Sabbia, deserto, tappeti volanti e scimitarre. Queste sono le principali immagini che da anni il cinema occidentale utilizza per rappresentare il mondo arabo. I suoi abitanti sono sempre uomini dalla barba lunga, mezzi incappucciati, dalla pelle scura e dallo sguardo “ingrugnito” che suscita timore e richiama alla violenza degli attentati terroristici. L’immagine stereotipata del Medio Oriente nel cinema occidentale Direttore responsabile: Claudio Palazzi
Da molto tempo ormai ci viene riproposto questo modello associato al mondo mediorientale – come se i paesi arabi siano un unico blocco compatto e indifferenziato – a partire dal paesaggio fino ad arrivare alla donna, sempre velata, sottomessa oppure danzatrice del ventre seminuda. Apparentemente questo non creerebbe particolari problemi dal momento che si tratta di film e dunque di opere di fantasia. Invece, nel bene o nel male, si diffondono pregiudizi e luoghi comuni che, proprio a causa di queste rappresentazioni
poco veritiere del mondo arabo, sono difficili da scardinare.
Quando capita di vedere in tv un film con delle scene girate in un paese mediorientale, di solito ci sono due tipi di immagini: quella dei campi profughi – con qualche area distrutta dalla guerra – e quella dei beduini con i cammelli. E’ come se il mondo arabo fosse esclusivamente associabile al deserto (con le palme, la sabbia ma mai il mare) e alla violenza della guerra. Questa rappresentazione del paesaggio mediorientale probabilmente deriva da quell’idea di aggressività e violenza che, nell’immaginario collettivo occidentale, si tende ad attribuire al mondo arabo, considerato il principale responsabile dei numerosi attentati terroristici di cui l’Europa è stata testimone anche in tempi molto recenti.
Tra le atrocità dell’ISIS e lo stereotipo dell’arabo truffatore, presente nella cultura europea, l’idea che di solito si ha dei paesi mediorientali è anche quella di posti pieni di criminalità e di metodi di giustizia esageratamente rigidi – basta pensare ad Aladdin, cartone animato della Disney, in cui chi ruba una mela al mercato rischia il taglio del braccio.
In realtà non è così, anzi alcuni paesi da questo punto di vista sono sicurissimi e con un tasso di criminalità più basso di tanti paesi occidentali (ad esempio gli Emirati Arabi Uniti).[Questi arabi sono proprio tutti uguali]
Ad essere vittima del pregiudizio più difficile da smontare rimane però la donna araba. Questa la vediamo quasi sempre raffigurata come una donna sottomessa a un uomo e costretta a coprirsi integralmente con il burqa.
Il problema del velo è da molto tempo una questione molto delicata e complessa che nel nostro paese viene automaticamente associata a un simbolo patriarcale e di misoginia. Anche se è vero che fino a tempi recenti, nei paesi più conservatori, le donne sono state costrette a indossare il velo, quello che il cinema occidentale sembra ignorare è il fatto che oggi è soprattutto la donna a decidere di indossarlo. Per le femministe islamiche, ad esempio, rappresenta un simbolo di rivendicazione culturale e, secondo le parole
della scrittrice Ahdaf Soueif, “una protesta contro l’idea che il modello occidentale sia il solo modello disponibile per le donne nei tempi moderni”.
Altra immagine stereotipata della figura femminile araba è quella della sensuale odalisca e della danzatrice del ventre, che fa apparire il mondo arabo come la patria degli eccessi, del sesso e dello sfruttamento del corpo femminile.
E’ chiaro dunque che le raffigurazioni dell’Oriente sono da tempo stereotipate e in questo ha inciso molto anche l’attentato alle torri gemelle dell’11 settembre 2001. Dopo quest’evento, infatti, l’immagine dell’arabo è andata a fondersi con quella del terrorista e i film sono diventati di conseguenza più violenti e duri, perché “la narrativa terrorista sembra aver eliminato ogni altro aspetto”.
Ovviamente non mancano nemmeno rappresentazioni più suggestive: in diversi film abbondano tappeti (che possono essere volanti o meno), mercati e bazar dai colori vivaci che fanno da sfondo a trame che prendono spunto dalle storie de “Le mille e una notte” – Aladdin, Sinbad e Ali Baba sono i personaggi più gettonati. La popolarità cinematografica di questi racconti, sottolinea Samhita Sunya, professoressa dell’università della Virginia, è garantita grazie alle illustrazioni presenti nei racconti e che vengono riprodotte nei film attraverso effetti speciali che rendono queste immagini ancora più spettacolari.
Si tratta di storie magiche e meravigliose che conquistano lo spettatore occidentale ma allo stesso tempo, nonostante si tratti di immagini che trasmettono positività, possono creare confusione. “Le mille e una notte” sono indubbiamente storie avvincenti ed emozionanti ma il problema si ha quando queste vengono confuse con la realtà. [Aladdin e le fantasie orientaliste del mondo del cinema]
Quindi, alla luce di tutti questi aspetti, se da un lato la rappresentazione degli arabi e dei musulmani connessi alla figura del terrorista può nutrire delle ideologie tossiche e alimentare l’islamofobia e la xenofobia, dall’altro non è sufficiente alleggerire la figura dell’arabo, rendendo il paesaggio più esotico e colorato per smontare l’immagine stereotipata del mondo arabo che è stata diffusa finora. Anzi, anche una visione più positiva è comunque in grado di alimentare stereotipi se non risulta chiara la distinzione tra
immaginazione e realtà, o se non viene esplicitato che ciò che viene rappresentato è frutto della fantasia dell’autore.
Una possibile soluzione a questi problemi viene proposta da Paola Caridi, autrice del libro Arabi invisibili. Dal momento che “Il mondo arabo è altro e va oltre la maschera ingrugnita che ci viene proposta da anni”, è necessario un “nuovo manifesto, che venga scritto da arabi e occidentali insieme, chiedendosi dove possa arrivare la convivenza e dove, invece, l’osmosi debba lasciare il passo al buon vicinato”. [Gli arabi non sono tutti barbuti come i personaggi di Aladdin]
Per concludere, non esistono elementi per poter affermare che il cinema occidentale nasconda, nelle sue riproduzioni degli arabi e dei paesi del Medio Oriente, l’intenzione di ghettizzare o discriminare questo mondo. Tuttavia, le buone intenzioni non bastano ma è necessario fare un passo in più per conoscere “l’altro” e ottenere le giuste informazioni per evitare di trasmettere un messaggio sbagliato.
Un metodo efficace potrebbe essere quello di leggere opere provenienti dai paesi arabi. Ad esempio i romanzi di Khaled Hosseini che ci regalano delle descrizioni accuratissime e realistiche dell’Afghanistan e ci raccontano la vita dei popoli del Medio Oriente; oppure, le poesie di Nizar Qabbani, uno dei poeti più letti e amati nel mondo arabo, dove l’amore è il protagonista indiscusso e dimostra che non esiste solo la guerra o lo sfruttamento delle donne. [Avino M., Camera d’Afflitto I., Salem A. (2015), Antologia della letteratura araba contemporanea – Dalla Nahda a oggi, p. 115]
Infine si potrebbe iniziare a trasmettere in tv qualche film o documentario girato da autori locali in modo da avere un sguardo più ampio su un mondo che abbiamo sempre guardato attraverso immagini stereotipate. Noteremmo con sorpresa che non esistono solo aree
desertiche o devastate dai conflitti ma che sono presenti anche bar, università, ristoranti così come nel nostro paese.
Dunque, sulla base di quanto sostiene Paola Caridi, il cinema ha tutti gli strumenti a disposizione per scardinare quelle immagini che esso stesso ha prodotto involontariamente, a partire dalla collaborazione con registi mediorientali. Solo così si può evitare di sprofondare nell’incomprensione globale che, come tra l’altro hanno dimostrato gli attentati avvenuti in Francia, non fa che favorire chi semina odio e terrore.