La libertà di espressione è un problema che affligge l’umanità fin dai tempi più remoti, di solito è un rifiuto del diverso, che si concretizza in un rigetto dell’identità dell’altro, che viene visto come un estraneo. Oggi con internet e lo sviluppo dei mass media però questo fenomeno è ancora più forte e sentito in tutte le società. Una fake news può truccare un’elezione ed essere a tal punto diffusa da creare pregiudizi. La cosa più spaventosa inoltre è che lo sviluppo della tecnologia sta rendendo la fake mirata verso i suoi ascoltatori. Libertà di pensiero: utopia o verità? Direttore responsabile: Claudio Palazzi
Questa nuova pratica è sconosciuta dai più, ma una ditta di informazione particolarmente esperta del tecnologico può prendere una determinata notizia e presentarla ai suoi ascoltatori in modo che in base alle statistiche farebbe maggiormente breccia in loro. Dunque una vera e propria pubblicità soggettivistica che sfrutta i Big Data per porre al ricevitore un tipo di stimolo mentale a reagire e prendere posizione innanzi a quanto gli viene mostrato. In una società così dunque non solo si rischia di credere alle idee più assurde, ma la cosa più grave è che spesso uomini innocenti, come Samuel Paty, muoiono, vittime di assurde convinzioni e concezioni. Davvero è possibile mostrare questa pratica come qualcosa di diverso dalla repressione forzata operata in Medio-Oriente? Forse invece siamo innanzi a due facce della moneta, ad un gioco della morte che annulla il soggetto solo mascherandosi in maniere diverse.
Una trappola mascherata da libertà: le fake-news
Molte persone innanzi all’idea che la fake-news sia una coercizione della libertà potrebbero storcere il naso, ma in realtà è proprio così. L’idea diffusa sulle fake-news è che siano forme eccessive di libertà, che proprio a causa del loro essere oltre ogni misura, acquistano il valore negativo del presentare solo menzogne. Eppure se si analizza bene come viene costruita la fake-news si scoprirà che è un veicolo per schiacciare la libertà di pensiero del soggetto destinata a riceverlo e dunque per conseguenza anche di limitare la sua sfera di espressione portandolo ad avanzare idee che la maggior parte delle volte gli sono totalmente estranee. La radice delle fake-news sono i Big Data ovvero una raccolta di preferenze di un determinato soggetto attuata quando egli interagisce sul web. Quando infatti si apre internet e si compiono delle ricerche non solo Google memorizza l’oggetto di tali ricerche, ma anche tutti i siti che si andranno ad aprire registreranno l’interazione.
L’esito del processo è la creazione di una sorta di documento di identità del soggetto contenente non solo i suoi dati e le sue e-mail, ma anche le sue preferenze. Quindi una vera e propria copia digitale del soggetto e dei suoi gusti. È qui dunque che le fake-news attingono: infatti prendendo i Big Data di un soggetto studiano come presentare una determinata notizia, affinché egli interagisca con essa e la condivida. Come risulta una fake-news è una manomissione dell’identità del soggetto che viene privato della sua libertà di espressione e pensiero attraverso un’imposizione di idee che, benché gli siano estranee, gli vengono presentate in maniera accattivante.
Famoso in questo senso è stato il caso reso manifesto dalla cronista dell’Observer Carole Cadwalladr che al TED di Vancouer il 21 aprile 2019 alle 12.47 ha tenuto un famoso discorso che Agi riporta parola per parola. La donna ha raccontato che le era stato affidato il compito di scoprire perché la Gran Bretagna aveva scelto di votare a favore della Brexit. Per fare questo ha condotto numerose indagini ed è arrivata nella città di Ebbw Vale nelle valli del Galles Meridionale famosa durante le elezioni, in quanto il 62% delle persone avevano votato a favore della Brexit. Appena giunta nella città racconta di essere stata colpita dalle numerose costruzioni finanziate dall’Unione Europea delle quali ricorda: un college da 33 milioni di sterline, un centro sportivo, un tratto stradale da 77 milioni di sterline, una linea ferroviaria ed una stazione. L’incontro con la popolazione lo descrive come un evento irreale in quanto molti degli abitanti affermavano che l’UE non aveva fatto nulla per loro e che erano stufi di immigrati e rifugiati, dei quali però la giornalista testimonia di non averne incontrato neppure uno. Inoltre una ricerca le ha permesso di scoprire che i tassi di immigrazione di quella città sono i più bassi di tutto il Galles. Tutto è divenuto più chiaro quando è stata contattata da una donna polacca che le ha raccontato di annunci allucinanti sull’immigrazione presenti su Facebook durante la campagna, documenti irreperibili come testimonia la giornalista quando afferma: “(…) il referendum si è svolto nel buio più assoluto, perché si è svolto su Facebook e quello che accade su Facebook resta su Facebook. Perché soltanto tu sai cosa c’era sul tuo news feed e poi sparisce per sempre (…)”. Ora al di là dello scontro con il sistema di Facebook che la giornalista ha trattato nel ricordare i rifiuti di fornire la documentazione e le diffide, quello che interessa ricordare è che come lei stessa ricorda “(…) la gran parte di noi non ha visto quegli annunci perché non avevamo il target scelto (…)”. Questa frase infatti ci fa capire che le ditte pubblicitarie che spendono miliardi in fake-news possiedono un target dei gusti delle persone, che sfruttano a loro vantaggio. Questa dunque è davvero libertà di espressione? La Cadwalladr parla anche del problema delle elezioni di Trump, attuale tutt’ora, se si pensa che pochi giorni fa il 5 novembre Repubblica ha pubblicato un articolo in cui espone come i media del Cremlino hanno tentato di influenzare le elezioni USA.
Da quanto detto consegue che questa non è libertà di espressione eccessiva come molti pensano, come potrebbe? Le fake-news sono costruzioni create per reprimere la volontà di pensiero, macchinazioni che attingono dalle identità personali per castrarle. Si parla di libertà d’espressione per riferirsi a qualcosa che di libero ha solo la diffusione, ma diffusione ed espressione sono due cose diverse. La diffusione è un affare di numeri e interazioni, l’espressione di pensiero e conoscenza e, se la prima tende a soffocare l’ambito della seconda, come può quest’ultima manifestarsi?
Il caso Samuel Paty quando la fake-news e la repressione della libertà di espressione diviene violenza
Conflans Saint-Honorie 16 Ottobre 2020 Samuel Paty viene decapitato. Il professore di storia, geografia, educazione civica e morale teneva spesso corsi sulla libertà d’espressione, tuttavia il suo “errore” fu quello di mostrare ai suoi studenti caricature di Maometto realizzate da Charlie Hebdo. Questo “l’errore” compiuto da un uomo nell’esprimere il suo pensiero. Sconvolgente però è che anche in questa vicenda compaiono i mass media e conseguentemente il loro cattivo uso, infatti il giovane ceceno attentatore non frequentava la scuola del professore, ma è venuto a sapere del fatto attraverso i social network. L’avvenimento è stato deformato da una studentessa tredicenne che lo ha raccontato a suo padre Brahim Chnina. L’uomo poi si sarebbe mosso pubblicando tre video sui social, fonte appunto della scoperta del futuro omicida. Inoltre l’uomo come riporta il Corriere della Sera aveva anche denunciato il professore che era stato interrogato dalla polizia. Oltre a ciò aveva anche contatti con il terrorista islamico Abdullakh Anzorov autore del misfatto.
L’idea di queste persone è che il professore abbia discriminato i ragazzi di fede mussulmana invitandoli ad alzare la mano ed ad uscire dall’aula prima di proiettare le immagini. E purtroppo la storia continua, infatti recenti sviluppi hanno dimostrato che probabilmente, come riporta il Corriere, l’attentatore arrivato sul posto non conoscendo fisicamente il professore se lo sia fatto indicare da due studenti per 350 euro adducendo come motivazione di voler: “filmare il professore per obbligarlo a chiedere perdono per le caricature del profeta” ed anche per “umiliarlo e colpirlo”.
Una storia recente quella di Paty, ma ancora una volta capace di rivelarci il valore di una fake-news che non è libertà di espressione, ma un’arma che conchiude il ragionamento. Quell’immagine distorta del professore diffusa sui social è stata la causa della sua morte. Se non fosse stata pubblicata quella fake-news egli sarebbe ancora vivo. Samuel Paty era un difensore della libertà di espressione e proprio in una lezione su di essa aveva mostrato le foto. Il fatto che sia stata una fake-news ad ucciderlo deve essere un campanello di allarme che ricordi a tutta l’umanità il potere del dire sempre la verità, perché ingannare gli altri forzandoli a pensare come si vuole non è solo pericoloso, ma anche ingiusto e causa di morti innocenti.
Questa morte dunque non è una fine, ma un inizio che insegna agli uomini di ogni tempo il valore della libertà d’espressione e dell’attività di pensiero che essa sottende, un valore che le fake-news non sono ancora riuscite a spegnere. Come ha detto Macron al funerale del professore: “Continueremo, professore. Con tutti gli insegnanti e i professori di Francia, insegneremo la Storia, le sue glorie e le sue vicissitudini. Faremo scoprire la letteratura, la musica, le opere dell’anima e dello spirito. Ameremo con tutte le nostre forze i dibattiti, gli argomenti ragionevoli, la scienza e le controversie. Come lei, coltiveremo la tolleranza. Come lei, cercheremo di capire, senza sosta, e insegneremo il senso dell’umorismo e la distanza”.
Una scia di sangue e la rinascita nel segno della libertà
Samuel Paty è solo l’ultima traccia di una scia di sangue che affligge la libertà tentando di castrarla. Ci sono stati infatti numerosi altri attentati al cuore della libertà. Direttamente connesso al caso Paty non bisogna dimenticare l’attentato alla sede di Charlie Habdo del 7 gennaio 2015 durante il quale sono morte dodici persone ed undici persone sono rimaste ferite. Un altro colpo molto famoso è quello consumatosi il 14 febbraio 2015 a Copenhagen (Danimarca), che ha causato 2 vittime e 5 feriti, nel corso di tre diverse sparatorie. In un centro culturale dove si teneva un dibattito su Islam e libertà di espressione, viene prima ucciso il regista Finn Norgaard, poi l’attentatore, un ventiduenne palestinese-giordano nato in Danimarca e simpatizzante dell’Isis, si dà alla fuga per uccidere, nei pressi della Sinagoga grande nel centro della capitale danese, un giovane della comunità ebraica che festeggia una bar mitzvah. Un altro evento è stato il 26 luglio 2016 a Rouen (Francia) presso la chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray. Due uomini hanno fatto irruzione durante la messa del mattino e hanno preso 5 ostaggi (tra cui 2 suore).
Il sacerdote Jacques Hamel, 84 anni, viene sgozzato. Poi il 19 dicembre 2016 a Berlino (Germania): un tir va a schiantarsi volontariamente contro la folla in un mercatino di Natale nel quartiere di Charlottenburg, vicino alla Chiesa del Ricordo, causando 12 morti e 56 feriti. Dopo ciò il 19 giugno 2017 a Londra (Gran Bretagna): poco dopo la mezzanotte un furgone piomba su un gruppo di fedeli musulmani a Finsbury Park a nord di Londra, vicino a una moschea dalla quale escono le persone radunate per le preghiere del Ramadan. Una vittima e almeno 10 feriti, tutti di fede islamica. Nella zona, Seven Sisters Road, ci sono almeno quattro moschee. L’attentatore, Darren Osborne, viene arrestato. Originario del Galles, dove viveva con la moglie e quattro figli in un sobborgo di Cardiff, era animato da odio per i musulmani. Un altro esempio il 29 maggio 2018 a Liegi (Belgio): il belga Benjamin Herman, 31 anni di Rochefort, ha ucciso due poliziotte e uno studente a Liegi al grido di ‘Allahu Akbar’, risparmiando un’altra donna che aveva preso in ostaggio perché di fede musulmana. L’attentatore è poi stato a sua volta ucciso dalla polizia. La sera prima il killer, uscito dal carcere di Marche-en-Famenne per un permesso di reinserimento, avrebbe ucciso anche un amico ex detenuto a colpi di martello. Inoltre il 29 ottobre 2020 a Nizza è stato eseguito un attacco che ha portato a tre vittime nella basilica di Notre Dame. Infine il 2 novembre 2020 nei pressi della sinagoga di Vienna un altro attentato ha causato quattro vittime e ventidue feriti. Questa è la drammatica situazione occidentale, ma in medio-oriente il problema è comunque molto diffuso. Un caso importante è quello avvenuto Baghdad il 21 giugno 2019 in cui sono morte sette persone e ne sono rimaste ferite altre venti perpetrato contro una moschea sciita. Un altro caso è avvenuto nell’università di Kabul ove è penetrato un commando di uomini armati il 2 novembre 2020. Dall’esterno del campus è stato possibile distinguere esplosioni e diversi colpi di arma da fuoco. Negli scontri sono rimasti uccisi quattro studenti, mentre altri undici sono risultati feriti.
Come si evince tutte queste stragi hanno qualcosa in comune l’ODIO, l’odio verso qualcosa che si vede come diverso e dunque da eliminare. Un odio che non guarda chi si è o di che religione si è, ma che colpisce tutti in un modo o nell’altro. Quindi un desiderio di chiudere la bocca degli altri. Come ha detto il cancelliere austriaco Sebastian Kurz: “(…) questa è una lotta fra molte persone che credono nella pace ed alcuni che auspicano la guerra (…)”. Qual è la grande forza della pace? La libertà. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale sono nati i diritti umani ed anche il diritto alla libertà dunque quale mezzo migliore per combattere questi repressori che sperano di tornare ad un nero passato? Quindi è necessario credere nella pace e nella libertà, non lasciandosi abbindolare da quelli che illudono mostrandola come una nemica, facendo credere con l’inganno che le fake-news ne siano l’opera. Dunque si vive in un’epoca di “lotta del pensiero” ove solo il ragionamento può salvare l’uomo da una nuova ignoranza che, differentemente dalle precedenti, è come un ago magnetico che cattura incanalando le riflessioni in un’unica direzione.
Fake-news e Repressione quando un’azione indiretta ferisce come una violenza
La fake-news dunque è una forma di repressione del pensiero che lo intrappola incanalandolo in un’unica direzione attraverso l’imposizione di idee che riescono indipendentemente da quello che postulano a far breccia nel soggetto. Il confine tra questa pratica e quello applicato in Oriente non è poi così profondo come si crede. Se infatti in Oriente il dissenso è represso nel sangue o con la censura attraverso la fake-news l’azione può divenire ancora più forte. Quest’arma infatti non si limita a reprimere il dissenso, ma lo annulla completamente, anzi porta il soggetto stesso inconsapevolmente a farlo. Un post corrispondente ad un target soggettivistico specifico in questo senso è un’arma peggiore della morte nel sangue, come avviene a molti giornalisti orientali. Essi infatti sono esempi, martiri che passeranno alla storia ed il cui grido forse un giorno verrà accolto e coltivato. Le vittime della fake-news, invece eccetto rari casi come quello di Samuel Paty, non lasciano intravedere alcun messaggio non solo perché questa pratica non lascia tracce, ma anche perché manomette la capacità del soggetto di analizzare una situazione portandolo ad accettarla, attribuendo ad essa un distorto quanto folle schema di razionalità. In Occidente non accadono omicidi orribili come quello di Jamal Khashoggi morto per le sue idee, ma abbiamo piccole morti di idee quotidiane, morti nascoste ed oscure che ogni momento colpiscono un soggetto catturandolo nella loro rete. Khashoggi si è sacrificato per denunciare i detentori del potere a Riad il principe erede al trono designato Mohammad bin Salman (Mbs) e suo padre, re Salman e per esprimere i suoi giudizi contro l’applicazione eccessiva dei dettami dell’islam nelle leggi saudite, per proporre maggiori libertà per le donne arabe e per una valutazione negativa dell’intervento militare dell’Arabia Saudita in Yemen. Dunque un omicidio legato alla repressione violenta della libertà di un giornalista che voleva dar voce ad un pensiero. Tanti in Occidente muoiono ogni giorno, perché come lui, anche se in altro modo, vengono alienati dai loro diritti di essere persone e vengono censurati nel loro sviluppo del pensiero. Queste ferite occidentali inoltre hanno il potere di portare raramente ad un’effettiva morte fisica, motivo per cui tendono a sparire nel tran tran della vita quotidiana. In conclusione quindi se in Occidente il sistema di repressione omicida è stato fortunatamente superato, purtroppo ce né un altro che sta nascendo e che comincia a mietere le sue prime vittime. Un sistema che cova nell’ombra e che oscura le menti umane, affinchè non riescano a coglierlo. Un oscuro gioco degli scacchi che, indipendentemente da chi sia a muovere le pedine (associazioni criminali, uomini senza scrupoli o altri), ogni azione è controllata ed ogni diversità viene cancellata in virtù di un’omologazione impercettibile che si sta facendo strada nelle vite quotidiane di ogni uomo.
Deleuze e la salvezza del rizoma
Un filosofo della seconda metà del Novecento può aiutare a sfuggire dalla rete in cui l’umanità sta cadendo. Egli parlava del “fare rizoma”. Questa espressione in linguaggio tecnico viene impiegata dal filosofo per indicare che ogni essere umano in sé contiene infinite sfaccettature, infinite possibilità di crearsi. Quindi Deleuze invita a non fermarsi alla direzione che viene posta innanzi, dandola per buona, ma a riflettere ed a capire fine in fondo quello che si vuole essere nell’istante della vita. Una volta capito questo infatti nessuna Fake-News, nessuna repressione, potrà castrare la libertà perché l’uomo comprenderà che essa è parte di lui e dunque che egli è sempre capace di costruirsi in essa e viverla.
Un messaggio dunque, quello deleziano, che lancia un grande grido all’oggi, che invita a non perdersi negli altri, in quello che viene imposto con la violenza, ma di guardare alle proprie capacità e nel proprio piccolo agire per il cambiamento. Se sui social ci sono molte Fake-News allora nel piccolo ciascuno potrebbe smentire le falsità e non prestagli fede. Se l’uomo è represso nel sangue non deve per questo chiudersi in se stesso e nel timore, ma deve continuare ad esprimere quello che vuole essere nella società di oggi creandosi in ogni momento per quello che è e potrebbe essere dentro se stesso. Dunque un’azione apparentemente piccola con un grande potere.
Conclusione
In conclusione la libertà è un dono, un grande diritto e l’uomo deve imparare a coltivarlo; purtroppo gli atti terroristici ed i terribili omicidi che si consumano in Oriente quanto in Occidente sono la prova che la grande guerra per la libertà non è ancora giunta al termine. Però i martiri di questa sfida sono la forza che spinge i novelli guerrieri a combattere. Khashoggi è morto in Oriente per lanciare messaggi di riscossa in una realtà ancora lontana dalla libertà. Paty in Occidente è morto per tutti, è morto per poter esprimere fino in fondo il desiderio di essere libero. La Cadwalladr è andata avanti nella sua ricerca per consegnare un messaggio di riscossa. L’uomo di oggi è il depositario di questi segnali, solo cogliendoli potrà costruire un’etica della rinascita e forse parlare alle generazioni future ricordando le gesta di questi piccoli eroi quotidiani.