Incastonata nella Valle del Giovenco, tra il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e il Parco Regionale Sirente-Velino, sorge la città di Pescina. Città di circa 4.000 anime nel cuore della Marsica, in provincia dell’Aquila. Un quadro di Pescina: la città di Ignazio Silone Direttore responsabile: Claudio Palazzi
Le montagne circondano il vecchio borgo situato nella parte superiore del paese. Un borgo antico, come tanti in Italia e in Abruzzo ma che possiede il fascino del ricordo, della memoria, di ciò che era e non è più. Ogni pietra del borgo sembra essere portatrice di sofferenze e soprusi vecchi come la storia dell’uomo. Temprate alla resilienza come la terra Marsicana, una terra di lotte, resistenze e sconvolgimenti. La parte bassa del paese si insinua invece in quel mosaico di campi agricoli che è la piana del Fucino. La “conca” che fino alla metà del XIX secolo fu lago, il terzo più grande d’Italia.

L’agricoltura, una delle attività prevalenti di Pescina e di tutto il territorio circostante, accompagna la storia marsicana fin dalle sue origini. Ha plasmato e modificato il suolo e forgiato il carattere dei suoi abitanti. Per la terra, per la sua coltivazione è stato prosciugato un lago, per lei si è combattuto, e per lei ancora ci si batte. Proprio questo spirito battagliero sembra caratterizzare il marsicano e influenzare la cultura del luogo.

STORIA

Pescina e la Marsica sono rivali di Roma nella guerra Sociale o guerra Marsica combattuta tra il 91 e l’88 a.C. per il riconoscimento della cittadinanza romana a tutti i cittadini d’Italia. A partire dal Medioevo Pescina diventa importante centro religioso. Nel 1219, pochi anni dopo la visita di S.Francesco viene costruito l’attuale convento di Sant’Antonio di Padova. Alla fine del XVI secolo viene invece edificata la cattedrale di Santa Maria delle Grazie. Nel corso dei secoli Pescina è governata da importanti famiglie nobiliari. Con il prosciugamento del lago avvenuto intorno alla metà del XIX secolo Pescina perse la sua centralità in favore di Avezzano che sarebbe diventato da lì in avanti il principale centro marsicano.

Il 1915 è l’anno del disastroso terremoto che sconvolse la Marsica e che solo a Pescina provocò la morte di più di 4.000 persone su una popolazione di circa 6.000 abitanti. Il terremoto rase al suolo il paese e gettò i sopravvissuti nella disperazione. Tra questi sopravvissuti vi era il giovane Ignazio Silone, al secolo Secondo Tranquilli. Scrittore, giornalista, politico e soprattutto pescinese. Autore di uno dei pilastri letterari dello scorso secolo, quel “Fontamara” che parla proprio della sua terra, Pescina. Il romanzo parla della condizione di sfruttamento e sottomissione immane in cui si trovano i “cafoni” marsicani. Oppressi da secoli dal potente di turno, sia esso principe o Duce e colpiti da ataviche sventure.

«In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo.
Questo ognuno lo sa.
Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra.
Poi vengono le guardie del principe.
Poi vengono i cani delle guardie del principe.
Poi, nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi vengono i cafoni.
E si può dire ch’è finito.» fontamara

Pescina, Fontamara e i suoi cafoni si fanno portatori di una condizione universale, quella dell’umiliato e offeso che non ha armi per difendersi. Il tutto nel contesto di un’ambiente rovinato, antico ed aspro. In Fontamara poi emerge l’amore di Silone per il suo paese, la sua contrada che ha segnato per sempre la sua poetica, la sua “idea”.

«Tutto quello che m’è avvenuto di scrivere, e probabilmente tutto quello che ancora scriverò, benché io abbia viaggiato e vissuto a lungo all’estero, si riferisce unicamente a quella parte della contrada che con lo sguardo si poteva abbracciare dalla casa in cui nacqui. È una contrada, come il resto d’Abruzzo, povera di storia civile, e di formazione quasi interamente cristiana e medievale. Non ha monumenti degni di nota che chiese e conventi. Per molti secoli non ha avuto altri figli illustri che santi e scalpellini. La condizione dell’esistenza umana vi è sempre stata particolarmente penosa; il dolore vi è sempre stato considerato come la prima delle fatalità naturali; e la Croce, in tal senso, accolta e onorata. Agli spiriti vivi le forme più accessibili di ribellione al destino sono sempre state, nella nostra terra, il francescanesimo e l’anarchia

Ignazio Silone morì a Ginevra nel 1978 e le sue ceneri sono custodite nella tomba a lui dedicata, secondo sue disposizioni.

«Mi piacerebbe di esser sepolto così, ai piedi del vecchio campanile di San Berardo, a Pescina, con una croce di ferro appoggiata al muro e la vista del Fucino, in lontananza.»

PESCINA OGGI

La Pescina di oggi deve essere molto diversa dalla Pescina di ieri. Non è più il vecchio borgo contadino e cristiano. È adesso una piccola cittadina con un ospedale, uno stadio, un teatro che si deve guardare le spalle dai pericoli dell’emigrazione e dello spopolamento, che cerca di tutelare il suo patrimonio culturale e paesaggistico. Lo sfruttamento dei potenti non è più una condizione così gravosa, ma il ricordo della sofferenza e dell’umiliazione così ben descritta da Silone dovrebbe costituire un faro nella mente di tutti. Un faro che sappia illuminare ognuno di noi di solidarietà umana ed orgoglio.

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