Il 17 aprile, la città di Roma, e in particolare il quartiere del Quadraro (in via Tuscolana), celebra ottanta anni da una vicenda dolorosa. È proprio in quel giorno che le truppe tedesche entrano nel quartiere, sequestrando oltre 2000 uomini per portarli nei campi di lavoro in Germania e in Polonia.

Il Quadraro era, ai tempi, temuto dai tedeschi. Lo avevano addirittura ribattezzato “Nido di Vespe” poiché si trattava di un luogo di Resistenza. Una sorta di nido dove potersi nascondere dalle forze fasciste. Oggi, per rendere omaggio a questa sua profonda storia, all’entrata del quartiere si può ammirare un murales giallo e nero, raffigurante vespe.  

Tuttavia, il generale Kappler (a capo delle truppe tedesche) non intendeva piegarsi di fronte ai Partigiani. Vennero prese misure sempre più drastiche: il 31 marzo 1944, ad esempio, venne anticipata l’ora del coprifuoco alle 16.00 per indebolire i ribelli. Rimasto colpito dalla fermezza dei romani, il generale decise però di passare a rastrellamenti giornalieri, colpendo il Quadraro.

L’episodio più clamoroso è quello del 10 aprile 1944, il Lunedì di Pasqua. Tre ragazzi erano seduti nella celebre “Osteria da Gigetto”, Giuseppe Albano (detto “il Gobbo”), Giovanni Ricci e Franco Basilotta.  Erano seduti nella stessa sala di alcuni soldati tedeschi che iniziarono a prendere di mira il Gobbo per la sua conformità fisica. Questo si alzò e sparò ai soldati. Fu proprio questo, probabilmente, il motivo per cui i tedeschi iniziarono a colpire il Quadraro esattamente una settimana dopo.

Il generale Kappler denominò l’operazione di rastrellamento “Operazione Balena”. Iniziò all’alba del 17 aprile: soldati divisi in squadre fecero piazza pulita in ogni casa del quartiere. Vennero rastrellati circa 2000 uomini abili al lavoro, tra i diciannove e sessanta anni. Questi, nella giornata del 19 e del 20 aprile, vennero condotti nel campo di prigionia di Fossoli per cinquanta giorni, prima di essere portati in Germania.

Comunque, il 4 giugno Roma venne dichiarata libera dalle truppe tedesche e il 24 del mese vennero rilasciati i rastrellati. Tuttavia, furono costretti a firmare una lettera di affidamento al lavoro forzato in Germania. Quindi, solo dopo l’8 maggio dell’anno seguente, con la resa assoluta della Germania, i deportati poterono realmente tornare a casa.

Di fronte ad una storia e ad un vissuto così duro e spregevole, la società mondiale sembra comunque non aver aperto gli occhi. Attualmente, in varie parti del pianeta stanno prendendo piede episodi di pari importanza. Un esempio valido è quello che sta accadendo ai danni dei musulmani dello Xinjiang, in Cina.

La presenza musulmana nella Repubblica Popolare Cinese risale ai tempi del profeta Maometto. Il territorio attuale ospita una grande fetta di popolazione di fede islamica. Tuttavia, lo Stato, pur essendo ateo, non tollera una vasta libertà religiosa. Vittime di questa intolleranza sono proprio gli uiguri dello Xinjiang. È proprio qui che le lotte tra questa minoranza e gli Han si consumano da tempi remoti. La motivazione della RPC è che gli attacchi ricevuti sono relativi ad un’organizzazione terroristica. Questo perché, sin dagli anni ’90, gli attacchi sono sempre stati rivolti verso amministrazioni locali o Partiti al potere.

Ad ogni modo, Pechino spinge la regione autonoma dello Xinjiang a difendere il territorio. Questo perché, rappresenta una sorta di “riparo” del nucleo geopolitico della Cina verso la costa. Dunque, i “capi di rieducazione professionale” sono il mezzo usato per il controllo delle attività regionali. Dovrebbero trattarsi di centri di “riabilitazione” sociale per criminali, tuttavia sono dei veri e propri centri di prigionia. Purtroppo, il numero effettivo dei prigionieri non è noto, però l’ONU sostiene che potrebbero arrivare e superare i milioni.

Amnesty International cerca da sempre di ricavare dall’ONU aiuti reali contro quello che sembra proprio essere un delitto all’umanità. Proprio nel 12 settembre del 2022, l’Alta Commissaria ONU ha dichiarato e confermato che esistono prove tangibili contro la violazione dei diritti umani di queste minoranze musulmane. Si chiede, inoltre, ai membri del Consiglio di adottare metodi concreti affinché questa deplorevole condizione venga a capo e che la RPC ne risponda come deve.

Quello che l’ONU ha prescritto è che la campagna “antiterroristica” della RPC è “profondamente problematica secondo gli standard internazionali sui diritti umani”. Non afferma però che si tratti di un vero e proprio genocidio. Comunque, il governo cinese ha cercato in tutti i modi di boicottare le indagini dell’ONU. Non hanno reso possibile che ispettori delle Nazioni Unite si recassero in prima persona nel territorio. Per questo motivo, molte persone stanno scappando dalla regione a causa della loro diversa etnia.

D’altro canto, il Parlamento europeo si è espresso con decisione riguardo la questione e ciò lascia intravedere qualche spiraglio di luce, anche se non è ancora abbastanza. I deputati hanno dichiarato che condannano con la forza la repressione cinese e chiedono l’immediata chiusura dei “campi di rieducazione” nella regione.

Le due questioni descritte sono molto simili tra di loro. Anche se si tratta di epoche e contesti differenti, si può vedere come la storia si ripete. La deportazione e il rastrellamento di ebrei ed esponenti della Resistenza italiana non è molto diversa da quello che vediamo accadere in Cina adesso. Conoscendo il passato e quello che le generazioni precedenti hanno vissuto e affrontato, non si dovrebbe permettere che riaccada. È, dunque, essenziale che l’UE e l’ONU utilizzino metodi efficaci per evitare di peggiorare ulteriormente la faccenda. C’è bisogno di un aperto dialogo politico con le autorità della RPC e adottare sanzioni più mirate.

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