Sapientia
Prologo
Centoquaranta…
Centoquarantuno…
Centoquarant…
La donna aprì gli occhi di colpo.
Ansimava così forte da riempirsi le orecchie del suo respiro. Il ronzio in testa l’assordava, impedendole di orientare i sensi nell’ambiente.
Dov’era finita?
Buio totale.
Aveva gli occhi aperti? Non poteva capirlo, però una cosa la percepì. Era sdraiata e non ricordava nulla.
I numeri della conta mentale erano ancora un eco nella sua memoria. Cercò di rialzarsi e fu sorpresa di sentire le membra indolenzite, anzi doloranti che tentavano di trattenerla giù. Si mise seduta, ma la testa urtò un soffitto di qualcosa. Tastò.
Freddo e solido come cemento.
Con le mani iniziò a tracciare il contorno della cosa che la conteneva e intuì di trovarsi in un tunnel. Il ronzio alle orecchie la stava abbandonando, lasciando che il risveglio si completasse.
Un puzzo nauseante la travolse, facendola imprecare. Tossì e poi una luce davanti a sé attirò la sua attenzione. Carponi cercò di raggiungerla, finché non apparve davanti a un imbocco, sbarrato da un’inferriata spaccata a metà.
Uscì fuori, nella notte e alzandosi in piedi, guardò indietro il tunnel fognario che l’aveva rigurgitata.
Era al centro di un cantiere. Nessuna casa, nessuna persona e tantomeno luci. Identificò alcune gru solitarie e dei camion nel piazzale in costruzione. Con buona probabilità una zona periferica.
Isolata.
Sperò non troppo, almeno non dal primo agglomerato urbano. Forse la città non distava molto da lì. La cercò, girandosi completamente dall’altra parte. Guardò lontano e riconobbe subito le punte gotiche della cattedrale.
Milano era abbagliata da una luce arancione. Racchiusa in una campana di vetro luminescente, talmente irreale che dovette sbattere gli occhi per essere certa di non vederla in sogno.
Tutt’attorno, il nero assoluto. Niente stelle, niente luna. Un cielo terso da nuvole e limpido di oscurità l’accolse.
«Dannazione»
Con nuovo stupore, notò i propri vestiti. Un camice bianco ricopriva il resto. Un cartellino personale era ancora appeso al suo taschino.
Ancora…
Non sapeva neppure quanto tempo avesse passato nello scarico fognario. Come non sapeva il perché si trovasse in quel luogo. Tantomeno ricordava il nome di nascita. Allora strappò il badge dalla divisa.
Dott.ssa Alexandra Adelfi. Responsabile dipartimento di neurofisiologia sperimentale.
Un “Ohh” sentito le sfuggì di bocca. Responsabile? Il peso di quella parola non conferì nessun sollievo alla sua confusione.
Se solo avesse potuto ricordare. Compresse le tempie, con le mani, tentando di far uscire, con l’atto simbolico, il contenuto che cercava. Aveva la testa vuota come il silenzio che la circondava. A proposito.
Il silenzio.
Milano in lontananza era muta e questa era un’eventualità impossibile. Si tolse il camice sempre più stordita. Si guardò le gambe scoperte per metà dalla gonna, come se non fossero le sue. Non aveva nemmeno consapevolezza di com’era fatta. Terribile. Rovistò nelle tasche con la speranza di trovare un cellulare. I suoi occhi fissi sulla pelle leggermente scura dei polsi che spuntavano dalla camicetta.
Non so chi sono…
Sbattè gli occhi, ancora e guardò avanti nella notte.
Milano l’aspettava.
Attraversò il piazzale.. Nel farlo in fretta e immersa nei pensieri, non vide i resti dell’elicottero distrutto. Una gru lo copriva parzialmente, ma una fiancata del velivolo portava ancora le lettere ben visibili e siglate: THEC & NSC.
Sotto, più in piccolo, la citazione di appartenenza.
Istituto Nazionale delle Tecnologie e Neuroscienze.
…
Direttore responsabile: Claudio Palazzi