Teramo, nel corso della sua lunga storia, si è spesso confrontata con una realtà politico-sociale piuttosto varia. L’evoluzione della città ben si evince dalla storia del suo nome: tornando indietro nel tempo, infatti, possiamo risalire agli antichi Fenici, a cui si deve la fondazione di uno dei primissimi insediamenti nel territorio, Petrut, che ha poi dato il nome ad una popolazione italica che qui si è stanziata, i Pretuzi. Sulla base di questa denominazione, una volta sottomessa dai Romani, la città, per via della sua collocazione tra due fiumi (Tordino e Vezzola), è stata ribattezzata Interamnia Pretutiorum, ovvero “città dei Pretuzi tra due fiumi”, da cui è a sua volta discesa la deformazione medievale “Teramum”, antesignana del toponimo odierno.
La città, nell’ultimo secolo, ha conservato meno di quanto ci si aspetti della sua multiforme vicenda storica. Gran parte del patrimonio storico-architettonico, infatti, ha subito forti rimaneggiamenti e demolizioni a causa dei programmi di riforma edilizia portati avanti dalle amministrazioni comunali a partire dalla metà del Novecento. Emblematici, ma non unici, in questo senso sono due episodi: l’abbattimento della chiesa di San Matteo, situata nel corso principale della città (Corso San Giorgio), sostituita, assieme agli edifici vicini, da palazzi in stile fascista nell’ambito di un rifacimento voluto in occasione di una ipotetica visita di Benito Mussolini, poi mai avvenuta, e il rifacimento di via Carducci, un viale del centro, all’epoca costellato di villette a schiera in stile liberty, sostituite progressivamente con palazzine moderne.

Questi “sventramenti sacrileghi e stupidi”, come li definisce Pier Paolo Pasolini in un articolo dell’8 gennaio 1960 sul quotidiano “Il Giorno”, in cui racconta una sua visita in città, hanno pesantemente modificato l’assetto urbano di Teramo. Le modifiche al panorama urbano, peraltro, sono continuate anche negli anni successivi: oggi non c’è più la “larga piazza con la fontana tonda, capolinea di autobus contadini” e la “massa di vicoli” appare sensibilmente ridotta rispetto a quanto ci racconta il giornalista. Nonostante ciò, la città può ancora vantare alcuni importanti monumenti. Il duomo, edificato nel XII secolo, in sostituzione dell’antica cattedrale paleocristiana, di cui si conserva intatta una piccola sezione, tuttora adibita al culto (il resto, assieme alla domus su cui sorgeva, è sito di scavo nella centrale piazza Sant’Anna), le chiese di Sant’Antonio e di San Domenico, entrambe risalenti al XIII secolo e molti altri edifici di culto. Sopravvivono poi alcune case di antiche famiglie nobiliari del medioevo e altri siti romani come l’antico teatro, oggi in fase di recupero e riqualificazione, e alcune domus.

Nonostante un certo impoverimento del suo patrimonio storico-architettonico, Teramo può contare, comunque, su una certa attrattiva turistica, incoraggiata anche e soprattutto dalla sua variegata e peculiare enogastronomia (di cui ci parla anche lo stesso Pasolini nell’articolo menzionato poc’anzi) e da una buona possibilità di mobilità, sia interna, sia esterna, grazie ai collegamenti veloci che consentono di raggiungere agevolmente e in poco tempo le località di mare e di montagna. Da non trascurare il collegamento diretto con Roma, grazie all’autostrada A24, che permette a studenti e lavoratori di raggiungere la capitale in maniera efficiente e veloce e che costituisce, non solo per Teramo ma per l’intera regione Abruzzo, un volano economico di primaria importanza.

Da un punto di vista sociale, la città è sempre stata ancorata ad un certo conservatorismo, dovuto alla forte presenza della chiesa nel corso della sua storia (Teramo è sede vescovile dal V secolo e, dal XII al XVII secolo, i suoi vescovi hanno goduto di pieni diritti feudali e del titolo di “principe”). Nonostante ciò, la dialettica politica a Teramo, a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, è stata piuttosto vivace: numerosi teramani hanno militato nelle formazioni partigiane e, in generale, l’appartenenza politico-ideologica era equamente distribuita (per fare un esempio, nel referendum del 2 giugno 1946 la forma repubblicana è risultata vincitrice di soli sei voti in città, stando ai dati del Ministero dell’Interno). Pertanto, assistiamo ad un dibattito fortemente polarizzato, che è diventato un po’ un tratto distintivo della città, tanto da fare da cornice letteraria al libro “La compromissione” di Mario Pomilio, pubblicato nel 1965. In quest’opera, infatti, la vicenda dei protagonisti inizia e si sviluppa all’interno di questo quadro di opposizione ideologica che si è mantenuto vivo fino alla fine della Prima Repubblica. Il ritratto di Pomilio riproduce fedelmente la Teramo dinamica e borghese dei socialisti e democristiani del dopoguerra.

Si può dire, in un certo senso, che le descrizioni di Pomilio e Pasolini preconizzino un po’ l’avvio a quella “decadenza” che ha pervaso la storia cittadina una volta cessato l’effetto dello sviluppo postbellico. I due autori scrivono negli anni Sessanta, quindi pienamente immersi nella fase espansiva dello sviluppo; tuttavia, sotto le apparenze dell’edilizia che fiorisce e della città che si allarga, si ha la sensazione che tutto questo non duri. Il non troppo velato provincialismo che illustra Pasolini e le contraddizioni che racconta Pomilio ci mostrano inconsciamente una società sospesa tra attaccamento al passato e voglia di guardare al futuro, sull’onda dell’entusiasmo irrefrenabile del boom economico. Una società immobile, incapace di valorizzare le sue origini e nemmeno di proiettarsi concretamente verso nuovi orizzonti.

La città, oggi, mostra segnali di sofferenza, acuiti dall’impatto che hanno avuto i terremoti del 2009 e del 2016 sugli edifici del centro storico. Tra gli edifici danneggiati vi sono anche i luoghi della cultura, la pinacoteca e il museo archeologico: la prima è stata riaperta di recente, mentre il secondo è ancora ben lungi dal poter tornare fruibile. A ciò si aggiunga anche l’inarrestabile contrazione demografica a cui la città deve fare fronte. Inoltre, la pandemia di Covid-19 del 2020 ha costretto le autorità a dirottare altrove numerosi fondi destinati al recupero di molte strutture storiche della città e alla realizzazione di nuove opere. Si tratta di perdite importanti che si ripercuotono molto negativamente sull’economia ma anche sulla vitalità della città. Le amministrazioni, da qualche anno, sembrano aver maturato una sensibilità e un interesse maggiori nei confronti di un nuovo sviluppo socioculturale: le rassegne culturali, le riqualificazioni del patrimonio urbano, i progetti di miglioramento della mobilità procedono con alterne fortune ma la speranza è che, nel futuro, si possa fornire una visione di lungo periodo credibile e lungimirante per portare la città ad una nuova fioritura, come tante altre volte è accaduto nel corso della sua storia dopo periodi di avversità.

Foto dall’archivio di Gianluigi Camillini, via Wikipedia

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