Lo specchio

Avevo riesumato dalla cantina una vecchia specchiera chippendale degli anni cinquanta; uno degli ultimi residui familiari. La maggior parte era finita ad uno sgombero cantine come roba vecchia.

Ero soddisfatto del suo posizionamento lungo il corridoio vicino all’ingresso. Lo specchio era perfetto e dava luminosità a quell’angolo della casa. Oltretutto tornava utile darsi un ultimo sguardo prima di andare al lavoro: una specchiata come rituale scaramantico per affrontare la giornata.

Fu una mattina che avvenne il fatto strano che ebbe come artefice il destino. Prima di uscire lanciai la solita occhiata e, per un istante, la mia immagine parve sdoppiarsi. Fu solo un attimo, e non gli diedi peso.

Lo stesso fenomeno si ripetè la mattina dopo.  La cosa mi colpì e preoccupò. Qualche problema agli occhi carenti di varie diottrie o la pressione. Da buon ipocondriaco le pensai tutte. Il pomeriggio stesso, dopo il lavoro, mi recai dall’oculista che, dopo avermi quasi sezionato il bulbo e allampato gli occhi, fino a stordirmi, non riscontrò problemi.

La sera mi soffermai a lungo davanti allo specchio. Le braccia che vedevo riflesse facevano gesti diversi dai miei, gli occhi sembravano osservarmi e le labbra si schiusero in un sorriso. Pensai ad una allucinazione o ad una forma di pazzia. Poi dallo specchio giunse una voce: “come va fratello ?” “tranquillo non stai impazzendo sono la tua immagine, anzi il tuo doppio”. “capisco lo smarrimento e che tutto questo sembri irreale, ma sappi che nulla di ciò che ci succede è reale, siamo noi a credere che lo sia. Ne abbiamo solo l’impressione, la sensazione. Diciamo che io sono te e tu sei me. Da bambino desideravi un fratello, un compagno di giochi. Ecco ora ce l’hai”.

Mi sedetti perché la testa, rullava come un tamburo.

Mi tolsi da quella posizione quasi fuggendo. Mi rifugia in camera  per rimuovere quell’incubo. Dopo una notte insonne, la mattina, passai veloce davanti allo specchio senza fermarmi ma lui mi salutò.  “che fai non ti specchi come al solito. Hai la cravatta storta ed i capelli in disordine; per non parlare dalla faccia, come se ci fosse passato sopra un treno. Spaventerai tutti allo studio. Se non te la senti vado io al tuo posto, non c’è problema”.  “Tu ?!? Anche volendo non potresti sostituirmi. Io faccio l’avvocato ho delle cause da seguire e delle udienze in tribunale”.

“Allora non hai capito ancora che sono il tuo doppio e lo sono in tutto: stessi sentimenti, esperienze e conoscenze. Posso benissimo  sostituirti”.

Mi sentivo stordito, con uno strano malessere che mi toglieva ogni energia e fu così che, quasi meccanicamente, lo lasciai fare.

La sera, al rientro, mi raccontò che era filato tutto liscio, anzi gli avevano fatto i complimenti per come aveva condotto le udienze. Inoltre Il responsabile dello studio gli aveva affidato altre cause.

Questa strana realtà, se da una parte mi confondeva, dall’altra non mi dispiacque; a tal punto da utilizzare il mio doppio in altre occasioni. Udienze a cui non volevo partecipare, pratiche particolarmente rognose in cui lui si tuffava con entusiasmo. Si dava da fare e lavorava fino a tardi. Spesso anche il sabato e la domenica.

Quando tornavo a studio, notavo uno strano comportamento da parte dei colleghi. Spesso non mi chiamavano per il caffè o per il pranzo. Ne chiesi motivo a quello con cui avevo più confidenza.

“ Sei tu che sei cambiato, cerchi di metterti in luce in ogni occasione; sempre disponibile ad accaparrarti le pratiche più rognose che gestisci senza chiedere la nostra collaborazione. La sera ti fermi fino a tardi. Capisco che nutra delle ambizioni ma stai esagerando”.

Tornato a casa affrontai il mio doppio, gli rinfacciai che mi stava creando dei problemi e che, se avesse continuato, lo avrei escluso dalle mie attività. “Invece di essermi grato mi rimproveri ? lascia stare i colleghi,  è solo invidia per la stima che  godi da parte del responsabile”.

Mi rassicurò, dicendo che avrebbe evitato altri problemi. In realtà la cosa non cambiò, mi stava prendendo la mano e si stava allargando sempre di più.

Mi ritrovavo la scrivania piena di pratiche di una certa difficoltà che lui si era fatto assegnare, costringendomi a ricorrere al suo aiuto. “Non ti preoccupare sbrigherò io il tuo lavoro”.

In un’altra occasione venni convocato dal responsabile che mi rimproverò aspramente per aver ricevuto, a sua insaputa, dei clienti di sua esclusiva gestione. Un’altra volta perché avevo sottratto, senza autorizzazione, delle pratiche dalla sua scrivania. Erano state puntualmente lavorate, ma non dovevo permettermi altre intrusioni.

Oltre all’invidia dei colleghi, ero costretto a beccarmi anche i rimproveri del capo.

Ma il peggio doveva ancora venire e fu la sera che, per un problema di lavoro in cui lui mi aveva cacciato, fui costretto a disdire l’impegno che avevo con Laura, la mia fidanzata. L’indomani la chiamai per scusarmi, ma lei mi ringraziò per la splendida serata, che le avevo fatto trascorrere.

Non ci vidi più. Ora si appropriava della mia donna.  “Invece di essermi riconoscente per averti tolto dall’impiccio mi rimproveri. Ti assicuro che non ci hai fatto una cattiva figura. Ti ricordo che sono il tuo doppio anche nei sentimenti e Laura è una splendida creatura”.

Ormai tutta la mia vita gli apparteneva. Dovevo fare qualcosa prima che fosse troppo tardi.

Una sera mi avvicinai silenziosamente allo specchio, nascondendo un martello; volevo infrangerlo ma, al momento di colpire, la sua voce mi fermò.

“vorresti distruggere questo splendido specchio appartenuto alla tua famiglia ? non è così che riuscirai a liberarti di me, è come se volessi colpire te stesso. Io esisto perché tu esisti,  anzi, ora tu esisti perché io esisto”.

Lasciai cadere il martello, non avevo più la forza di oppormi, aveva preso il sopravvento. Mi sentii annullato. La mattina seguente si aggiustò la cravatta, guardandomi, poi salutò ed uscì.

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