I pomeriggi d’estate a Messina, in particolar modo nel centro città, sono più caldi delle mattine. Come questo possa accadere neanch’io ne ho idea.
Il Sole illumina i palazzi cittadini con una patina arancione che farebbe brillare persino i ruderi più in rovina. E’ probabilmente una magia, d’altronde il pomeriggio estivo messinese è fatto indiscutibilmente per andare a mare e godersi il tramonto. Eppure quel giorno a me, di andare a mare, non importava nulla.
Che ognuno faccia le proprie scelte nella vita è fuori discussione, è una questione di a cosa si vuole dare priorità e anche di quanto un problema ti tocca o meno personalmente. Certo, chi parla del problema ha anche il compito di poterlo divulgare al meglio così che sempre più persone ne parlino e ne prendano coscienza, ma alla fine si compie sempre una scelta.
<<Non siamo qui per lavarci la coscienza, ma per poter avere un ruolo attivo nel cambiare le cose>> – urlerà al microfono durante il corteo Claudio, uno dei tantissimi ragazzi che il 22 giugno sono scesi in piazza per manifestare a sostegno della Palestina e del suo popolo, che da più di 70 anni subisce un genocidio da parte dello Stato di Israele e che negli ultimi mesi quest’ultimo ha completamente distrutto la Striscia di Gaza, creando una popolazione di sfollati e di morti.
E così anch’io sono andato al corteo, perché come insegna Bertolt Brecht: <<Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere>>. Eppure io credo che sia anche una questione di coscienza personale. Perché davanti allo sterminio di un popolo non si può stare in silenzio. E chi sta in silenzio è volente o nolente un complice.
Ore 17:30: appuntamento a Piazza del Popolo.
Le temperature sfiorano i 30 gradi eppure ciò non mi impedisce di portare addosso (con una certa fierezza) la mia kefiah bianca e nera. Prendo il tram che mi porterà fino a Piazza Unione Europea e dopodiché me la farò a piedi per arrivare a Piazza del Popolo, luogo d’incontro da dove partirà il corteo.
Le persone sembrano non notarmi, a parte una signora musulmana con l’hijab e la kefiah (anche lei stava andando al corteo) che mi sorride, e io ricambio. In quel sorriso si annida tutta la solidarietà che serve ad una comunità per non sentirsi abbandonata. Certo, ciò non vuol dire che noi occidentali dovremmo essere i salvatori del mondo, ma sicuramente dobbiamo essere propensi ad ascoltare e mettere in discussione le nostre convinzioni per essere degli alleati migliori.
Così il tempo passa e mentre ascolto dalle cuffie a tutto volume “HIND’S HALL” di Macklemore, la nuova canzone del rapper statunitense che è diventata l’inno delle proteste per la Palestina, mi accorgo di essere arrivato a destinazione. Scendo alla fermata del municipio, e camminando con fare deciso per piazza Unione Europea incontro un mio caro amico, Tony, che in quattro e quattr’otto prendo sotto braccio e lo porto con me a Piazza del Popolo.
Arrivare al punto di raccolta di una manifestazione a Messina è come andare ad una grande rimpatriata: amici, ex compagni di lotta, conoscenti, persino professori, insomma questi sono i classici eventi in cui ci si rivede e quasi ci si scorda di essere ad una contestazione. Ma forse è proprio questo il bello: trovare sempre le stesse persone con cui condividi da una vita le stesse idee. E anche se cambiati, non smettiamo di essere al fianco dei più deboli. La mia amica Alice dice ad un certo punto: <<Chissà se un giorno non ci vedremo più in piazza>>. E io allora la rassicuro dicendo che questo non succederà mai.
I membri del Coordinamento Messina-Palestina, l’organizzazione che si occupa degli eventi e le manifestazioni sulla Palestina in città, cominciano a preparare striscioni e bandiere, con in sottofondo musica tradizionale palestinese, creando un arcobaleno di colori e di energie in grado di donare la vita ad una piazza che lotta contro la morte di uomini, donne e bambini; Nella gioia della lotta si ritaglia sempre un pezzo di bellezza che cura il mondo dall’oscurità.
Le persone iniziano ad arrivare sempre di più, specialmente ragazzi. Ed ecco che si è fatta l’ora di di iniziare. Tutti dietro le bandiere e gli striscioni, si cammina fino al municipio.
Ore 18:00: il corteo inizia con un appello all’Università di Messina.
Imbocchiamo la Via Cesare Battisti per recarci davanti il rettorato dell’Università degli Studi di Messina. Durante il tragitto i cori in italiano, inglese ed arabo si fanno sentire: <<Huriya>> (Libertà, in arabo) – <<Stop bombing Gaza>> – <<Palestina libera>> – ed iniziano ad essere elencate alcune rivendicazioni: <<Chiediamo il cessate il fuoco immediato nella Striscia di Gaza, la fine del regime di apartheid israeliano, lo stop all’invio di armi e alla cooperazione con lo Stato di Israele, l’entrata senza limiti degli aiuti umanitari e l’applicazione del diritto internazionale>> – queste le richieste di cui si fa portavoce il Coordinamento, e a cui seguono musica ed applausi.
Gli studenti stranieri arrivano sempre di più, fino a quando non ci fermiamo alla piazza del rettorato dell’università. Qui alcuni studenti e studentesse cominciano a leggere un appello rivolto alla Rettrice Angela Spatari (trovate il testo completo qua): <<Chiediamo che l’Università di Messina recida gli accordi con la Hebrew Unversity di Gerusalemme, che compie un ruolo attivo nel genocidio dei palestinesi finanziando la ricerca militare per il controllo dei territori occupati da Israele, discrimina gli studenti e le studentesse arabi e censura qualsiasi tipo di dissenso>> – una richiesta che rientra nel solco delle proteste studentesche italiane. Recentemente infatti l’Università degli Studi di Palermo e l’Università degli Studi di Torino, grazie alle “acampade” studentesche (le famose tende nell’università), hanno sciolto qualsiasi rapporto con le università di Israele, segno che la intifada studentesca sta continuando ad avere vittorie su vittorie.
Il corteo prosegue e io non mi sono mai sentito così felice in una manifestazione. Quando si fa politica, specialmente in determinate posizioni, il rischio di sentirsi solo è sempre dietro l’angolo. La speranza che le cose possano cambiare si affievolisce e si comincia a chiedersi se ne vale la pena. La verità è che ne vale sempre la pena. E anche se non si vince o si rimane schiacciati da qualcosa di più grande, almeno hai fatto il tuo e non sei rimasto indifferente. L’importante è sempre provarci, e quando si è tanti si può anche vincere.
Credo che la Messina più bella sia proprio qua: interculturale, intergenerazionale e dalla parte di chi soffre. La presenza di alcuni artisti locali che marciano arricchisce ancora di più la partecipazione, dimostrando come la città non è sopita ma sveglia e pronta ad intervenire.
Ore 19:00: l’arrivo a Piazza Unione Europea.
Arrivati sulla Via Garibaldi, il corteo conta più di 500 persone. Ogni volta che mi giro per vedere dove finisce la coda quasi mi perdo in quel tripudio di persone e colori tutti diversi. Ne rimango abbagliato, quasi spaventato, perché ancora devo rendermi conto che questa è la prima volta che a Messina si marcia per la Palestina.
Così arriviamo davanti al palazzo del municipio ed il corteo inizia a sistemarsi nella scalinata centrale, e nel frattempo alcune persone si disperdono. Si crea sempre questo clima conviviale nelle manifestazioni messinesi in cui ci si ritrova seduti o alzati a disquisire di altro: l’evento per cui si è marciato quasi sparisce, rimane nello sfondo, e tutte le interazioni sociali si spostano su altro. Si diventa così spettatori ed attori di qualcosa di più grande.
La manifestazione si chiude con alcuni interventi di organizzazioni sociali e singoli cittadini che chiedono di <<restare umani>> davanti la tragedia in corso.
La manifestazione del 22 giugno è solo l’inizio di un percorso di mobilitazione che vede protagonista la città di Messina. Il 10 luglio ci sarà in città un incontro con Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU sui territori palestinesi occupati, una figura istituzionale che ha preso posizione netta contro il genocidio e che continua ad essere vittima di una gogna mediatica che la vedono complice del terrorismo.
Messina si unisce a tutto il resto del mondo al grido di libertà per la Palestina, un coro che si fa sempre più grande ma che sta continuando ad essere non ascoltato da parte dei governi nazionali. Nonostante alcune prese di posizione come quelle della Spagna nel riconoscimento dello Stato di Palestina, e la partecipazione di alcuni stati europei al processo per genocidio della Corte Penale Internazionale, l’egemonia sionista fa da padrona e nessuno è in grado di mettere in discussione questo sistema.
Essere presenti per la Palestina mi ricorda che l’ingiustizia non ha confini, e che davanti alle lezioni della storia non bisogna stare a guardare. Bisogna essere cittadini coscienti che possono cambiare il corso degli avvenimenti.