Presidenziali Usa: al via le primarie del partito Democratico

Il 3 Novembre 2020 si terranno le elezioni presidenziali USA. Chi sarà il candidato (o la candidata) dei democratici lo si saprà solo al termine della lunga serie di consultazioni che hanno preso il via il 3 Febbraio all’interno del Partito Democratico nei vari Stati, le cosiddette “primarie”.

La potenza economica degli USA e il peso politico che la Casa Bianca ha nello scacchiere internazionali rendono d’interesse globale le vicende elettorali statunitensi, quali scenari è lecito aspettarsi dalle prossime elezioni?

Uno sguardo d’insieme: i presidenti USA del 21° secolo

Il 21° secolo è iniziato nel peggiore dei modi per gli Stati Uniti che hanno dovuto subire la tragedia causata dagli attentati alle “Torri Gemelle” l’11 Settembre 2001 sotto la presidenza del neo-eletto repubblicano George W. Bush.

Questo sconvolgente evento ha rinsaldato il sentimento patriottico statunitense, creando una forte coesione nazionale che ha legittimato l’operato del presidente nella sua lotta contro il terrorismo islamico sfociata nelle guerre ad Afghanistan (a partire dal 2001 e tutt’ora non conclusa) ed Iraq (2003-2011).

L’immediata risposta agli attacchi, insieme ad una generale ripresa dell’economia nazionale, hanno consentito a George W. Bush di mantenere alto il consenso intorno alla propria figura e di essere rieletto al termine del mandato alle presidenziali del 2004, facendo in breve tempo dimenticare le polemiche che erano seguite alle elezioni che lo portarono al suo primo mandato. All’epoca (elezioni di novembre 2000), infatti, Bush vinse per una manciata di voti sul candidato democratico Al Gore (poi insignito del premio nobel per la pace nel 2007) in una tornata elettorale non priva di polemiche e riconteggi delle schede.

Il secondo mandato di Bush jr. si chiuse con i repubblicani in svantaggio nei consensi rispetto ai democratici, soprattutto perché dalle primarie del partito democratico emerse, come avversario del repubblicano John McCain, l’avvocato di origini afroamericane Barack Obama, già senatore degli Sati Uniti per l’Illinois.

Dotato di grande carisma e forti doti comunicative, Obama riuscì a far convergere intorno alla sua figura il consenso di buona parte delle comunità dei neri e degli ispanici, oltre a convincere a votare per lui la base del partito Democratico. Lanciato anche da uno slogan accattivante ed immediato come “Yes we can!”, l’ex senatore vinse con il 52,9% dei consensi contro il 45,7% del suo rivale, e il 67,8% dei consensi dei Grandi Elettori le elezioni del Novembre 2008 .

L’elezione di Obama venne salutata con grande entusiasmo dai democratici di diverse nazioni, tra cui l’Italia, che vedevano in lui la possibilità di una svolta nella politica statunitense, e che questa potesse fare da traino per i democratici e i progressisti di tutto il mondo.

Uno dei progetti più ambiziosi e più riconoscibili del governo Obama è stato senza dubbio la riforma sanitaria che va sotto il nome di “Obamacare” che estese la copertura sanitaria ad oltre 23 milioni di Americani in più rispetto alla copertura precedente.

Nel 2009 vinse il premio nobel per la pace, nonostante gli Stati Uniti abbiano ancora diversi fronti di guerra aperti in varie parti del mondo ed in particolar modo nel cosiddetto “medio oriente”.

Durante il secondo mandato (2014-2017) si rese protagonista di una politica distensiva con Cuba, riallacciando relazioni diplomatiche dopo 54 anni di embargo e diventando il primo presidente statunitense a rimettere piede sull’isola in seguito alla rivoluzione castrista.

Nel novembre 2016, pur ottenendo un numero inferiore di voti 46,2% contro il 48,2% di Hillary Clinton, grazie al voto decisivo dei Grandi elettori (56,5% contro 42,1%), Donald Trump diventa il 45° Presidente degli Stati Uniti d’America.

La presidenza Trump

Il mandato di Donald Trump si caratterizza fin dal primo momento per una “chiusura” su se stessi degli USA, dall’imposizione di dazi per le importazioni di merci provenienti dall’estero (in particolare dalla Cina), ai rigidi controlli sull’immigrazione (annoveriamo il potenziamento del muro al confine con il Messico e il cosiddetto “muslim ban” ovvero il divieto di accesso nel paese ai cittadini provenienti da 7 stati a prevalenza religiosa musulmana).

Sul piano internazionale la situazione è sempre molto tesa con la Cina ma, diventa preoccupantemente incandescente con la Corea del Nord degenerando in un clima da “guerra fredda” facendo temere addirittura che il contrasto sfoci in una guerra nucleare; fino alla distensione e all’incontro con il leader nord coreano Kim Jong-un che sembrerebbe aver ristabilito un equilibrio.

Non altrettanto pacificamente si è risolto il contrasto con l’Iran, accusato di eludere i controlli degli ispettori Onu sull’arricchimento dell’uranio, e attaccato militarmente dall’esercito statunitense in territorio iracheno con un raid che ha provocato la morte del generale Soleimani.

In generale i rapporti di Trump con il mondo arabo, eccezion fatta per i partner commerciali (tra gli altri Arabia Saudita e Pakistan), non sono idilliaci e di certo non ha contribuito a migliorarli la scelta del presidente USA di spostare l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme; una decisione che ha fatto infuriare i palestinesi e buona parte del mondo musulmano.

Anche in ambito di politica energetica non sono mancate le polemiche per la decisione di Trump di allontanarsi dagli obiettivi sanciti dagli accordi di Parigi e tornando a puntare fortemente sull’utilizzo di combustibili fossili, con un ennesimo schiaffo al riscaldamento globale e ai cambiamenti climatici, del resto sempre negati dal 45° presidente.

Partito Democratico: leader cercasi

Non sono iniziate nel migliore dei modi le primarie del partito Democratico. Il primo stato a pronunciarsi in merito è stato l’Iowa il 3 febbraio, scegliendo di adottare un innovativo metodo di consultazioni basato sul voto telematico. Un sistema non privo di inconvenienti; ed infatti non tutto è andato per il verso giusto con intoppi e problemi tecnici sui quali non ha evitato di esprimersi il repubblicano Trump tacciando gli avversari politici di incompetenza.

Ma, a quanto pare, non sono solo i problemi tecnici a preoccupare gli elettori democratici. Tra i candidati e le candidate non sembra esserci alcuna figura carismatica e di spicco tale da poter fronteggiare la potenza mediatica di Trump, né tanto meno sembrano essere in grado di far parlare di sé in maniera convincente gli elettori come era riuscito a fare Obama.

In attesa che in tarda primavera/estate si abbiano delle risposte certe, per il momento sembrerebbe essere una corsa a due tra Joe Biden e Bernie Sanders.

Il primo ha ricoperto il ruolo di vicepresidente durante l’amministrazione Obama e spesso la stampa ha sottolineato quanto fosse forte il legame tra i due, Biden ha certamente voglia di giocare su questo “fattore nostalgia” e portando avanti la sua candidatura sta calcando la mano sul tema dell’antirazzismo, attaccando in maniera diretta l’atteggiamento razzista di Trump.

Sanders, invece, basa la sua candidatura su una vicinanza alle comunità LGBT+ e propone un’economia di mercato meno classista e più attenta ai bisogni anche dei meno abbienti.

Aveva già proposto la sua candidatura nelle precedenti primarie uscendone sconfitto da Hillary Clinton e la sensazione è che lo scenario possa ripetersi, con Biden che pare, ad oggi, leggermente avvantaggiato a concorrere per la Casa Bianca.

Le altre candidature appaiono più marginali e meno capaci di ergersi a figure di riferimento di un partito che vuole tornare al potere, in particolare non sembra esserci alcuna candidata di sesso femminile in grado di provare a diventare la prima presidentessa della storia del paese a stelle e strisce.

Verso un governo Trump bis?

Un quesito che è lecito porsi è se i democratici saranno in grado, una volta scelto il proprio candidato, di far fronte comune ed appoggiarlo nella sfida elettorale, o se le divisioni e gli screzi che le primarie inevitabilmente porteranno con sé non saranno ricuciti, andando ad indebolire ulteriormente la loro posizione.

Ad oggi, al contrario, appare estremamente compatto il fronte dei repubblicani, al punto che le primarie al loro interno saranno molto probabilmente una pura formalità dato che nessuno, o quasi, pare voglia mettere in discussione che sarà nuovamente il presidente in carica a concorrere per un secondo mandato.

Le elezioni di novembre sono ancora lontane e gli scenari possono sicuramente mutare ma, al momento, sembra che l’unico che possa rappresentare una minaccia per il presidente uscente sia Trump stesso, con il suo modo di fare sempre sopra le righe e con il suo atteggiamento provocatorio e guerrafondaio che, però, tanto sta piacendo ai suoi elettori ma che, proprio per questo suo essere sempre al limite nel tirare la corda, corre perennemente il rischio che questa si spezzi.

Se questo non dovesse accadere, il mondo dovrà prepararsi ad un nuovo quadriennio Trump, sperando di non doversi disfare di troppi indumenti invernali e di non dover costruire rifugi antiatomici per questo.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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