Negli ultimi giorni di ottobre di sessant’anni fa, nel 1962, ebbe luogo quello che molti storici considerano l’evento che in assoluto portò l’umanità più vicino alla guerra nucleare: la crisi dei missili di Cuba. Se anche in seguito a tale crisi prese più vigore la campagna per la non proliferazione nucleare che si concretizzò nella firma del Trattato di non proliferazione nucleare il 1° luglio 1968 e ad esso seguirono sempre più sforzi per ridurre il rischio di un inverno nucleare, sessant’anni dopo, nonostante i fattuali progressi, la guerra è tornata alle porte dell’Unione Europea e minacce, più o meno velate, di guerra atomica da parte della Federazione Russa si fanno sempre più frequenti.

Fu nel luglio del 1962 che si incontrarono Nikita Chruscev e Fidel Castro per stabilire la realizzazione di basi di lancio di missili balistici sovietici a 90 miglia dalle coste della Florida sull’isola di Cuba. Tale decisione fu presa in primis come reazione all’infruttuosa invasione della Baia dei Porci e poi per la presenza di missili balistici statunitensi in dieci basi su suolo italiano e cinque basi su suolo turco. Le prime testate arrivarono a Cuba nei primi giorni di settembre e se inizialmente fu tutt’affatto smentita la loro presenza sull’isola da parte delle autorità sovietiche, una serie di voli condotti da aerei spia statunitensi fotografò i siti di lancio e le testate. Il 22 ottobre il presidente Kennedy in un discorso alla nazione annunciò che per un eventuale attacco nucleare proveniente da Cuba sarebbe stata considerata responsabile l’Unione Sovietica. Il grado di allerta delle truppe statunitensi fu portato a DEFCON 2, il grado più alto mai raggiunto, che indica una minaccia di guerra nucleare imminente e truppe pronte a combattere in 6 ore. Per un confronto, il DEFCON 1 (su una scala che va da 1 a 5), fortunatamente mai raggiunto e che auspicabilmente rimarrà tale, indica una guerra nucleare in corso o imminente e truppe pronte a intervenire istantaneamente al comando. Oltre ciò Kennedy aveva ordinato il blocco navale di Cuba per evitare che altre testate giungessero sull’isola con l’implicazione che qualora le forze sovietiche avessero forzato il blocco, il presidente sarebbe stato pronto ad annunciare la dichiarazione di guerra nei confronti dell’Unione Sovietica e ad iniziare immediatamente i combattimenti. L’apice della crisi fu raggiunto il 27 ottobre quando un aereo da ricognizione statunitense fu abbattuto mentre sorvolava Cuba. In seguito fu finalmente raggiunto l’accordo e il 28 ottobre Chruscev annunciò la rimozione dei missili dall’isola, così come da parte statunitense fu annunciata la rimozione dei missili Jupiter con testata nucleare situati in Italia e Turchia. Il 20 novembre fu dichiarata la fine del blocco navale.

La politica della deterrenza nucleare portata avanti durante la Guerra Fredda portò nel 1986 a raggiungere il picco nel numero di ordigni atomici presenti sul pianeta arrivando a circa 64.099 ordigni stimati, contro l’attuale quota di circa 9.278 nel 2021 secondo il Bullettin of the Atomic Scientists. La dottrina strategico-militare alla base della deterrenza nucleare è quella che viene definita M.A.D. (Mutual Assured Destruction), distruzione mutua assicurata. Quest’ultima si fonda sull’assunto che nessuno stato razionale potrebbe mai lanciare un attacco atomico nei confronti di un altro stato in quanto questo comporterebbe una guerra che sostanzialmente porrebbe fine ai due stati e a tutti i loro alleati che dovessero affiancarli nel giro di poche decine di minuti. Tuttavia, tale dottrina, se da molti viene considerata garanzia di pace in quanto unica ragione per la quale la guerra fredda non si sia trasformata in guerra calda e dalla Seconda guerra mondiale non si sia mai verificato uno scontro diretto su larga scala fra superpotenze, i critici pongono l’accento invece sul significato stesso della parola formata dall’acronimo “mad” ossia “pazzo”. I suoi critici nello specifico sostengono sia folle dare per assunto una serie di condizioni senza le quali la dottrina della distruzione mutua assicurata non reggerebbe e basare l’esistenza stessa della civiltà su tali condizioni. Affinché dunque, seguendo la M.A.D., si possa essere certi che nessun paese sferri mai un attacco nucleare nei confronti di un suo nemico si assume che sia perfetta l’attribuzione del lancio ad un nemico ben specifico (anche se il lancio originasse per esempio al confine fra due stati ciascuno dei quali potenzialmente responsabile), non deve verificarsi alcun falso positivo sulle strumentazioni di identificazione di lancio di una testata nemica, non devono esistere mezzi alternativi a missili identificabili per consegnare la testata allo stato nemico (come una testata portata in uno stato nemico per mezzo di un veicolo terrestre che viene detonata senza essere prima identificata), entrambe le parti agiscono basandosi su logiche perfettamente razionali, nessuno “stato canaglia” ha sviluppato testate nucleari, chi si occupa di dare l’ordine di lancio è nella totalità dei casi saldamente preoccupato per la sopravvivenza del suo popolo, nessun leader che lancia l’attacco sottovaluterà mai il suo avversario (pensando magari che questo non sia in grado di rispondere prontamente e con una tecnologia altrettanto potente), nessuna tecnologia anti-missile è in alcun caso sviluppabile e nessun sistema di rifugi può mai essere in grado di proteggere sufficientemente popolazione e industria. Nel complesso perciò, dato che, come anche affermato da Albert Einstein “Se non la si impedisce, è probabile che una nuova guerra porti la distruzione su una scala ritenuta impossibile prima (e anche ora difficilmente concepibile), e che solo poche tracce di civiltà sopravvivrebbero”, i critici della M.A.D. sostengono che non può essere un’opzione quella di affidare alla bomba atomica il ruolo di garante della pace basandosi su assunzioni di massima razionalità umana, assoluta premura nei confronti delle vite dei cittadini ed ineccepibile funzionamento delle strumentazioni tecnologiche in quanto se anche solo una delle assunzioni sopracitate venisse a mancare il prezzo sarebbe l’annientamento della quasi totalità della vita sulla Terra. Piuttosto questi propongono di concentrare tutti gli sforzi sulla progressiva riduzione degli ordigni nucleari sino alla loro completa eliminazione.

Se è decisamente motivo di giubilo l’entrata in vigore il 22 gennaio 2021 del Trattato per la proibizione delle armi nucleari, primo trattato internazionale legalmente vincolante che mira alla totale proibizione delle armi nucleari dichiarandole illegali, anche vero è che nessuno degli stati ad oggi possessori di testate nucleari (Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, Israele, India, Pakistan e Corea del Nord) ha ratificato il trattato. In aggiunta a ciò, dopo poco più di un anno dall’entrata in vigore del trattato, il 24 febbraio 2022 la guerra è tornata alla soglia dell’Unione Europea. Con l’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, si sono moltiplicate le allusioni all’utilizzo della bomba atomica da parte di quest’ultima. Se Vladimir Putin e la nomenklatura russa siano un caso da manuale di messa in pratica della Madman Theory (Teoria del pazzo, atteggiamento di politica estera attribuito in gran parte ma non solo a Richard Nixon, consistente nel far credere al nemico di essere quasi irrazionali, disposti a tutto, pur di andare contro i propri interessi per raggiungere il proprio obiettivo, in modo che il nemico faccia più concessioni per timore della follia della controparte) o parlino sul serio non è dato sapere. Nondimeno difficilmente si potrebbe affermare che sia conciliante e distensivo il tono di Vladimir Putin quando nel discorso in cui annunciava l’inizio delle ostilità affermò che la Russia “continua a essere uno degli stati nucleari più forti” e che se qualcuno avesse interferito nell’”operazione militare speciale” la risposta della Federazione Russa avrebbe avuto conseguenze “tali da non essere mai state viste nella storia” o quando nel discorso reso pubblico del 27 febbraio, rivolgendosi ad alte cariche militari ordinò di “preparare le forze di deterrenza dell’esercito russo a un regime speciale di servizio di combattimento”.

Ad Hiroshima l’epitaffio sulla lapide del memoriale alle vittime del disastro nucleare recita “Riposate in pace perché noi non ripeteremo l’errore”. Non resta dunque che sperare davvero che manterremo la promessa nei confronti delle vittime di Hiroshima e Nagasaki e che all’astratta escalation di parole a cui si sta assistendo nel quadro dell’invasione dell’Ucraina non segua una concreta escalation nucleare, condividendo pienamente le parole di Albert Einstein quando sosteneva: “Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la Terza Guerra Mondiale, ma la quarta sarà combattuta con bastoni e pietre”.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here