorge spontaneo chiedersi: dove si trova la giusta misura? In Oriente o in Occidente? Sicuramente la risposta sta nel fatto che ci sono storie e coinvolgimenti politici che collocano ogni paese in una posizione diversa rispetto alla libertà di pensiero e di espressione. Certamente la libertà di parola è uno dei diritti inviolabili dell’uomo, sicuramente espressione e progresso della società, anche se, bisogna dirlo, a tutt’oggi ancora non si è raggiunta pienamente.