“Selma”, diretto da Ava DuVernay, è un film drammatico e storico che racconta un episodio cruciale della lotta per i diritti civili negli Stati Uniti: le marce da Selma a Montgomery nel 1965. Questi eventi sono stati fondamentali per l’approvazione del Voting Rights Act, una legge che ha garantito il diritto di voto agli afroamericani, mettendo fine a decenni di discriminazione elettorale. Il film si concentra principalmente sulla figura di Martin Luther King, interpretato da David Oyelowo. Piuttosto che seguire la classica strada del biopic, “Selma” si sofferma su un momento strategico nella vita del leader dei diritti civili, evidenziando le sfide e le tensioni che King e i suoi collaboratori dovettero affrontare in quel contesto.

È il 1964, e Martin Luther King, a soli trentacinque anni, ha già alle spalle numerose battaglie per i diritti civili, compreso il suo celebre discorso “I Have a Dream” pronunciato a Washington l’anno precedente. In quel periodo, il movimento per i diritti civili aveva già raggiunto importanti successi: la segregazione razziale, ovvero la pratica legale che imponeva la separazione tra bianchi e neri in luoghi pubblici, scuole, trasporti e ristoranti, era stata dichiarata incostituzionale grazie alla sentenza della Corte Suprema nel 1954 e al Civil Rights Act del 1964. Tuttavia, nonostante questi progressi, la strada verso la piena uguaglianza era ancora lunga e non priva di impervi pericoli, soprattutto in luoghi inospitali per gli afroamericani come gli stati del sud degli Stati Uniti. La vita degli afroamericani in queste regioni era costantemente minacciata dalla violenza dei bianchi, che utilizzavano intimidazioni, linciaggi e ogni forma di brutalità per impedire loro di iscriversi alle liste elettorali e partecipare alla vita pubblica.

Infatti uno degli aspetti che subito salta all’occhio è la narrazione netta della divisione dei personaggi: la dicotomia con cui il film li rappresenta evidenzia una parte i “buoni” afroamericani, volenterosi, solidali, resilienti e pieni di buoni ideali, persino gli abiti sono sempre perfetti. Dall’altra ci sono i “cattivi” bianchi gretti, ignoranti, violenti e ottusi. Probabilmente negli stati del Sud all’epoca la situazione non era molto diversa da questa narrazione, e la messinscena così netta dà dignità alla forza morale del film, ovvero quella di condannare il razzismo. Inoltre rende il film quasi una fiaba contemporanea. Questa scelta stilistica porta ad una “semplificazione” storica, che, sebbene possa risultare riduttiva per chi conosce a fondo gli eventi, ha il pregio di rendere le implicazioni morali estremamente chiare. Certo, ci sono delle sfumature nei personaggi: il film include anche la vicenda del presidente Lyndon B. Johnson. Egli, anche se in conflitto con King in certi momenti, giocherà un ruolo cruciale nel passaggio del Voting Rights Act. In definitiva quindi l’approccio non risulta troppo artificiale ed è particolarmente efficace per un pubblico neofita, che potrebbe non avere una conoscenza approfondita del contesto storico. In questo modo, il film riesce a introdurre e spiegare i fatti in modo accessibile, pur mantenendo intatta la forza del messaggio di giustizia e uguaglianza che King e il movimento per i diritti civili hanno incarnato.

Parlando della trama, “Selma” ci mostra un Martin Luther King impegnato a coordinare le marce da Selma a Montgomery, consapevole che il diritto di voto era la chiave per ottenere un cambiamento duraturo. Il film, basato sulla sceneggiatura di Paul Webb, adotta un approccio lineare e diretto nel narrare gli eventi. Questa scelta risulta incredibilmente efficace: d’altronde le vicende sono talmente intensi che una messa in scena sobria è sufficiente a renderli avvincenti e appassionanti, perché la realtà storica è già potente in sé.

Una delle caratteristiche più interessanti del film è poi il ritratto umano e sfaccettato che viene offerto di King. Non viene dipinto come un’icona bidimensionale, ma come un uomo con le sue contraddizioni e difficoltà. Ci sono momenti in cui lo vediamo alle prese con problemi familiari, come quando discute con sua moglie Coretta Scott King, interpretata da Carmen Ejogo, o quando si occupa delle faccende di casa. Queste scene restituiscono un ritratto più intimo, e King ci appare non solo come un eroe della storia, ma anche come una persona con le sue fragilità e incertezze.

Un elemento intrigante poi è l’uso di alcune scene che sembrano riprese direttamente dai rapporti delle intercettazioni dell’FBI. In quegli anni, J. Edgar Hoover, direttore dell’FBI, lavorava nell’ombra per sorvegliare e destabilizzare King e il movimento per i diritti civili, cercando di raccogliere informazioni compromettenti attraverso intercettazioni telefoniche e altre forme di spionaggio. Questa presenza inquietante nel film aggiunge un ulteriore livello di tensione, mostrando quanto fosse difficile per King e i suoi seguaci portare avanti la loro lotta in un ambiente così ostile.

Le scene delle proteste sono tra le più avvincenti dell’intero film. Ogni marcia, ogni scontro con la polizia è carico di una tensione palpabile, che ti tiene incollato allo schermo. Il “Bloody Sunday”, in particolare, è un momento cinematografico mozzafiato. Il modo in cui Ava DuVernay cattura la brutalità della polizia e il coraggio dei manifestanti è davvero interessante. I manifestanti, armati della loro determinazione e fede nella giustizia, si trovano di fronte a una violenza inaudita: manganelli, gas lacrimogeni, cavalli lanciati contro di loro. Ma è proprio in questi momenti che emerge la forza del loro movimento.

In conclusione, “Selma” riesce a bilanciare la narrazione storica con un ritratto profondamente umano del suo protagonista. Sebbene la dicotomia morale che pervade il film possa apparire a tratti troppo netta, è funzionale alla narrazione e (forse ora più che mai) anche alla comprensione dell’importanza di istanze politiche come l’anti-razzismo. Poi, il ritratto di King come un uomo pieno di sfumature e contraddizioni è efficace nel restituire la complessità del personaggio. La storia può sembrare semplificata, ma forse è proprio questo che la rende potente: un imperativo che invita a riflettere sul superamento del razzismo e sull’importanza di continuare a lottare per la giustizia, oggi come allora.

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