“Verde Afghano” è la storia di Marina, una donna che vive una vita diventata grigia perché immersa in una cultura maschilista, con un padre-padrone autoritario e un marito che non fa più brillare le stelle dell’amore.
Buongiorno sig. Laviola e benvenuto tra le nostre pagine. Ha appena pubblicato il suo primo romanzo con LifeBooks Edizioni. Ce ne vuole parlare? Verde Afghano è una bella storia d’amore, ma non solo. Una storia anche di coraggio e determinazione di una donna che, durante una lezione di italiano agli stranieri, incontra uno sguardo di un giovane uomo, due occhi verdi che le faranno ritrovare la voglia di vivere e di innamorarsi di nuovo.
La scrittura è sicuramente frutto di un’inclinazione naturale, ma anche di un duro lavoro… qual è il suo pensiero? Scrivere una storia, quando si ha in mente un’idea, potrebbe essere paradossalmente la cosa più facile che ci sia. Forse il vero lavoro, definirlo “duro” mi sembrerebbe quasi di offendere chi lavora la terra, chi sta in miniera, è quello quello di rivedere la storia più volte, per renderla comprensibile, per usare le parole giuste per trasmettere le giuste emozioni.
Quali sono gli ingredienti per tenere il lettore sempre incollato al romanzo?Secondo me, capitolo dopo capitolo, bisognerebbe riuscire a far domandare al lettore “E poi?”. Il ritmo deve essere sostenuto, ma non incalzante, alimentando la curiosità per sapere come andrà a finire la storia.
Che modelli letterari ha come riferimento? Soprattutto la letteratura americana, Henry Miller, Jack Kerouac, Allen Ginsberg, ma anche quella francese e italiana, Pirandello, Flaiano, Calvino.
Ha già in programma un altro romanzo? Sto completando un romanzo a sfondo storico, una specie di thriller all’italiana, le definizioni di genere sono sempre un po’ difficili. La storia comincia con il ritrovamento fortuito di una parte di un manoscritto segreto nella Biblioteca Vaticana.