È un pomeriggio di fine agosto come un altro quando mi avvio verso la sede della mensa di Santa Chiara di Rieti, si tratta di una mensa francescana (i volontari ci tengono a precisarlo con grande orgoglio), che opera nello spirito della parola del santo che a Rieti passò alcuni degli anni più importanti del suo cammino spirituale, e che, in quest’ottica, si propone di offrire un pasto caldo a chiunque si trovi a passare di lì, che sia indigente o soltanto in cerca di una parola di conforto. In un secondo momento mi viene confessato dai volontari stessi che chi vive in strada non muore di inedia ma piuttosto di solitudine. Gli avventori della mensa, sita nel chiostro del monastero delle clarisse la cui fondazione risale al 1229, sono, sorprendentemente, molto variegati: madri che stentano a mettere su la cena per la famiglia numerosa, operai al termine della giornata di lavoro, anziani che cercano compagnia…e certo in mezzo a questa folla eterogenea non mancano quelli che per resistere alla malinconia si sono dati all’alcool o peggio… mi perdo tra la folla di questi “Signori Nessuno” e inizio a indagare sulla loro storia, alcuni sono più riservati, altri, più disinvolti, tengono a stento a freno la lingua e si perdono nei loro stessi racconti tra un sorso di birra e l’altro. <> mi raccontano i volontari <>. Nella moltitudine di questi volti mi colpisce quello di Andrej, Andrea per gli amici italiani (che a quanto mi dice hanno difficoltà a pronunciare il suo nome polacco), è un uomo minuto, porta un cappello con una falda piuttosto prominente che lo protegge dal sole durante le giornate roventi (è un operaio), ha un viso dolce ma solcato da rughe fitte e profonde che lo fanno apparire molto più avanti con l’età di quanto non sia realmente. Andrea mi è stato indicato dai volontari come l’unico che avrebbe risposto alle mie domande di buon grado ed effettivamente una volta accomodati mi lascio trascinare nella sua storia…

<< Allora Andrej da dove vieni?>>

Accenna un timido sorriso come preannunciando la sfilza di domande che seguiranno << Sono nato a Lublino, in Polonia, è una città piccola vicino a Varsavia…lì avevo un buon lavoro, guidavo mezzi pesanti, certo non era ideale ma pagava bene, almeno per gli standard polacchi>>
<< E come sei finito a Rieti?>>

<<Beh, ci sono finito un po’ per caso, all’epoca avevo trent’anni, ero un ragazzino innamorato, la madre della mia fidanzata viveva qui e lavorava in una fabbrica tessile, si trovava bene e così decidemmo di raggiungerla…in Polonia avevo una patente speciale per il mio lavoro, ma qui in Italia era troppo complicato ottenere il riconoscimento così mi sono arrangiato a fare il meccanico, l’idraulico, il muratore…insomma un tuttofare>>

Parlando con Andrej mi accorgo subito che il suo italiano è perfetto, la cadenza, l’inflessione…<< Da quanto tempo sei qui? >>

<< Da vent’anni circa…questa è la mia casa ormai, ho amici, avevo anche una fidanzata, un lavoro, un appartamentino tutto mio >>

Andrej ha solo 51 anni e non ha figli, per gli standard italiani è praticamente un ragazzino, ma il suo volto è stanco e raggrinzito, i suoi occhi sconsolati nonostante la sua attitudine fanciullesca e propositiva.

<< Cosa è successo allora? Perché hai perso casa e lavoro?>>

<< Otto mesi fa mi sono operato…stavo malissimo, dolori atroci per settimane, un liquido cattivo mi si formava nella pancia e in ospedale hanno dovuto toglierlo>> (con un po’ di difficoltà riesco a risalire alla sua diagnosi, si tratta di cirrosi epatica, che spiegherebbe anche il ventre gonfio a contrasto con una corporatura decisamente esile) <>. In risposta ottiene il mio sorrisetto complice e la promessa di non farne parola con nessuno.

<< E ora cosa fai tutto il giorno? Dove dormi?>>

<< E che devo fare! Vado in giro, sto con gli amici, parliamo un po’, poi la sera si viene qui a prendere la cena e la notte dormiamo in un rifugio con altri senzatetto…mi manca la mia casa, avevo la mia indipendenza lì, pagavo affitto e bollette regolarmente, facevo una vita normale…adesso c’è poco lavoro in giro, questo covid ha fatto un casino, chissà quando potrò avere una casa tutta mia di nuovo>>

<< E in questa situazione non hai pensato di tornare a casa in Polonia? Hai ancora una famiglia lì? >>

<< La mia famiglia è molto numerosa, ho otto fratelli e una bella casa a Lublino. Ogni tanto vado a visitarli ma ora è da tre anni che non li vedo, non posso permettermelo …chissà forse da vecchio tornerò in Polonia, per la pensione!” e scoppia in una risata amara, Andrej lavora soprattutto in nero per cui la pensione per lui è un miraggio lontano…<< il problema è che lì non ho nessuno a parte la famiglia, sono un vecchio per i ragazzi giovani e tutti i miei amici sono qui, che ci vado a fare >>

<< Ti manca il tuo lavoro?>>

<< Il mio lavoro è faticoso, stai tutto il giorno in piedi a trasportare carichi pesanti e io sto invecchiando…certo adesso come adesso qualsiasi lavoro va bene, basta che paghi abbastanza per una casa e una cena calda a tavola… certo non mi posso lamentare, ho tante persone che mi aiutano>> volgendo lo sguardo verso i volontari intenti a distribuire la cena << prima della pandemia ci sedevamo al tavolo tutti insieme e mangiavamo fin quando il cibo era ancora caldo, adesso, soprattutto d’inverno, come si fa a stare in mezzo alla strada con uno scartoccio di cena congelata? >>

Abbasso la testa e annuisco con un po’ di imbarazzo, la sua non era un’accusa; eppure, mi sento chiamata in causa come se fosse una questione personale…mi faccio coraggio e proseguo con l’ultima domanda…

<< Allora come immagini il tuo futuro? >>

Andrej prova a soddisfare la mia curiosità buttando lì qualche parola ma evidentemente non riesce a rispondermi, almeno non con le parole… così abbassa la mascherina e mi sorride. Forse non è la risposta ad essere inadeguata o insufficiente ma piuttosto la domanda, rifletto tra me e me.

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