Sin dalla sua fondazione, l’ONU si è posta come obiettivo quello di essere un organismo al cui interno potesse esserci un rapporto paritetico tra tutti gli attori mondiali. Un progetto che, tuttavia, si scontra con una realtà dei fatti che vede all’interno dell’organizzazione uno scontro costante di interessi contrapposti.
Il deteriorarsi della situazione internazionale negli ultimi anni non ha fatto altro che rendere ancora più palese l’impasse cronica in cui versano gli organismi dell’ONU, in particolare il Consiglio di Sicurezza. La situazione ucraina, in particolare, ha messo in evidenza come esso si ritrovi completamente paralizzato: il seggio permanente e il potere di veto che la Russia mantiene offre una sostanziale garanzia di tutela dei suoi interessi a dispetto di quanto l’azione condotta in Ucraina possa essere illegittima agli occhi della comunità internazionale. Un esempio analogo è quello dato dalla nuova esplosione del conflitto israelo-palestinese: anche in questo caso assistiamo ad un Consiglio di Sicurezza sostanzialmente immobile, incapace di arrivare ad una soluzione per via di interessi contrapposti ma anche per via dell’impossibilità di imporre il rispetto delle disposizioni. In quest’ultimo caso, l’immobilità è una questione di lunga data, che si può far risalire indietro di almeno mezzo secolo se non di più. L’ultima risoluzione del Consiglio di sicurezza a chiedere il ritiro degli israeliani dai territori non di loro pertinenza è la numero 338 del 1973 ma, ad oggi, né questa né le precedenti hanno avuto applicazione, senza voler considerare le risoluzioni dell’Assemblea generale, e in particolare la numero 194 del 1948, ignorate in quanto non giuridicamente vincolanti, contrariamente a quelle del Consiglio di Sicurezza. L’ultima e violentissima guerra mediorientale si trascina dietro anche le responsabilità delle Nazioni Unite nel non aver potuto prevenire una radicalizzazione delle posizioni, a causa della sua impossibilità di imporsi in maniera credibile. Come scrive Ugo Tramballi su Ispionline: « Proporre, promettere, impegnarsi e, nella gran parte dei casi, non realizzare: è l’iter consueto».
Una proposta impossibile
Nel corso del tempo, dunque, è andata progressivamente ad erodersi la capacità dell’ONU di agire da organismo in grado di incoraggiare al suo interno il confronto ma, soprattutto, l’azione diplomatica. La paralisi del Consiglio di Sicurezza riflette quello che sempre più è diventato uno sterile braccio di ferro tra potenze, senza un reale potere di intervento nelle questioni internazionali (certamente l’ONU riveste un ruolo importante per quanto riguarda le questioni che non entrano direttamente nell’ambito geopolitico, in primis quelle umanitarie; volendo esulare da queste, però, il quadro è abbastanza chiaro).
Recentemente, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, in un suo intervento proprio davanti al Consiglio di Sicurezza, ha incoraggiato un intervento di riforma degli organismi dell’ONU, una proposta di forte significato politico ma che risulta quasi impraticabile. Oltre a sollecitare una revisione del diritto di veto dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, il quale andrebbe sospeso qualora uno di questi risultasse direttamente coinvolto nella controversia, Zelensky ha proposto anche di assegnare alle risoluzioni dell’Assemblea generale, da adottare a maggioranza qualificata, valore giuridicamente vincolante, rispetto a quanto accade ora.
Tutte queste misure prevedono una profonda revisione della carta ONU, la quale non contempla alcuna sospensione del potere di veto per i membri permanenti. Esistono misure più stringenti, come l’espulsione diretta dal Consiglio di Sicurezza, ma essa avviene su raccomandazione del Consiglio stesso e, come ogni altra mozione, è soggetta a veto. L’idealismo che ha permesso la redazione della carta ONU e la fondazione delle Nazioni Unite ne ha minato, di fatto, la capacità di rivestire un ruolo di reale importanza nella politica internazionale. Una riforma non solo del Consiglio di Sicurezza, ma anche dei meccanismi che stanno alla base dell’Assemblea generale, è quantomai necessaria per far sì che l’ONU si doti di un reale potere decisionale e di intervento, senza venire bloccata in costanti impasse a colpi di veto incrociati o in inconcludenti discussioni minate alla base da interessi contrapposti di diversi gruppi regionali. Tuttavia, il non essersi dotati di strumenti che permettano di impedire queste forme di ostruzionismo rappresenta un’ingenuità che condanna l’ONU ad una scarsa concretezza.
Progetti ambiziosi
A partire dal 2005, è stato costituito un gruppo intergovernativo, denominato “Uniting for Consensus”, che ha come scopo preciso quello di favorire una riforma del Consiglio di Sicurezza in senso più inclusivo e trasversale. Il gruppo è presieduto dall’Italia e, negli anni, ha presentato una serie di proposte miranti ad allargare la platea dei partecipanti al Consiglio, in modo tale da favorire un’equa rappresentanza di tutte le aree geografiche del mondo. Più nel dettaglio, i progetti dell’UfC mirano a superare la tradizionale rotazione biennale non rinnovabile dei seggi non permanenti, aprendo ad una partecipazione più longeva e più numerosa, e favorendo nello stesso tempo una rappresentanza e un’azione più trasparente.
Proposte di questo tipo consentirebbero di immettere nuove energie all’interno dell’ONU. Appare difficile, tuttavia, ipotizzare un superamento dello status quo in questo momento. L’ONU, e in particolare il Consiglio di Sicurezza, scontano un legame troppo stretto con il passato. Prevale ancora una logica del vincitore che detta le regole; in una situazione internazionale sempre più complessa come quella attuale, ciò rappresenta un freno inibitore terribilmente evidente.