Tutto quanto si riferisce a un certo tipo di iconografia e cioè il costume ciociaro, la modella e il modello di artista, la figura del brigante, del pifferaio e anche dello zampognaro e dell’organettaro, sono ancora oggi pagine abbastanza sbiadite e quindi quasi sconosciute della Storia dell’Arte. Tale costatazione non prescinde però da un’altra presa di coscienza molto più significativa e attuale  e che cioè tali iconografie -pur quasi sempre senza nome o contrabbandate con altri, ecco perché quasi sconosciute!-   sono presenti sistematicamente in tutti i musei e gallerie del pianeta e perciò quelle sicuramente le più abituali e quindi più note al pubblico cultore. Se si prende atto che il Museo Rodin ancora oggi non conosce o ignora perfino il nome di battesimo di quello che è da considerare il modello più conosciuto al mondo dell’arte, Pignatelli, così caro all’artista Rodin, o che i vari Musei Matisse non conoscono chi sia la modella, la enigmatica ‘Lorette’  -ancora oggi gli eredi la connotano,  storcendo il naso, come ‘la femme italienne’– che per parecchi mesi,  quasi in clausura con l’artista, al quarto piano di Quai S.Michel, grazie parecchio alla sua intelligenza  e sensibilità, di molto contribuì a favorire l’apertura e il dischiudersi nell’artista di  sentieri e orizzonti dell’arte prima inesplorati  e che, in aggiunta, fu eternata in almeno cinquanta opere -e qui ci arrestiamo, la elencazione non sarebbe breve!- diamo le prove evidenti di quanto non dico lassismo e supponenza ma certamente  noncuranza e indifferenza e, si dica pure, negligenza, contrassegnano il comportamento di tali nobili istituzioni  -musei, ecc.-  e non solo loro, nei confronti dei  modelli di artista ciociari.

Gli inizi e gli embrioni sono tutti in Valcomino: esiste la Ciociaria, palcoscenico della Storia tutto ancora da scoprire, come realtà folklorica; esiste il costume ciociaro, il soggetto più amato e più ripetuto nell’arte occidentale del setteottocento; esistono i modelli d’artista che hanno reso possibile con la loro presenza la creazione di capolavori incredibili nella storia dell’arte tra  1800 e inizi 1900 e che, ancora, hanno letteralmente inventato la professione e il mestiere del modello;  esiste il primato della emigrazione grazie ai  nomadi e agli artisti girovaghi non solo pifferari e zampognari ma anche venditori di fortuna e ammaestratori di cani e di scimmie e altro ancora,  partiti da San Biagio Saracinisco, da certe frazioni di Picinisco, da Cardito frazione di Vallerotonda, da Villalatina, da Filignano e sue frazioni, località ignorate perfino dalla geografia,  pertanto grondanti  nostalgia e rimpianto e lacrime per tante creature, che per primi hanno messo piede in Iscozia, a Londra, a Parigi, a Berlino già fine 1700; esiste la ciociarizzazione di Roma cioè la realtà storica a  confermare che nel corso dell’ottocento i ciociari erano talmente prorompenti e imponenti e numerosi nella Città Eterna da essere ritenuti  da tutti  -dalle autorità ecclesiastiche stesse- i veri abitanti della città: tutte queste realtà, glorie e conseguimenti non solo della Ciociaria ma dell’Italia e del Mondo Occidentale, perché la Valcomino è la matrice della Ciociaria e la fucina di tutto.

L’aspetto curioso, si consenta la digressione, è che geograficamente e politicamente e amministrativamente tale territorio, quasi una costola conficcata nell’attuale Molise una volta Abruzzi, la Valcomino o Valle di Comino, isolata e racchiusa tra monti, quasi tagliata in due dall’antica Via Sferracavalli, non esisteva, nessuno lo conosceva: quando dovevano individuare, per esempio, i personaggi originari di questi luoghi che andavano in giro numerosi nelle città italiane con il piffero e la zampogna per le novene natalizie e pasquali, venivano individuati come abruzzesi, cioè provenienti da luoghi montagnosi e innevati noti solo ai gabellieri e ai mercanti di bimbi! E infatti solo nel 1911 il geografo Roberto Almagià parlò per primo della Valcomino e dei suoi Comuni e delle sue caratteristiche fisiche e la riportò letteralmente alla luce: contò dieci Comuni, escludendo S.Biagio Saracinisco e Cardito/Vallerotonda perché appollaiati su un sistema orografico diverso dagli Appennini e Preappennini, cioè sulle Mainarde: ma le ragioni di comunanza dei dieci + due, siano esse sociali antropologiche storiche economiche, che l’illustre geografo certamente non poteva conoscere compiutamente perché, in effetti, non ancora storicizzate,  sono talmente forti ed evidenti che non possiamo non portare  quindi i comuni valligiani alla realtà di oggi e cioè a dodici comuni. Invero, sulla scorta dunque dei comuni destini e della identità sociale e naturale e geografica, sono le pendici molisane delle Mainarde che andrebbero aggiunte e cioè Filignano con le sue frazioni  di Cerasuolo, Mastrogiovanni, Mennella cosa che in realtà nel passato era già ritenuta e sentita una realtà acquisita e incontestata dal momento -in aggiunta a tanto altro- che quella antichissima strada che ne batte le estreme pendici iniziando da Pozzilli e arbitrariamente interrotta e fatta collegare poi con la recente Isernia-Sora, si chiamava e si chiama ancora oggi Via Atinense che se  non ci fosse  stata la stolta e immotivata e antistorica interruzione di cui sopra -e auguriamoci che qualche politico della zona o qualche civica associazione si faccia carico di ripristinare l’antico tracciato-  la Via Atinense avrebbe continuato a tenere assieme, quasi in un abbraccio, tutto il territorio e non solo le Mainarde molisane, da Filignano ad Atina!

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